GALLOZIA (Gallocia, Gallucia), Pietro
Nacque intorno alla metà del sec. XII da famiglia romana poco nota ma dotata di beni terrieri. Un "Romanus de Galluzza" prima del 1148 possedeva un "tenimentum" confinante con una proprietà del monastero benedettino femminile dei Ss. Nicola e Ciriaco, ora scomparso. Che la famiglia Gallozia fosse legata a questo monastero si deduce dalla nota obituaria relativa al G. inserita nel Necrologium di quella pia fondazione. Un altro "tenimentum Gallotiae" era sito sulla via Flaminia, dopo il ponte Milvio.
Da una lettera di Alessandro III del 26 luglio 1179 risulta che in quel momento "Petrus Gallocia" era "subdiaconus papae" e procuratore della Sede apostolica, per cui sembra ovvio dedurre che in gioventù il G. doveva avere compiuto studi giuridici; mentre risulta da una lettera non datata che durante tutto il pontificato di quel papa (1159-81) egli fu rettore della provincia di Campagna. Agli inizi dell'ultimo ventennio del secolo fu chiamato a far parte del Sacro Collegio. Non si conosce né la data esatta di tale promozione né il titolo che gli era stato assegnato. Tuttavia sembra potersi identificare con quel Pietro cardinale diacono di S. Nicola "in carcere Tulliano", le cui sottoscrizioni ricorrono nelle bolle di Urbano III, di Gregorio VIII e di Clemente III, dal 20 apr. 1185 al 17 maggio 1188. Nel medesimo 1188 il G. appare come testimone, insieme con altri quattro cardinali diaconi - Ottaviano dei Ss. Sergio e Bacco, Gregorio di S. Maria "in Porticu" in Campitelli, Giovanni Malabranca di S. Teodoro al Palatino e Gregorio di S. Maria in Aquiro -, in un documento del 5 ottobre, ove però il suo nome non è accompagnato dall'indicazione della diaconia. Tale circostanza non deve tuttavia fare dubitare della identificazione, perché anche del Malabranca, nominato cardinale diacono di S. Teodoro nel marzo di quel medesimo anno, il documento non indica la sede. Il G. fu in seguito nominato cardinale vescovo di Porto: il primo documento che egli sottoscrisse in tale veste è del 20 ag. 1190. Secondo un cronista coevo, l'inglese Roger of Howden, alla morte di Celestino III il G. era considerato tra i papabili. La notizia suscita qualche perplessità, perché il successore di Celestino III, Lotario di Segni, fu eletto papa col nome di Innocenzo III al primo scrutinio del conclave tenutosi l'8 genn. 1198, che era il giorno stesso della morte di Celestino III.
La documentazione pervenuta sull'attività politico-religiosa del G. è assai scarsa. Tuttavia, che egli fosse un personaggio di rilievo, anche dal punto di vista culturale, si deduce dal fatto che Innocenzo III, quando era ancora cardinale diacono, gli aveva dedicato la sua opera De miseria humanae conditionis. D'altro canto, il rilievo e i successi dell'attività diplomatica svolta dal G. durante i pontificati di Celestino III e di Innocenzo III portano a concludere che notevoli dovevano essere le sue capacità di uomo di Chiesa e di governo. Il G., insieme con il cardinale prete di S. Pietro in Vincoli, fu delegato nel marzo del 1191 da Celestino III ad accogliere in San Quirico d'Orcia presso Siena Enrico VI, il nuovo re di Germania, che si stava dirigendo alla volta di Roma per ricevervi la corona imperiale. Il G. e il suo collega avevano certamente ricevuto istruzioni per convincere il sovrano a onorare l'impegno preso il 3 apr. 1189 di restituire alla Sede apostolica gran parte del "Patrimonium beati Petri" da lui occupato. I delegati pontifici raggiunsero l'obiettivo: Enrico VI, dall'aprile del 1191, cominciò a sciogliere gli abitanti della Romagna e della Campagna romana dal giuramento di fedeltà prestato.
Celestino III, nel secondo anno del suo pontificato, affidò al G. il compito di amministrare, insieme con Giovanni Felice, cardinale diacono di S. Eustachio, una legazione a Costantinopoli. Da essa i due prelati tornarono nei primi mesi del 1193, come risulta dalla notizia dello sbarco a Brindisi e del loro arrivo a Roma avvenuto prima del 2 marzo, giorno in cui sottoscrissero la bolla Religiosam vitam eligentibus per il monastero di S. Maria "de Ferraria", in diocesi di Teano. In tale missione il G. ottenne un nuovo successo, se gli ambasciatori di Costantinopoli e quelli di Riccardo, re d'Inghilterra, giunsero presso la Curia pontificia e assistettero alla canonizzazione di s. Giovanni Gualberto celebrata in Roma il 1° ottobre di quello stesso anno. L'importanza dei risultati ottenuti dal G. a Costantinopoli è provata dalla circostanza che nel 1194 giunse a Roma e presentò le credenziali alla Sede apostolica una legazione inviata da Isacco Angelo, imperatore bizantino.
Se Celestino III apprezzò del G. l'intuito e la perizia diplomatica, Innocenzo III tenne in grande considerazione le sue doti di uomo politico e di governo e la sua profonda conoscenza del diritto canonico: nel 1201, nominatolo infatti "Apostolicae Sedis legatus" nel Regno di Sicilia, in Terra di Lavoro e in Puglia, gli affidò il difficile compito di sovrintendere in suo nome alla vita religiosa e politica dell'Italia meridionale e di sostenere il conte Gualtieri di Brienne nella lotta contro Marquardo di Annweiler, Dipoldo di Schweinspeunt conte di Acerra, Oddo di Laviano e i loro aderenti, tutti nemici di Federico di Svevia ancora fanciullo. Già alla fine dell'anno il G. era impegnato "super inquisitione morum et conversationis episcopi Brundusini" (Potthast, n. 1242). Rientrato a Roma, il G. ebbe un'ulteriore prova della grande fiducia, che Innocenzo III nutriva per lui: infatti, lasciando Roma per Ferentino nel maggio 1206, il pontefice lo nominò vicario nella città sino al suo ritorno. Il G. consacrò un altare nella basilica del Pantheon il 18 maggio 1208.
Tre sono le notizie pervenute circa l'attività svolta dal G. come canonista. Innocenzo III, ricevuta una delegazione della diocesi di Tripoli di Siria che protestava contro Geoffroy de Donjon, gran maestro dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme per la riscossione delle decime della Chiesa di Anafah (Enfe) e per l'occupazione di tre casali, formò nei mesi di marzo-aprile del 1198 una commissione composta dai cardinali Guido, del titolo di S. Maria in Trastevere, e Gregorio, diacono di S. Angelo in Pescheria. A essa prepose il G., affidandole il compito di risolvere la controversia. Successivamente il G. fu delegato a risolvere una lite per il possesso di una prebenda del capitolo canonicale di Novara, della quale era stato investito da Celestino III il chierico Alberto Sicco e che in precedenza era stata conferita al vescovo di Porto. Il 10 giugno 1199, il G. ricevette l'incarico di risolvere il complicato problema dei canonici regolari che, insediatisi da una trentina di anni nell'abbazia cistercense delle Îles d'Hyères (Tolone) e ottenuto di professarvi la regola cistercense, avevano cambiato parere nonostante l'intervenuta concessione di Alessando III. Il G., oltre a risolvere la questione canonica, dovette tenere presente il problema di fondo costituito dal fatto che il gruppo di isole era di proprietà della Camera apostolica. Il 27 nov. 1199 presiedette la commissione cardinalizia formata da Giovanni, vescovo di Albano, e da Gregorio, diacono di S. Angelo in Pescheria, per risolvere la causa di evizione di beni della chiesa di S. Maria in Via Lata, usurpati da Giovanni di Atteia, sindaco del monastero di S. Silvestro in Capite, causa iniziata al tempo del senatore Benedetto Carushomo (1191-92). Il pontefice, su giudizio del G., riconobbe definitivamente la proprietà ai chierici di S. Maria in Via Lata.
L'ultima sottoscrizione conosciuta del G. risale al 25 febbr. 1211. Il cardinale morì dopo questa data, non si conosce l'anno, un 14 marzo come risulta dalla nota obituaria inserita nel necrologio del monastero romano dei Ss. Nicola e Ciriaco in via Lata.
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