FORTINI, Pietro
Nacque a Siena agli inizi del sec. XVI, da Lorenzo di Fortino e da Eufrasia Ballati, che si erano uniti in matrimonio nel 1496 (Milanesi, Notizie…, p. 621).
Della sua famiglia, legata al Monte del popolo, si rintracciano notizie sin dal 1388. Da alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Siena sappiamo che ebbe almeno quattro fratelli: Fortino, morto nel 1512; Niccolò e Francesco, morti rispettivamente nel 1523 e nel 1544, e Francesca, che fu l'unica che gli sopravvisse e che viene menzionata nell'ultimo testamento del F. (1561).
Secondo quanto afferma C. Milanesi (ibid., p. 624) il F. si sposò due volte: con Aurelia di Calisto Fungai e con Laura di Niccolò Sermini, nel 1556. Siamo in possesso di sette testamenti del F., di cui tre olografi. Particolarmente importante il testamento del 1551, poiché costituisce l'unica traccia diretta della sua attività letteraria: il F. infatti designa il concittadino Alfonso Capacci - cui in seguito dedicherà alcune rime - come unico erede di tutti i suoi libri di composizione. Non si hanno invece notizie sulla formazione e sugli studi compiuti dal F., che troviamo nel 1536 (dal gennaio al luglio) vessillifero della Compagnia di S. Vincenzo nel quartiere senese di Camollia, dove si trovava la sua abitazione. Tale carica, puramente onorifica, gli venne nuovamente attribuita nel gennaio del 1546 e del '48. Intorno a questi anni il F. lavorò come artigiano in un'impresa per la lavorazione della carta diretta da Ercole Gulielmi, come testimonia una lettera inviata dal F. alla Balia dei quaranta (Glenisson-Delannée, P. Fortini…, p. 98). Negli anni successivi si accrebbe l'impegno pubblico del F., che nel gennaio del 1552 venne nominato vicario di Batignano, carica che mantenne per un anno e che gli conferiva poteri giudiziari e militari. In tale veste il F. venne inviato in missione in diverse località del dominio senese, al fine di reperire uomini e mezzi in vista della guerra, dopo la rivolta contro gli Spagnoli che nel 1547 avevano occupato e depredato Siena e le sue campagne. La guerra durò tre anni (1552-55) e si concluse con la resa incondizionata di Siena all'alleanza imperial-fiorentina. Di questa sua attività sono specchio fedele cinque lettere autografe conservate nell'Archivio di Stato di Siena (cfr. Glenisson-Delannée, 1983) che non solo costituiscono un valido strumento ai fini della ricostruzione della sua biografia, ma rivelano anche i suoi stretti legami col governo senese.
Del nuovo assetto politico, e dell'opportunità di adeguarsi a esso, deve aver tenuto conto il F. quando, nel 1558, scrisse a Cosimo I de' Medici offrendogli la possibilità di impadronirsi della rocca di Montalcino, ultimo baluardo della resistenza dei fuorusciti senesi (Archivio di Stato di Firenze, Carteggio universale di Cosimo I, filza 472 n. 484). Tale atteggiamento di ossequio formale nei confronti di Cosimo si era già rivelato nel 1547 quando il F. gli aveva dedicato Fortunio, una commedia tuttora inedita conservata manoscritta nella Biblioteca nazionale di Firenze (cl. VII 171). La mutata posizione politica del F. potrebbe essere stata la causa del suo temporaneo allontanamento da Siena per ritirarsi nei suoi possedimenti di Monaciano, presso la Certosa di Pontignano (De Angelis, Biografia…, p. 303). Di un presunto viaggio a Roma del F., cui si fa riferimento nel Novelliere, non si hanno invece notizie dirette dai suoi biografi.
Il F. morì a Siena il 24 genn. 1562 e fu sepolto nella chiesa di S. Domenico.
Pur restando incerta la sua effettiva appartenenza alla Congrega dei Rozzi, che insieme all'Accademia degli Intronati contribuì a fare della Siena cinquecentesca un centro culturale ricco e vivace, resta comunque l'adesione sostanziale del F. a una linea culturale che privilegiava la polemica antispagnola, la satira anticlericale, il mondo contadino.
L'opera maggiore del F. è un vasto zibaldone comprendente due raccolte di novelle: Le giornate delle novelle de' novizi e Le piacevoli ed amorose notti de' novizi, di cui si conserva una copia autografa nella Biblioteca comunale degli Intronati (segn. I. VII. 19-192). Nella medesima Biblioteca senese si trova una copia della fine dell'800 del codice (segn. K. III. 65-66), mentre non si hanno più notizie di un'altra copia - sempre del sec. XIX - del codice autografo segnalata da G. Porro (Catalogo…, p. 161). Particolarmente tortuosa la vicenda editoriale del novelliere fortiniano che, a causa dell'abbondante materia erotica e oscena che lo caratterizza, cominciò a venir pubblicato per estratti solo alla fine del '700. Per tutto il secolo successivo videro le stampe una serie di racconti in edizioni parziali e scorrette. La prima edizione dell'opera del F. condotta con un certo rigore filologico venne intrapresa a cura di F. Orlando e G. Baccini, Le giornate delle novelle de' novizi e Le piacevoli ed amorose notti de' novizi in cinque volumi, che si arrestano a circa la metà della novella IV della notte VI (in Giornale d'erudizione, Firenze 1888-1905; rist. anast. in quattro voll., Bologna 1967). Di recente A. Mauriello ha curato una edizione completa dell'opera, corredata da uno studio complessivo sul F. (Le giornate delle novelle dei novizi, I-II, Roma 1988; Le piacevoli e amorose notti dei novizi, I-II, ibid. 1995). Lo zibaldone del F. è dedicato a Faustina Braccioni, donna amata a lungo dal poeta, che è stata recentemente identificata, con un certo margine di incertezza, in una Faustina Lucrezia figlia di Vettorio Braccioni (Mauriello, Componimenti inediti…, p. 155 n. 2).
I dati necessari a individuare i tempi di gestazione della raccolta sono individuabili all'interno dell'opera stessa: nelle novelle I e XXV delle Giornate troviamo riferimenti all'assedio portato a Siena dalle truppe fiorentine negli anni 1554-55, che costituiscono il termine post quem di composizione generalmente accettato. Recentemente però A. Mauriello (Introduzione a Le giornate…, p. XX) ha proposto di spostare il termine in avanti, in base al riferimento contenuto nella novella XVII delle Notti all'intervento del pontefice Paolo IV (1555-59) in una contesa territoriale. Singolare il fatto che, mentre nelle Giornate i riferimenti storici sono numerosissimi (legati soprattutto al decennio 1530-40), la seconda parte della raccolta presenta una collocazione temporale più imprecisa, mentre troviamo nuovamente diversi riferimenti cronologici nelle trenta novelle della notte VI, novelle che sono per la maggior parte ambientate nella Firenze di Cosimo de' Medici (1537-74). Si deve così supporre un'elaborazione molto lunga dell'opera, il cui nucleo centrale dovrebbe essere costituito dalle Giornate, nate come omaggio alla Braccioni. La raccolta si sarebbe quindi arricchita attraverso gli anni di commedie, versi, novelle, scritti in momenti diversi e ricomposti nell'ordine attuale, attraverso un laborioso lavoro editoriale interrotto nel 1561 dalla improvvisa malattia dello scrittore (Milanesi, Notizie…, p. 625).
Le due parti in cui l'opera è divisa presentano fra loro notevoli differenze strutturali. Nelle Giornate - in cui è più evidente il modello del Decameron - cinque donne e due uomini decidono di incontrarsi quotidianamente per otto giorni in un ameno giardino, per trascorrere il tempo narrando una novella ciascuno, secondo l'ordine deciso da un "signore" cui spetta il compito di novellare per ultimo. A conclusione di ogni giornata uno dei giovani canta - secondo i moduli della poesia petrarchesca della fine del '400 - le proprie pene d'amore. Il venerdì alle novelle si sostituiscono versi e si narra, di Apuleio, la favola di Amore e Psiche, mentre il sabato viene dedicato alla cura del corpo e la domenica al culto religioso. Terminate le Giornate la brigata stabilisce di continuare gli incontri, riunendosi però di notte, due giorni alla settimana (di solito il giovedì e la domenica) e in luoghi sempre diversi. Le prime cinque notti contengono poesie liriche, dibattiti amorosi, giochi di società, alcune commedie ma solo due novelle. In tal modo si trasforma la fisionomia iniziale dell'opera, anche per i ritmi narrativi diversi. Con la notte VI si ritorna a un ritmo più stabile in quanto essa si divide in tre giornate, durante le quali i partecipanti alla brigata, divenuti undici, raccontano trenta novelle incorniciate da rime iniziali e finali e recitano un'altra commedia, la Galatea - edita a cura di A. Mauriello (Napoli 1983) - preceduta da un banchetto. In totale le novelle narrate sono 81 (49 nelle Giornate e 32 nelle Notti), cifra che resta abbondantemente entro il limite massimo di 125-150 che il F. si era dato nel Prologo.
Il richiamo al Decameron va inteso in senso ampio: la cornice infatti non costituisce più il principio ordinatore della raccolta, la regola e la misura del mondo presentato dalle novelle, ma lascia un ampio margine di libertà ai novellatori, evidenziato anche dal fatto che l'argomento della narrazione non è stabilito e che spesso gli stessi narratori sono gli interpreti della vicenda narrata. Inoltre non può sfuggire il diverso uditorio al quale l'opera si rivolge: non più femminile, come nel Decameron, ma maschile, con il proposito quasi didascalico di fornire ai "poveri gioveni baccelloni" una serie di suggerimenti amorosi e mondani esemplificati all'interno delle novelle. Vari sono i temi affrontati nelle novelle, ma ad alcuni il F. dedica uno spazio e un interesse maggiori. In primo luogo la satira anticlericale che occupa per intero la III giornata. Di particolare importanza la satira nei confronti degli invasori spagnoli e dei Napoletani, accomunati nella novella XIII, e i cui vizi, la presunzione, la sfacciataggine, la cupidigia hanno valore ambivalente. Il F. dedica una particolare cura a mettere in evidenza i difetti dei Fiorentini, nei confronti dei quali la satira tradizionale veniva rinvigorita dalla particolare congiuntura politica, che vedeva Siena oggetto delle mire medicee. Ampio spazio viene dato dal F. alla diffusa satira anticontadina cui viene contrapposta la superiorità del ceto urbano. Lo sfondo sul quale si ambienta la maggior parte delle novelle è quello della Siena cinquecentesca che il F. descrive con estrema minuzia e grandissima vivacità, fornendo le coordinate di un universo facilmente riconoscibile ai lettori del tempo. Raramente la narrazione abbandona Siena o il suo contado, per trasportarsi a Firenze o in altri luoghi della Toscana, oppure a Bologna, Ferrara, Roma, Venezia, che forniscono quadri di ambientazione esotica. Per quel che riguarda lo stile fortiniano va detto che i risultati migliori vengono raggiunti quando egli, seppur di rado, abbandona il periodare involuto e complesso, fitto di moduli paraipotattici, per passare a una narrazione più distesa, caratterizzata dall'uso sapiente del dialetto.
Nella Biblioteca senese del Monte dei paschi (ms. 71) è conservata una raccolta autografa di rime, Poesie di Pietro Fortini dirette a Faustina Braccioni a Cellore l'anno 1551. La raccolta comprende, oltre a una lettera e alle rime per la Braccioni, alcune terzine dedicate al senese Alfonso Capacci, e un sonetto alla burchiellesca diretto a un non meglio identificato Cruciano.
La critica nei confronti del novelliere fortiniano è stata fino alla fine dell'800 viziata dall'accusa di pornografia che lo circondava. Solo la critica del secolo XX ha pienamente riconosciuto la presenza di suggestioni diverse, abilmente intrecciate, che costituisce il pregio maggiore dell'opera del F., in cui l'osceno non è che una componente (insieme alla satira politica e alla vis comica) di una tessitura narrativa ricca e complessa.
Sul verso della quarta carta del primo volume che contiene lo zibaldone fortiniano, sono riprodotte le due facce di un medaglione che rappresentano rispettivamente un profilo del F. e Paride che offre il pomo a Venere, mentre la quinta carta porta sul recto un ritratto dello scrittore. In entrambi i casi si tratta però di aggiunte del sec. XVIII. Il ritratto del F. venne ripreso dalla medaglia coniata nel '500 da D. Beccafumi, che pare fosse in possesso dell'abate senese Giuseppe Ciaccheri, il primo bibliotecario della Biblioteca degli Intronati nel '700.
Fonti e Bibl.: L. De Angelis, Biografia degli scrittori senesi, Siena 1824, pp. 303 ss.; C. Milanesi, Prefaz. a Giacomo Pacchiarotto pittore e la Compagnia dei Bardotti, novellastorica di P. F. senese, in Eccitamento, I (1858), pp. 621-628; C. Mazzi, La Congrega dei Rozzi diSiena nel sec. XVI, Firenze 1882, II, pp. 231 ss.; G. Porro, Catalogo dei codici manoscritti dellaTrivulziana, Torino 1885, p. 161; J. Ulrich, Ein Beitrag zur Geschichte der italienischen Novelle, in Festschrift der Universität Zürich, zur Begrüssung der 39. Versammlung Deutscher Philologenund Schulmänner, Zürich 1887, pp. 61-90; B. Croce, Novelle, in Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1946, p. 499; Novelle del Cinquecento, a cura di G.B. Salinari, Torino 1955, I, pp. 48 s.; II, pp. 317-378; B. Croce, Poeti escrittori del pieno e del tardo Rinascimento, I, Bari 1958, p. 267; R. Scrivano, P. F., in La Rassegna dellaletteratura italiana, s. 7, LXVIII (1964), pp. 303-340; A. Mauriello, Cultura esocietà nella Siena del Cinquecento, in Filologia e letteratura, XVII (1971), pp. 26-48; M. Guglielminetti, Introduzione ai Novellieri del Cinquecento, Milano-Napoli 1972, I, pp. XLIX-LIII; A. Mauriello, Polemica sociale e conflitti municipali nella narrativa diP. F., in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'università di Napoli, XX (1977-78), pp. 187-213; F. Glenisson-Delannée, P. F., défenseur de la République de Sienne, in Bull. senese di storia patria, XC (1983), pp. 95-125; M. Guglielminetti, La cornice e il furto, Bologna 1984, ad Indicem; F. Glenisson-Delannée, La Galatea di P. F., in Bull. senese di storia patria, XCIII (1986), pp. 95-125; Id., Érotisme et obscénité dans les nouvelles de P. F., in Au pays d'Éros. Littérature et érotisme en Italie de la Renaissance à l'âge baroque, Paris 1986, pp. 11-69; A. Mauriello, Componimenti inediti di P. F. in un manoscrittoautografo del Monte dei paschi di Siena, in Filologia e critica, XII (1987), pp. 153-184; F. Glenisson-Delannée, Le triomphe des vertus de Pallas. Mythologie et politique dans "Fortunio" comédie inédite de P. F., in Théâtre en Toscane. La comédie (XVIe, XVIIe et XVIIIe siècles), Saint-Denis 1991, pp. 25-68.