FARNESE, Pietro (Petruccio)
Nato intorno all'inizio dei XIV secolo., probabilmente figlio primogenito di Nicola (Cola) di Ranuccio, crebbe negli anni in cui i diversi rami della famiglia cominciarono a differenziarsi in maniera più marcata. Appartenente alla stirpe dei Farnese insediati nei castelli di Ischia e di Cellere nell'Alto Lazio (capostipiti della quale furono appunto il padre Cola e il fratello di questo Pietro), fu protagonista in prima persona del processo di rafforzamento signorile e di estensione dei rapporti di colleganza politica oltre il tradizionale ambito locale di gravitazione orvietana, che vide coinvolta più in generale l'intera casata nel corso del XIV secolo.
L'anarchia e la frantumazione dei poteri locali seguite alla traslazione avignonese della Sede apostolica offrirono infatti alle piccole e grandi signorie rurali della Tuscia romana e del Patrimonio di S. Pietro l'occasione per ampliare e consolidare le proprie posizioni di potere. Già nei primi decenni del XIV secolo Cola e Pietro erano stati coinvolti in conflitti e scontri armati con i signori e i Comuni della regione per il possesso di alcune terre e castelli; e nello stesso periodo avevano dato ripetute prove di fedeltà alla Chiesa, soccorrendone le forze in varie occasioni, e cementando in tal modo quella precoce e duratura scelta di campo a fianco del Papato che fece la fortuna della famiglia e ne rese possibile il progressivo allargamento di contatti politici e di rapporti giurisdizionali con le città guelfe toscane e umbre, Fu probabilmente in occasione di alcune di queste azioni belliche che il F. compì il proprio tirocinio militare. La prima notizia che si ha di lui lo attesta infatti, insieme col conte Guido di Orso da Pitigliano, prendere e atterrare il castello di Rispampano in mano ai ghibellini antipontifici nel 1345.
Acquisito rapidamente un prestigio personale di abile uomo d'arme, il F. fu condotto nello stesso 1345 dal Comune di Perugia come capitano generale nel vittorioso assedio a Castiglione Aretino dove si erano asserragliati alcuni signori ribelli. Nel maggio 1348 fece parte della delegazione di cittadini orvietani che si recò a Perugia per rimettere nelle mani dei suoi reggitori il governo della città, restaurata a regime guelfo grazie all'appoggio determinante dei Perugini, ma perdurantemente dilaniata dalle fazioni; e ancora, nel febbraio 1352, si batté per le strade di Orvieto nello scontro annato che restaurò più stabilmente il predominio dei Monaldeschi guelfi della Cervara sulla fazione nemica di Benedetto della Vipera.
Nell'estate del 1351, insieme coi fratelli Ranuccio e Puccio, il F. aveva occupato con le proprie masnade il castello di Canino. pur senza riuscire a prendere la rocca tenuta dal castellano pontificio, e poi quello di Valentano, compiendo scorrerie nelle zone circostanti Bolsena. Presto domata dall'esercito della Chiesa, la ribellione, inusuale quantomeno per le tradizioni filopontificie della famiglia, testimoniava non solo della volontà espansiva dei Farnese ma anche della loro prontezza nell'approfittare delle occasioni offerte dalla persistente anarchia nella regione per allargare e consolidare la propria supremazia. Con la nomina nell'estate del 1353 del cardinale Egidio Albornoz a legato con l'incarico specifico di restaurare la sovranità pontificia nei territori soggetti alla Chiesa, la scelta di schieramento filopapale dei F. e del ramo della sua famiglia si fece comunque più salda e definitiva. Anzi, proprio nell'attiva militanza al servizio dell'Albornoz, il F. e i suoi fratelli trovarono il mezzo per allargare decisivamente il raggio dei propri rapporti politici e delle proprie colleganze ad un ambito sovraregionale, ricoprendo incarichi militari e ruoli diplomatici di assoluto prestigio.
Già nel novembre 1353 il F. fu incaricato di scortare il legato da Perugia a Montefiascone, sede del rettore pontificio del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, mentre i fratelli Puccio, Ranuccio e Francesco soccorrevano a Valentano il capitano pontificio assediato dalle milizie del prefetto di Vico. Nel febbraio dell'anno successivo il F. partecipò, con altri membri della famiglia, al Parlamento convocato dall'Albornoz a Montefiascone per procedere alla revisione completa di tutti gli antichi diritti esercitati dalla Chiesa nei diversi paesi e località sottomessi alla giurisdizione del rettore pontificio, e per riorganizzare le iniziative di guerra contro i ribelli e sollecitare la fedeltà dei signori schierati con le forze pontificie. Il F. fu subito assoldato per recuperare la rocca di Toscanella (oggi Tuscania), occupata da Giovanni di Vico, alla cui Presa, nell'aprile del 1354. partecipò anche il fratello Francesco. Il mese successivo, il F. partecipò alla spedizione contro Corneto (oggi Tarquinia), roccaforte, insieme con Viterbo, dello schieramento ghibellino; nello stesso anno andò in aiuto di Perugia contro la cosiddetta "grande compagnia" di mercenari stranieri assoldati nelle fila imperiali.
Le ripetute dimostrazioni di fedeltà e i servizi militari resi alla causa della restaurazione pontificia furono presto ricompensati: nel maggio 1354 il F. e i suoi fratelli furono infeudati per dieci anni della giurisdizione e dei diritti sul castello di Valentano; nel novembre 1355 al F. furono concessi per dieci anni anche la giurisdizione e i diritti sulla metà del castello di Onano da dividersi con il fiorentino Albertaccio Ricasoli, altro conestabile che si era distinto combattendo per la Chiesa. Entrambi i benefici feudali furono riconfermati agli credi del F. nel 1364, in occasione di una seconda ricognizione generale dei diritti pontifici nel Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, e poi ancora in tempi successivi fino ad assumere il carattere di concessione perpetua.
Le valenti prove d'arme fornite nei conflitti locali all'interno del Patrimonio fecero del F. uno dei capitani di guerra preferiti dell'Albornoz, che lo impiegò negli anni successivi nelle guerre contro i Visconti in Romagna e per il controllo di Bologna. Nell'aprile 1360 il F. entrava infatti con il legato nella maggiore città emiliana, ove come capitano della Chiesa sedò nei mesi successivi un tumulto insorto contro Giovanni di Oleggio, il condottiero visconteo insignoritosi di Bologna che manteneva una posizione ambigua tra i Visconti e l'Albornoz ed era sempre più malvisto dai Bolognesi. Nel giugno 1361 fu uno dei principali protagonisti nella vittoriosa battaglia di San Ruffillo che le forze pontificie guidate dal vicario apostolico Galeotto Malatesta condussero contro l'esercito di Bernabò Visconti, e nel novembre 1362 comandò la spedizione che mise definitivamente in rotta a Granarolo le truppe viscontee.
I ripetuti successi di cui il F. fu artefice in prima persona e la fama che ne aveva acquisito gli valsero l'attenzione da parte del Comune di Firenze, in guerra con Pisa per contingenti questioni di inasprimenti doganali e di sbocchi portuali al commercio fiorentino, ma sostanzialmente per il diverso schieramento politico dei due centri, che avevano visto Pisa farsi alleata in Toscana dell'espansionismo visconteo e Firenze collocare la propria nascente supremazia regionale nell'ambito della coordinazione guelfa.
I rapporti con Firenze non rappresentavano una novità assoluta per il Farnese. Già negli anni Quaranta era stato incluso nel novero degli amici, collegati e aderenti dei Comuni di Firenze, Perugia e Arezzo; più volte poi, nel 1353, nel 1356 e nel 1359 era stato scrutinato nella rosa dei candidati all'elezione di podestà fiorentino., pur senza essere poi nominato; e nel 1354 anche in quella dei candidati alla carica di capitano di Guerra. Questa progressiva gravitazione nell'orbita del personale politico-militare di professione reclutato dal Comune di Firenze culminò appunto nel dicembre 1362 quando venne eletto capitano generale della Guerra per sei mesi a cominciare dal 10 febbr. 1363, in sostituzione di Rodolfò da Varano di Camerino responsabile dei rovinosi rovesci militari iniziali contro Pisa. In questo ruolo il F. proseguiva la tradizione familiare dei condottieri al servizio delle insegne dei giglio, che aveva visto distinguersi nei tempi precedenti gli avi Ranuccio di Ranuccio di Pepo, capitano della "taglia" dei Comuni guelfi toscani nel 1287, e Pietro di Ranuccio, suo fratello, capitano della cavalleria fiorentina nella guerra contro le forze imperiali di Enrico VII nel 1312.
Rispetto ai suoi antenati il F. acquistò maggior gloria e fama infèrendo una memorabile sconfitta ai Pisani. Il 7 maggio 1363 i due eserciti vennero infatti a battaglia nei pressi di Bagno a Vena: dopo un lungo e duro scontro, il F. riuscì a far prevalere le forze fiorentine, a far prigionieri moltissimi pisani, tra i quali il capitano di Guerra Ranieri da Baschi, e a catturare le bandiere nemiche. Enorme fu la risonanza a Firenze, dove il F. fu accolto trionfalmente ricevendo le insegne del Comune e il rinnovamento della condotta per altri sei mesi. Nelle settimane successive mosse quindi direttamente su Pisa compiendo guasti e scorrerie e giungendo fin nei sobborghi, ove il F. fece ritualmente correre un palio infamante di prostitute e battere monete commemorative, tra le quali una in argento con l'effige del patrono fiorentino S. Giovanni con una volpe, raffigurante Pisa, rovesciata sotto i piedi.
Durante l'assedio posto al castello di Montecalvoli il F. fu colpito dalla nuova ondata di pestilenza che fiagellò la Toscana in quell'anno e si spense repentinamente a San Miniato al Tedesco (oggi San Miniato, prov. di Pisa) nella notte tra il 19 e 20 giugno 1363. La salma fu trasportata a Firenze, dove le furono tributate esequie solenni.
La morte improvvisa e accidentale spezzò la carriera militare del F. in una fase di piena crescita, nel momento in cui forse egli si avviava a far parte stabilmente dell'élite del funzionariato professionale itinerante nel più ampio circuito italiano di reclutamento. Della sua generazione, nessun altro esponente della famiglia raggiunse i riconoscimenti e la notorietà ottenuti nelle imprese militari al servizio della Chiesa e di Firenze. Di lui non si ha infine notizia di matrimoni e di una diretta progenie.
Le gesta del F. vincitore dei Pisani rimasero a lungo impresse nell'immaginario pubblico fiorentino, in un intenso processo di postuma glorificazione letteraria e artistica. Oltre agli innumerevoli ricordi cronistici e storici, nel 1366 venne eretta in S. Reparata a Firenze, per mano dell'Orcagna, un'arca funebre con una statua equestre in legno; Antonio Pucci ne narrò gli atti guerreschi, la morte e la sepoltura nella sua Guerra tra Fiorentini e Pisani; Franco Sacchetti gli dedicò un sonetto (I' son Fiorenza, in cui morte s'accese). I suoi discendenti lo raffigurarono nel XVI secolo in un affresco nelle sale del palazzo fatto costruire dal cardinale Alessandro Farnese a Caprarola a esempio ed effige della gloria e memoria familiare.
Dei fratelli del F., Francesco fu con lui nelle prime operazioni armate nel Viterbese; analogo raggio di azione locale sembra aver caratterizzato l'operato di Puccio, che nel 1362 organizzò, insieme con le forze pontificie, la difesa di alcune terre e castelli del Patrimonio dalle incursioni della compagnia di mercenari guidata da Anichino di (Johannes) Baumgarthen. Solo l'altro fratello Ranuccio si affacciò con incarichi saltuari sulla scena politica sovraregionale: nell'aprile 1354 andò ambasciatore dell'Albornoz a Siena e a Firenze per sollecitare aiuti nella guerra contro Viterbo e Giovanni di Vico; nel 1368 fu eletto per sei mesi podestà di Foligno; e fu lui che alla morte del F. gli subentrò nella condotta di capitano generale della Guerra del Comune di Firenze. Ma per quanto "ardito e leale", egli si dimostrò in breve tempo "poco sperto in guidare gente d'arme", come annotò Filippo Villani: mal consigliato probabilmente dai propri condottieri, ma anche incapace di dar prova della risolutezza necessaria nelle operazioni belliche, fu rapidamente sostituito come capitano generale da Pandolfo Malatesta, accettando comunque di servire in sottordine; nell'ottobre 1363, nel corso dell'assedio posto a Figline caduta in mano ai Pisani, fu addirittura catturato nell'accampamento fiorentino di Incisa dalla compagnia "bianca" di mercenari inglesi assoldati dai Pisani, e quindi reso oggetto di un poco onorevole scambio di prigionieri seguito agli accordi di pace.
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