FREGOSO, Pietro (Piero)
Nacque intorno al 1470, unico figlio di Battista, doge dal 1478 al 1483, e di Catocchia Spinola. La giovinezza del F. si svolse fuori di Genova, prima nell'apprendistato e poi nell'esercizio delle armi presso gli Sforza, che servì come condottiero tra il 1495 e il 1499. Alla discesa di Luigi XII e alla cacciata di Ludovico il Moro da Milano nel settembre 1499, con conseguente dedizione anche di Genova alla Francia, il F. si ritirò nella propria rocca di Novi.
La località, strategicamente importante sulla via di comunicazione tra Genova e Milano e fornita di ottime difese, era stata tra i territori che il nonno Pietro - dopo la fine del suo dogato (1458) - era riuscito a detenere in proprio (gli era stata lasciata in pegno da Giovanni duca di Calabria), nel quadro di una sistematica politica personale con la quale anche i "popolari" Fregoso, imitando le grandi famiglie di origine feudale come i Fieschi e i Doria, sostennero il loro ruolo pubblico e compensarono i disagi del fuoruscitismo cui furono ricorrentemente costretti dalla fazione avversaria.
A Novi il F. dovette restare ininterrottamente dal 1499 al 1512, chiuso nel proprio castello nei momenti difficili. Nel marzo 1507, insieme con altri nobili fuorusciti, impedì il passaggio agli ambasciatori inviati dal governo popolare di Genova al luogotenente generale francese a Milano; Novi fu occupata allora dalle truppe francesi e restituita al F. solo dopo molte trattative.
Solo la fine del dominio francese consentì al F. il rientro a Genova, alla fine del giugno 1512. Forse Giulio II, a capo della lega antifrancese, aveva sollecitato alla liberazione di Genova sia il F. sia Giano Fregoso; o forse piuttosto il cardinale legato, M. Schinner, a Pavia aveva avuto modo di incontrare il F. e di affidare anche a lui le credenziali per proporsi a Genova come candidato della lega al governo della città: sta di fatto che il F. si presentò al Senato forte di queste credenziali.
Tra il 22 giugno, giorno di ingresso di Giano, e il 30, giorno della sua elezione, la situazione in Genova, appena liberata dai Francesi, rischiò di precipitare in un nuovo conflitto civile tra i due esponenti della famiglia Fregoso; ma l'intervento diplomatico di Giulio II a favore di Giano e le mediazioni familiari persuasero il F. a desistere e a ritirarsi a Novi. Un anno dopo, nel maggio 1513, Giano, indebolito dalla morte di Giulio II e dalle trame filofrancesi degli Adorno e dei Fieschi, fu cacciato da Antoniotto Adorno, governatore per la Francia; tuttavia, in seguito alla sconfitta francese di Novara, il F. poté rientrare trionfalmente a Genova il 17 giugno a fianco di Ottaviano Fregoso, a capo di un contingente spagnolo. Il giorno dopo Ottaviano fu proclamato doge. Quale ruolo il F. abbia svolto durante l'intenso biennio del governo di Ottaviano è impossibile stabilire; non sorprende che non gli sia stata conferita alcuna carica ed è significativa la sua completa eclissi anche dalle cariche militari: quasi che, come l'anno prima con Giano, la frustrazione delle sue personali aspirazioni al dogato gli avesse di nuovo fatto preferire, a un ruolo comunque subordinato, il volontario esilio nella sua Novi. Di qui il F. si mantenne comunque attento osservatore dei nuovi equilibri internazionali e delle loro ripercussioni genovesi. Dopo il sacco di Roma nel 1527, modificando la posizione antifrancese fino allora mantenuta, offriva i suoi servigi alla Francia per la riconquista di Genova: e forse era al fianco di Cesare Fregoso quando questi, il 19 agosto, entrò in Genova con le forze francesi, appoggiato dal mare da Andrea Doria. Ma le successive incalzanti vicende e, soprattutto l'editto con cui il Doria espulse definitivamente da Genova i Fregoso e gli Adorno, costrinsero anche il F. a restare per sempre fuori dalla città.
Nel piano di recupero dei territori confinanti appartenenti alle famiglie espulse, il Banco di S. Giorgio offrì al F., nel 1528, 15.000 scudi e 1.000 "luoghi" di S. Giorgio, per la cessione di Novi; il F. declinò l'offerta e, secondo il Litta, ceduta alla moglie Auriga Gambaro e al cugino di lei L. Crotti - capo di un reparto militare francese - la difesa della città, si ritirò in Alessandria, dove sarebbe poi morto nel 1548.
Secondo la versione meno plausibile del Donaver, invece, la Repubblica chiese, sempre nel 1528, la consegna di Novi alla Gambaro, già vedova del F., la quale avrebbe consegnato il feudo al Crotti, che lo avrebbe tenuto e difeso dal novembre 1528 fino al 19 luglio 1529, quando dovette cedere all'attacco dei commissari della Repubblica, Agostino e Bartolomeo Spinola. Con la morte del F., senza prole, si chiude comunque questo ramo della famiglia. È errata l'attribuzione del Litta di una prima moglie del F. nella persona di Francesca Fieschi.
Fonti e Bibl.: B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIV, 8, pp. 151, 163; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova 1825, p. 6; F. Donaver, Storia della Repubblica di Genova, Genova 1913, II, p. 154; L. Levati, I dogi perpetui di Genova, Genova 1928, p. 493; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, p. 172; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Fregoso, tav. III.