FELTER, Pietro
Nacque a Roè Volciano in provincia di Brescia il 4 ag. 1856 da Antonio e Diletta Bacoli, originari del Trentino, ma trasferitisi poi a Sabbio, nella valle del Chiese, dove gestivano una locanda posta lungo la strada che attraversava la valle. Compì gli studi a Sabbio e a Salò, terminò le scuole tecniche a Breno, fece pratica di segreteria e svolse mansioni di ufficiale di registro a Preseglie. Dopo aver fallito l'esame per entrare nella Scuola militare di Modena, il F. si arruolò come volontario nell'esercito all'età di diciassette anni: destinato inizialmente a Roma nel quartiere dei corazzieri, nel corso di dieci anni di vita militare caratterizzata da numerosi atti di insubordinazione che gli costarono svariati periodi di carcere, riuscì a raggiungere i gradi di sergente, svolgendo diverse mansioni, dal litografo al velocipedista, all'addetto alla brigata. Entrato finalmente nella Scuola militare di Modena, ne uscì col grado di sottotenente effettivo ed in tale veste nel 1883 si trovava di presidio a Firenze nel corpo del commissariato, dove fu ammesso a far pratica alla sezione fototopografica e ad apprendere qualche rudimento di medicina e chirurgia.
Messosi in aspettativa, nel maggio del 1884 raggiunse Assab in Eritrea, da dove tuttavia rientrò in Italia l'anno successivo perché gran parte delle sue iniziative (in particolare una sua spedizione a Ralieita per liberare un gruppo di schiavi e le fraterne accoglienze da lui riservate ad A. Franzoi) erano state boicottate dalle autorità ufficiali.
Abbandonato l'esercito, ripartì però ben presto recandosi dapprima ad Aden come impiegato delle saline Bulgarella e Guastalla e, dopo lo scioglimento di questa società, a Perini come agente di una casa francese impegnata nel commercio del carbone. Poi, a partire dal 1890 (l'anno precedente era tornato momentaneamente a Roma, proprio pochi giorni prima della missione scioana guidata da Makonnen, allora semplice deggiacsmac) funell'Harar in Etiopia, dove avrebbe svolto un ruolo prezioso e deficato al tempo stesso nell'ambito dei difficili rapporti fra il governo italiano e le autorità locali, soprattutto nel periodo più turbinoso delle relazioni politiche dell'Italia con lo Scioa, dopo l'abbandono di quel territorio, nel 1891, da parte del conte P. Antonelli. In questa attività fu coadiuvato efficacemente dalla moglie Agostina de Glatignée, vedova de La Porte, dalla quale ebbe cinque figli: Antonio, Maria Diletta (nata in Italia nel 1891), Piera (nata in Harar nel 1892 e tenuta a battesimo da ras Makonnen: sarebbe stata sorella di latte di Tafarì, il futuro imperatore Hailè Sellassiè), Marco (nato in Italia nel 1896) ed Alba, nata nel 1897.
Come rappresentante ufficiale della casa di commercio Bienenfield di Aden e corrispondente ufficioso del governo italiano, egli seppe infatti intervenire presso ras Makonnen con risultati positivi in diverse circostanze pericolose e delicate per gli italiani operanti in quei territori, a dimostrazione dell'influenza e delle sinipatie che era riuscito a conquistarsi in un ambiente allora piuttosto ostile alla penetrazione italiana. Fece liberare Giuseppe Candeo ed Enrico Baudi di Vesme, prigionieri di Makonnen, recuperando anche tutto il materiale scientifico che era stato loro sequestrato; ricuperò pure tutta la corrispondenza del conte Augusto Salimbeni rimasta nello Scioa e, nel 1892, quando questi volle tornare nell'Harar per definire alcuni conti rimasti in sospeso col ras, lo fece liberare dopo che era stato arrestato a Biocaboba dal capo di quella piccola località di confine.
Quando la situazione precipitò e ras Makonnen ricevette dal suo imperatore l'ordine di partire per il Nord, costui fece avvisare il F. di mettersi in salvo e scendere alla costa, a Zeila (il F. vi giunse nell'ottobre del 1895), dove avrebbe dovuto restare fino a quando non gli fosse pervenuta una lettera che il ras gli avrebbe inviato dopo aver conferito con Menelik. Sollecitato a mettersi in contatto col ras, dopo svariate vicissitudini, il F. riuscì a raggiungere il campo nemico il 7 genn. 1896, in tempo per assistere, il giorno 11, ad un disperato attacco abissino al forte di Makallè, e ricevere il giorno dopo, da Menelik, una lettera per il generale O. Baratieri. Ebbe poi un ruolo rilevante nelle laboriose trattative per la liberazione delle truppe italiane, rinchiuse nel forte sotto il comando del maggiore G. Galliano, che poterono uscire con l'onore delle armi il 21 gennaio.
Nel clima di sospetto e di diffidenza che caratterizzarono tutto questo periodo della avventura coloniale italiana il F. venne anche sospettato, per la sua familiarità coi capi abissini, di collaborare col nemico e venne accusato in Parlamento da M. Pantaleoni di aver comprato la liberazione dei contingente italiano rinchiuso a Makallè con un numero imprecisato di milioni prelevati da un grosso credito che la casa Bienenfield vantava allora nei confronti di ras Makonnen.
Che le sue iniziative non fossero mai risultate particolarmente gradite alle autorità governative (ed in particolare a Cesare Nerazzini, funzionario degli Esteri inviato in missione in Eritrea dal Rudinì) lo dimostra anche il fatto che, dopo tante promesse di incarichi prestigiosi e gratificanti, fu nominato commissario ad Assab, vale a dire nella residenza allora più disagiata dell'Eritrea, dove riuscì a resistere fino al 1907, rientrando però in Italia quasi cieco e minato dalla lebbra. Morì a Sabbio Chiese (Brescia) il 25 genn. 1915 (otto mesi dopo morirà anche il figlio ventenne Marco, ufficiale degli alpini, medaglia d'argento della prima guerra mondiale).
Nel 1936 la figlia Alba cercò invano, recandosi anche in Africa (vedi il diario dal titolo Vagabondaggi, soste, avventure negli albori di un Impero, pubblicato a Brescia nel 1940), di rientrare in possesso dei beni acquistati dal padre in Harar: ottenne solo il riconoscimento, da parte del governo italiano (prot. 2337 del 19 nov. 1936 del Commissariato regionale delMarar) dell'esistenza dei possedimenti Felter in Harar.
Le memorie del F. relative alle vicende del 1895-1896, dettate al suo ritorno in patria ad un'insegnante e lasciate alla figlia Alba, furono pubblicate a Brescia nel 1935 (La vicenda africana, 1895-1896). Altre sue testimonianze erano apparse nel corso del 1914 su La Provincia di Brescia. Una sua relazione sulla regione di Assab è compresa negli Atti parlamentari (Camera, legislatura XXIII, sess. 1909-1913), ai quali rimandiamo anche per gli episodi e le polemiche relative all'assedio di Makallè.
Le Lettere inedite del F. sono state pubblicate a cura di A. Monti a Brescia nel 1939.
Fonti e Bibl.: Documenti del F. e relativi al F. si possono reperire nell'Archivio del Ministero degli Esteri e dell'ex Ministero dell'Africa italiana a Roma, ma soprattutto nel Carteggio Fetter che fa parte della Collezione Castellini conservata al Museo del Risorgimento di Milano: più di un migliaio di pagine manoscritte, resoconti ufficiali, lettere private, donate al Museo da Eugenia Del Bo, vedova del generale G. Pantano, che a sua volta le aveva avute da Alba Felter Sartori, figlia di Pietro. Quest'ultima, ancora vivente qualche anno fa a Commessaggio di Mantova, possedeva qualche ricordo del padre. Cfr. inoltre: O. Baratieri, Memorie d'Africa, Torino 1898, ad Indicem;G. B. Raimondo, L'assedio di Macallé, Finalborgo 1901, pp. 218 ss.; C. G. Pini, Frammenti de' miei ricordi d'Affrica, Città di Castello 1912, pp. 208-212 (con ritratto del F.); P. F., in La Provincia di Brescia, 26 genn. 1915; G. Pantano, Ventitré anni di vita africana, Firenze 1932, pp. 53-56; M. Pezzi, Il bresciano P. F. mediatore fra Galliano e Menelich, in Il Popolo di Brescia, 9 nov. 1933; E. Canevari-G. Comisso, Ilgenerale Tommaso Salsa e le sue campagne coloniali. Lettere e documenti, Milano 1935, ad Indicem;Un reduce, L'assedio di Makallé (ricordi della campagna d'Africa, 1895-1896), Milano 1935, passim;C. Conti Rossini, Italia ed Etiopia dal trattato di Uccialli alla battaglia di Adua, Roma 1935, ad Indicem; L. Traversi, Un pioniere: P. F., in Rivista delle colonie, X (1936), pp. 1281-1291; A. Monti, P. F., il salvatore degli eroi di Macallè, in Corriere della sera, 25 giugno 1938; G. Mondini, La resa di Macallé nelle memorie di P. F., in Cremona, XI (1939), pp. 9-14; G. Puglisi, Chi è? dell'Eritrea, Asmara 1952, p. 125; E. De Leone, Le prime ricerche di una colonia e la esplorazione geografica ed economica, Roma 1955, ad Indicem; Crispi e Menelich nel Diario inedito del conte Augusto Salimbeni, a cura di C. Zaghi, Torino 1956, passim;R. Battaglia, La prima guerra d'Africa, Torino 1958, pp. 642 s., 688; S. P. Petrides, Le héros d'Adoua, ras Makonnen prince d'Ethiopie, Paris 1963, passim;F. Bandini, GliItaliani in Africa. Storia delle guerre coloniali, 1882-1943, Milano 1971, ad Indicem;R. Rainero, L'anticolonialismo italiano da Assab ad Adua, Milano 1971, ad Indicem;A. De Jaco, Di mal d'Africa si muore, Roma 1972, pp. 364-367; A. Del Boca, GliItaliani in Africa Orientale. Dall'Unità alla marcia su Roma, Roma-Bari 1976, ad Indicem;C. Zaghi, La conquista dell'Africa. Studi e ricerche, Napoli 1984, ad Indicem; M. Romandini, Un carteggio inedito F. -Persico durante la prima guerra d'Africa, in Miscellanea di storia delle esplorazioni, XII, Genova 1987, pp. 181-200; Id., Ildopo Adua nei documenti del carteggio F., in Studi piacentini, n. 9, 1990, pp. 139-158; Arch. stor. della Società Africana d'Italia, I, Inventario, a cura di C. Intartaglia - C. Scaramella, Napoli 1992, p. 182; C. Zaghi, Rimbaud in Africa, Napoli 1993, ad Indicem.