PASSALACQUA, Pietro
PASSALACQUA, Pietro. – Figlio di Giacomo e Francesca Amati, nacque nel 1690 a Messina (Manfredi, 1989a, p. 109), dove il padre, un doratore e fiorista originario della vicina Rocca Valdina, ma residente a Roma, era tornato temporaneamente (Roma, Archivio dell’Arciconfraternita di S. Maria Odigitria dei Siciliani, b. 11, reg. 43, Libro de’ fratelli, 1645-1719, carte non numerate).
A Roma, dal 1692 la famiglia Passalacqua abitò in via dei Leutari (dove Giacomo aveva anche la sua bottega), in una casa in affitto di proprietà Borghese di cui furono ospiti numerosi artisti provenienti da Messina, fra cui l’architetto-sacerdote Filippo Juvarra (dal 1704 al 1709) e (dal 1706 al 1713) il nipote di questi, lo scultore Simone Martinez (Manfredi, 1989a; Id., 2010, pp. 62-65, 83-85). A stretto contatto con Juvarra l’adolescente Pietro cercò di emularlo sia nella carriera religiosa sia in quella accademica, indossando la veste di chierico dal 1706 al 1710 e partecipando a ben cinque edizioni dei concorsi clementini dell’Accademia di S. Luca (Marconi - Cipriani - Valeriani, 1974; Manfredi, 2010, pp. 172 s., 178, 283 s., 312 s.).
Nei concorsi del 1706 e del 1707 Passalacqua progredì dal secondo al primo posto della terza classe, dedicata al rilievo, giovandosi degli studi del maestro sulle opere oggetto dei bandi: la facciata di S. Andrea al Quirinale e quella di palazzo Barberini. Nel 1708 ottenne il secondo posto nella seconda classe, sviluppando il tema progettuale dell’altare maggiore di una chiesa annessa a un’accademia di belle arti, mediante una lineare impostazione a croce greca. Analogo esito ebbero le sue due partecipazioni alla prima classe di concorso nel 1710 e nel 1713, rispettivamente sul tema del progetto di una villa pentagonale e di un tempio rotondo con portico, entrambi influenzati dagli studi di Juvarra sulle matrici geometriche circolari e ovali.
Nel 1709 Passalacqua visse in prima persona il passaggio di Juvarra al servizio del cardinale Pietro Ottoboni come scenografo teatrale (Manfredi, 2010, pp. 55 s., 64, 185, 323-354). Nel 1710, a seguito del matrimonio di sua sorella Giovanna con Simone Martinez, egli si imparentò con Juvarra e cominciò a presentarsi pubblicamente come suo nipote e allievo (Manfredi, 1989a, p. 112 s.). Nel luglio 1714 accompagnò il maestro a Messina, dove questi era stato chiamato dal nuovo re di Sicilia Vittorio Amedeo II, e l’8 agosto lo ebbe come testimone alle proprie nozze con la concittadina Giovanna Ferrari (Manfredi, 2005; Id., 2010, pp. 477 s.). A Messina il giovane Pietro, con ogni probabilità, aiutò Juvarra nella redazione del progetto di ampliamento del palazzo reale e poi, nel mese di settembre, lo seguì a Torino, dove assistette al suo insediamento come primo architetto del sovrano sabaudo.
Il soggiorno di Passalacqua a Torino fu molto breve. Infatti, mentre la moglie rimase a Messina fino alla nascita del primogenito Giacomo (metà 1715), egli ritornò a Roma già nella seconda metà di novembre 1714, assieme a Juvarra che vi si trattenne per circa un mese per elaborare i primi progetti per la sagrestia vaticana, preliminari alla definizione del modello ligneo definitivo, eseguito durante un più lungo soggiorno avvenuto tra gennaio e luglio 1715 (Manfredi, 2001, p. 178).
Alla ricerca di un maggiore radicamento nell’ambiente professionale romano, a partire dal 1720 Passalacqua affiancò il più giovane amico Domenico Gregorini, anche lui allievo di Juvarra, come «giovane» nello studio del padre Ludovico. A quest’ultimo si deve la precoce ammissione di entrambi nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, avvenuta l’8 febbraio 1722, appena due mesi dopo l’elezione di Ludovico a reggente (Varagnoli, 1988, pp. 22 s.; Manfredi, in In Urbe Architectus, 1991; Bonaccorso - Manfredi, 1998).
Nella primavera del 1723, dopo un’assenza da Roma di circa un anno per una destinazione sconosciuta (Manfredi, 1989a, p. 113), Passalacqua, con il tramite di Juvarra, ottenne la commessa da parte dell’ambasciata portoghese dell’esecuzione di un grande modello ligneo della basilica di S. Pietro e dei palazzi vaticani sulla base dei rilievi di Antonio Canevari, che ultimò nel 1728 (De Montaiglon, 1896; Ferraris, in In Urbe Architectus, 1991, pp. 332, 394).
Durante il soggiorno di Juvarra a Roma dai primi di dicembre 1724 ai primi di aprile 1725, Pietro probabilmente fu suo aiuto nella redazione dei progetti per il palazzo del Conclave, di cui, con Filippo Vasconi, eseguì copie da spedire alla corte di Giovanni V a Lisbona (Manfredi, in In Urbe Architectus, 1991; Id., 2001, pp. 186 s.). Fu allora che, sempre grazie a Juvarra, passò al servizio del cardinale Ottoboni, come coadiutore dell’architetto ufficiale Ludovico Rusconi Sassi, assieme a Domenico Gregorini, che, dopo la morte del padre Ludovico, l’11 novembre 1723, ne aveva rilevato lo studio (Varagnoli, 1988, pp. 21 s., 26-35).
A quel tempo Passalacqua entrò in società con Gregorini, anche se in posizione subordinata. Ciò non gli impedì di assumere incarichi in prima persona, come la nomina a secondo coadiutore di Alessandro Specchi nella carica di architetto del Popolo romano, ottenuta il 4 ottobre 1726 (Scano, 1964, p. 120; Manfredi, in In Urbe Architectus, 1991, p. 417), e la commissione della sobria facciata della piccola chiesa di S. Francesco a Monte Mario dei padri Gerolamini, compiuta nel 1728 con la collaborazione del giovane architetto trapanese Francesco Nicoletti, giunto poco prima a Roma e ospite per dieci anni della sua famiglia (composta, oltre che da lui e dalla moglie, dai figli Giacomo, Bartolomeo, Paolo, Melchiorre, Francesca e Marco Antonio: Manfredi, 1989a, p. 116 n. 37; Id., 2013).
Tra la seconda metà del 1730 e il 1731 Passalacqua ristrutturò il casamento di Antonio Lancetta in via Giulia con una nuova facciata connotata da assi di finestre binati e da un portale squadrato in posizione asimmetrica (Manfredi, 2003, p. 87). Nel 1732-33, per incarico dei Beneficiati della basilica di S. Maria Maggiore – e quindi del loro protettore cardinale Ottoboni –, costruì la semplice casa d’affitto all’angolo tra via di S. Claudio e via del Pozzo (Manfredi, 2003, p. 44).
Nell’ambito dell’attività per Ottoboni, mentre Gregorini condusse in prima persona la fabbrica dell’oratorio del Ss. Sacramento di S. Maria in Via (1727-30), nel 1731 Passalacqua iniziò la costruzione della chiesa arcipretale dell’Assunta a Rocca di Papa, poi ultimata da Gregorini nel 1754, e successivamente distrutta per un terremoto (Varagnoli, 1988, p. 49).
Tali opere, impostate entrambe su una pianta rettangolare ad angoli concavi, possono considerarsi frutto di una sottile reinterpretazione del linguaggio borrominiano che allora doveva identificare la coppia Gregorini-Passalacqua nel contesto del comune discepolato juvarriano.
Nel febbraio 1732, quando Juvarra tornò a Roma per sei mesi per redigere il progetto della sagrestia vaticana, Gregorini e Passalacqua erano ancora identificati come suoi allievi. Come tali, nel concorso per la facciata della basilica di S. Giovanni in Laterano, insieme con Rusconi Sassi, furono invano contrapposti dal cardinale Ottoboni al vincitore fiorentino Alessandro Galilei, esponente della corrente rigorista promossa dal concittadino Neri Corsini, cardinale nipote di papa Clemente XII. Tuttavia il modello presentato da Passalacqua (andato disperso) ricevette il giudizio favorevole del giudice Giovanni Paolo Panini (benché condizionato dalla constatazione dell’eccessiva altezza e ornamentazione della facciata a doppio ordine).
Durante il pontificato di Clemente XII, Gregorini e Passalacqua ottennero una sola commessa pubblica: il restauro del teatro di Tordinona, affidato a Gregorini dal cardinale Pompeo Aldovrandi, in veste di governatore di Roma, e realizzato in tutta fretta da entrambi tra il 20 gennaio e il 13 febbraio 1734, innalzando quattro ordini di palchetti sul preesistente impianto a curvatura quasi circolare ideato da Carlo Fontana nel 1695 (Montaiglon, 1899; Rotondi, 1987).
In questo difficile contesto si spiega il trasferimento di Passalacqua in Dalmazia, a Ragusa (l’odierna Dubrovnik), dove, tra l’aprile e i primi di luglio 1735, fu impegnato con un «professore consocio» (probabilmente Nicoletti) nella progettazione e nell’avvio di alcune significative opere per il locale collegio dei gesuiti proseguite dopo la sua partenza: il portale, la biblioteca, il refettorio e, soprattutto, la scenografica scalinata di accesso, ispirata ai grandi esempi romani del tempo (Marković, 1981; Varagnoli, 1995, pp. 80, 92 n. 120, 94 note 146-149; Manfredi, 2013).
Nella seconda metà degli anni Trenta, a fronte di modesti impegni individuali, come la fontana con nicchia centinata per il giardino del monastero di S. Egidio, realizzata (1734-35) per conto dell’enfiteuta Francesco Virgilio Deci (Manfredi, in In Urbe Architectus, 1991; Sturm, 2006, p. 191), e la facciata dell’albergo di Ludovico Manfroni Pichi (1737) in piazza dei Pollaroli (Manfredi, in In Urbe Architectus, 2003, p. 78), l’attività di Passalacqua fu legata soprattutto alla collaborazione con Gregorini al servizio del cardinale Ottoboni, che assunse carattere ufficiale dopo la morte di Rusconi Sassi, nel 1736 (Varagnoli, 1988, pp. 23-35, 60; Id., 1995, pp. 73-76). Per il cardinale i due colleghi completarono la ristrutturazione del palazzo episcopale di Porto, con ingresso e corpo scale di raffinata eleganza (1735-37), e la nuova confessione ovale nel presbiterio della basilica di S. Lorenzo in Damaso (distrutta nell’Ottocento), frutto di una ricercata interconnessione con il livello sotterraneo (1737).
Dal 1740, morto Ottoboni, Passalacqua e Gregorini si giovarono del nuovo clima di apertura del pontificato di Benedetto XIV, ricevendo l’importante incarico del restauro della basilica di S. Croce in Gerusalemme, ufficialmente assegnata a Gregorini dal cardinale Aldovrandi, come capo della Dataria apostolica, e compiuto in collaborazione con Passalacqua tra il 1741 e il 1744 (Varagnoli, 1995; Id., 2004).
L’elemento cardine dell’opera è l’atrio cupolato a pianta ellittica, affine alle ricerche giovanili di Passalacqua, da cui si generano la curvatura convessa e le due brevi ali concave laterali del prospetto interamente in travertino, nitidamente ripartito da un possente ordine gigante di paraste a sostegno di un dinamico fastigio piramidale. Tale ordine all’interno ingloba parzialmente il preesistente colonnato della navata principale, determinando, insieme con l’insolita struttura del baldacchino sostituito al ciborio medievale, una promiscuità stilistica che non incontrò il favore di Benedetto XIV.
In un momento di grandi cambiamenti culturali connessi alla riscoperta dell’antico, questa loro prima importante opera identificava Gregorini e Passalacqua come nostalgici evocatori delle linee più inventive e poetiche della tradizione romana, da Pietro da Cortona a Borromini, rivitalizzate quattro decenni prima da Juvarra. E quanto ciò fosse dovuto all’apporto di Passalacqua è riflesso nell’oratorio della Ss. Annunziata in Borgo, da lui realizzato autonomamente tra il 1744 e il 1746 per l’Arciconfraternita di S. Spirito in Sassia, di cui fu architetto e confratello (Manfredi, 1989b).
L’oratorio, compiuto per espressa volontà di Benedetto XIV al fine di risarcire l’arciconfraternita della perdita di quello già ristrutturato dal solo Gregorini nel 1731, e demolito a seguito della costruzione del nuovo braccio dell’ospedale di S. Spirito in Sassia, più che il frutto della maturità dell’autore appare come la pervicace rivendicazione delle tematiche estetiche giovanili. L’orditura della facciata, parzialmente mutuata da quella di S. Croce in Gerusalemme, a fronte di un delicato andamento sinusoidale presenta marcati effetti scenografici sia nel comparto centrale sia nel fastigio terminale, esaltato, quest’ultimo, dal retrostante fondale a cuspide. All’interno, l’impianto a sala a diedri concavi costituisce invece una ulteriore variazione sul tema già sperimentato nelle chiesa di Rocca di Papa e nell’oratorio del Ss. Sacramento.
Dal 1744, contemporaneamente al cantiere dell’oratorio, Passalacqua fu impiegato come architetto del duca Filippo Sforza Cesarini per la decorazione della cappella nella chiesa di S. Maria in Aracoeli e per la ricostruzione del corpo della facciata principale del quattrocentesco palazzo in via dei Banchi Vecchi. In entrambi i casi l’architetto cercò di adeguarsi al contesto nobiliare forzando il suo linguaggio in chiave classicista.
La cappella, dedicata a S. Anna, la quarta nella nave sinistra, risulta fin troppo schematica nella pianta quadrata, nelle piatte decorazioni parietali e nel semplice altare maggiore sostenuto da colonne (Varagnoli, 1988, p. 50; Id., 1995, pp. 80-83).
Il prospetto del palazzo, ripartito da nove assi disposti a specchio rispetto a quello centrale segnato dal monumentale comparto del portale bugnato e dalla soprastante loggia, è lontano dall’armonica composizione dimostrata nel coevo oratorio della Ss. Annunziata (Pace, 1994; Varagnoli, 1995, p. 80; Manfredi, 2003, p. 73).
Per Passalacqua questi importanti impegni coincisero con la conquista del cavalierato, nonché di un ruolo quasi paritario nel sodalizio con Gregorini, come lascia presumere la loro comune citazione come architetti di Gregorio Chigi, nel luglio 1747, in occasione di lavori in una casa in vicolo dell’Aquila (non più esistente).
Passalacqua morì a Roma il 10 gennaio 1748, senza potere coronare il tardivo successo professionale con l’ammissione nell’Accademia di S. Luca, ottenuta da Gregorini appena quattro mesi dopo.
Per sua volontà fu sepolto nella chiesa di S. Teodoro al Palatino, lontana dalle proprie residenze: il citato casamento Lancetta in via Giulia e una casa in vicolo del Governo Vecchio (Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia di S. Caterina della Rota, Stati delle Anime, vol. 8, 1742-1745, cc. 99r (1744), 133v-134v (1745); Manfredi, 1989a, p. 116 n. 37), dove, presumibilmente, egli aveva raccolto i quadri e altre testimonianze del passato messinese e romano della famiglia, ereditate alla morte del padre nel 1742 (Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 25, vol. 578, cc. 575r-v, 590r-591v [notaio Gaetano Approbatis]).
L’eredità artistica fu raccolta dai figli Giacomo, che proseguì il mestiere del nonno omonimo, e Melchiorre, che completò la propria formazione di architetto presso Gregorini e Nicoletti (Varagnoli, 2007; Manfredi, 2013).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Arciconfraternita di S. Maria Odigitria dei Siciliani, b. 11, reg. 43, Libro de’ fratelli, 1645-1719, carte non numerate; Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 25, vol. 578, cc. 575r-v, 590r-591v (notaio Gaetano Approbatis); Roma, Archivio Storico del Vicariato, Parrocchia di S. Caterina della Rota, Stati delle Anime, vol. 8, 1742-1745, cc. 99r (1744), 133v-134v (1745).
A. De Montaiglon, Correspondance des directeurs de l’Académie de France à Rome avec les surintendants des bâtiments, Paris, VI, 1896, pp. 241-246; IX, 1899, pp. 43-45, 47-49; G. Scano, Note cronologiche dagli atti della Camera Capitolina. L’architetto del Popolo Romano, in Capitolium, XXXIX (1964), pp. 118-123 (in partic. p. 120); P. Marconi - A. Cipriani - E. Valeriani, I disegni di architettura dell’Archivio storico dell’Accademia di San Luca, I, Roma 1974, pp. 7-11; M. Marković, P. P. u Dubrovniku, in Peristil, XXIV (1981), pp. 95-114; S. Rotondi, Il Teatro Tordinona, Roma 1987, pp. 36 s.; C. Varagnoli, Ricerche sull’opera architettonica di Gregorini e Passalacqua, in Architettura. Storia e documenti, 1988, 1-2, pp. 21-65; T. Manfredi, L’arrivo a Roma di Filippo Juvarra e l’apprendistato di Pietro Passalacqua nelle cronache domestiche di una famiglia messinese, in Architettura. Storia e Documenti, 1989a, 1-2, pp. 109-16; Id., L’oratorio della Ss.ma Annunziata in Borgo. Problemi tecnici e formali nel processo edilizio, in Quaderni dell’Istituto di Storia dell’architettura, n.s., 14 (1989b), pp. 55-68; In Urbe Architectus. Modelli, disegni, misure... (catal.), a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991 (in partic. P. Ferraris, Giacomo Antonio Canevari, p. 332; Id., Giuseppe Marchetti, p. 394; T. Manfredi, Pietro Passalacqua, p. 417); F. Pace, Roma. Palazzo Sforza-Cesarini: le trasformazioni nel XVIII e XIX secolo, in Ricerche di storia dell’arte, LII (1994), pp. 83 s.; C. Varagnoli, S. Croce in Gerusalemme. La basilica restaurata e l’architettura del Settecento romano, Roma 1995, pp. 73-76, 80-83, 92 n. 120, 94 note 146-149; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon. 1700-1758, Roma 1998, pp. 85 s.; T. Manfredi, Juvarra e Roma (1714-1732): la diplomazia dell’architettura, in Sperimentare l’architettura: Guarini, Juvarra, Alfieri, Borra, Vittone, a cura di G. Dardanello, Torino 2001, pp. 178, 186 s., 188-196; Id., Schede, in Roma nel XVIII secolo, a cura di P. Micalizzi, II, Roma 2003, pp. 44, 73, 78, 87; C. Varagnoli, Il cantiere ritrovato: costruzione e restauro nei documenti settecenteschi per S. Croce in Gerusalemme a Roma, in Palladio. Rivista di storia dell’architettura e restauro, n.s. XVII (2004), 34, pp. 69-94; T. Manfredi, I Martinez: una dinastia di artisti tra Messina e Roma, in Sculture nel Piemonte del Settecento..., a cura di G. Dardanello, Torino 2005, pp. 160, 193; S. Sturm, L’architettura dei Carmelitani Scalzi in età barocca: 1597-1705. I. Principii, norme e tipologie in Europa e nel nuovo mondo, Roma 2006, p. 191; C. Varagnoli, Melchiorre Passalacqua, in Architetti e ingegneri a confronto, l’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, a cura di E. Debenedetti, II, 2007, pp. 302, 304; T. Manfredi, Filippo Juvarra. Gli anni giovanili, Roma 2010, pp. 55 s., 62-65, 83-85, 172 s., 178, 185, 283 s., 312 s., 323-354, 477 s.; T. Manfredi, Nicoletti Francesco, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVIII, Roma 2013, ad vocem.