DOLFIN, Pietro
Nacque a Venezia da Giorgio di Francesco, dal ramo di S. Canciano della famiglia patrizia, e da Barbarella di Ruggero Contarini, intorno alla metà del 1427, e, quasi sicuramente, poco prima del settembre di quell'anno: lo si deduce dal fatto che al compimento, del diciottesimo anno di età, venne iscritto il 2 sett. 1445 nel Libro d'oro del patriziato veneziano.
Il padre del D., il cronista Giorgio, aveva sposato nel 1421 in prime nozze una Gradenigo, figlia di un certo ser Giovanni, cavaliere, da cui aveva avuto una sola figlia, Maddalena, morta nubile nel 1506. Tre anni dopo, in seguito alla scomparsa prematura della moglie, Giorgio si risposò con Barbarella di ser Ruggero Contarini, da cui ebbe numerosi figli: il D., primogenito, Francesco, Giacomo, Vittore, che fu capitano e podestà di Cividale e di Belluno, Domenico, Leonardo, futuro patriarca di Grado, Lucrezia e Pellegrina, che divenne monaca nel monastero degli Angeli di Murano.
Dell'infanzia e dell'adolescenza del D. che era nipote dell'omonimo generale camaldolese, col quale fu in corrispondenza e pistolare, e con cui è stato pure confuso, non si hanno notizie precise. Ebbe, tuttavia, un rapporto privilegiato con il padre, che nutriva per il primogenito uno speciale attaccamento, come dimostra, ad esempio, il fatto che, nella sua cronaca, ricorda di essersi recato con il figlio Pietro, il 30 maggio 1449, a S. Niccolò di Lido, per venerarvi le reliquie dei ss. Niccolò Maggiore, Niccolò Minore e Teodoro li esposte. La formazione culturale del D. fu prevalentemente letteraria: frequentò la scuola di Cancelleria a Venezia, ascoltando in particolare le lezioni di Gianpietro da Lucca.
Il 2 sett. 1445, al raggiungimento della maggiore età, il D., insieme con il fratello Francesco (che tuttavia non era presente in quanto si trovava a Corone, forse per impegni militari) fu presentato dal padre all'ufficio dell'Avogaria di Venezia, dove venne riconosciuto come figlio legittimo e approvato al Maggior Consiglio. Ottenuta l'abilitazione agli uffici, il D. entrò ben presto nella vita pubblica, ricoprendo diversi incarichi: nel 1450 si imbarcò per sei mesi sulle galee armate di Alessandria e di Levante, forse per svolgere una missione militare (e nella sua cronaca il padre ricorda il ritorno a Venezia del D. dopo questa missione). Nel 1452 ricopri la carica di ufficiale "sopra la Messeteria" e, successivamente, fu avvocato per omnes curias. Nel 1458 il D. sposò Margherita di Giovanni Contarini, dalla quale ebbe due figli: Cecilia, che nel 1480 sposò Niccolò Lipomano, e Giacomo, nato nel 1465. Dopo il matrimonio il D. continuò ad abitare nella casa paterna, cercando di mantenere unito il nucleo e il patrimonio familiare (la famiglia aveva infatti ampie proprietà a Venezia e a Treviso): a tale scopo venne istituita fra i vari fratelli una compagnia, che agli inizi del 1500 era ancora attiva.
Dopo la morte del padre, avvenuta tra il 1455 e il 1458, il D. intensificò la propria attività esterna, sia con una più diretta partecipazione alla vita pubblica, sia curando maggiormente i propri interessi patrimoniali. Nel 1465 si recò a Scio per un viaggio di affari, durante il quale si fermò a Rodi, dove fu ospite di Andrea Comer, li confinato dal governo veneziano. Durante questa sosta il D. venne a conoscenza direttamente dall'amico delle vicende relative a Giorgio Corner, padre dello stesso Andrea, riguardanti la sua cattura da parte delle truppe del duca di Milano e la dura prigionia trascorsa nei Forni di Monza. Successivamente, nell'ottobre del 1471, il D. fu inviato a Candia come consigliere del duca Niccolò Cocco, incarico che tenne fino al 20 sett. 1473. In questo periodo gli venne affidata la causa relativa alla contestazione sorta tra i coniugi Corner, per il possesso dell'isola di Scarpanto. Nell'esercizio della sua attività pubblica il D. non ebbe molto successo: dovette infatti dimettersi dalla carica di consigliere del duca di Candia, in seguito all'accusa di corresponsabilità con l'operato di quest'ultimo. Inoltre, durante il procedimento istruito contro il Cocco, il D. venne interrogato dal tribunale dei sindaci di Levante, che lo fece pure arrestare dal Consiglio dei "rogatti", perché non si rendesse latitante durante il processo.
Successivamente, anche in altre occasioni, il D. si rese colpevole di alcune gravi negligenze. Nel 1488, infatti, nominato capitano delle galee del Traffico, permise, durante un viaggio, che gli fosse sottratta una parte degli schiavi acquistati ad Alessandria e a Beirut, suscitando le proteste dei mercanti veneziani; in un'altra circostanza, nel 1483, aveva abbandonato invece il comando della nave su cui viaggiava di conserva a Corfù, per recarsi a Parenzo con la sua galea, mettendo in grave pericolo l'incolumità dell'intera armata. Ciò provocò l'intervento del Senato veneziano che, pur graziando il D. e decretando il non luogo a procedere, lo esonerò dall'incarico.
Anche l'attività commerciale del D. non ebbe maggiore fortuna. Nel 1493, essendo compatrono delle galee di Fiandra con Niccolò Tagliapietra e Giovanni Rimando, il D. effettuò un viaggio in Fiandra durante il quale gli vennero a mancare i finanziamenti promessi dal governo veneziano. Pertanto egli e i suoi soci dovettero cedere a terzi, con il benestare del Senato. i diritti e i privilegi del patronato. Dopo queste sfortunate vicende l'attivita pubblica del D. si ridusse alla partecipazione nei Consigli della Serenissima (nel 1491, il 16 agosto, compare ad esempio come contraddittore in una "parte" del Maggior Consiglio), anche se continuò a seguire con interesse la politica veneziana nell'Egeo, mantenendo numerosi rapporti epistolari, di carattere politico, con le personalità più in vista con le quali era entrato m contatto durante la sua permanenza in Levante. Di questa corrispondenza, maggiore importanza rivestono le lettere inviate al D. dal console veneto di Scio, Giovanni di Tabia, conosciuto sin dal 1465, e quelle di Giovanni Foscari, scrittegli da Modone, oltre a numerose altre, che in seguito il D. inseri nella quarta parte dei suoi Annali veneti.
Nel 1500 il D. venne sorteggiato per l'ufficio di auditore sopra le vertenze del Banco Garzoni, ma non accettò l'incarico. data anche l'età avanzata. Il primo marzo di quest'anno fece infatti testamento a Venezia, dichiarando, fra l'altro, di avere settantadue anni, e stabilendo come eredi la moglie Margherita, i figli Giacomo e Cecilia, il nipote Alvise, il genero Niccolò Lipomano, il fratello Francesco e le figlie di lui Barbarella e Lucrezia, e infine la sorellastra Maddalena. Il D. dispose anche che le schiave che servivano nella sua casa fossero liberate dopo la sua morte.
Morì a Venezia il 29 genn. 1506, all'età di settantanove anni. Il figlio Giacomo, nel testamento fatto il 7 febbraio successivo, dispose che i corpi dei genitori fossero tumulati nell'arca di famiglia collocata di fronte all'erigendo altare, da lui stesso ordinato, nella chiesa di S. Giacomo della Vigna a Venezia.
L'impegno letterario del D. fu rivolto essenzialmente a questioni di carattere storico, non solo perché storica è la sua opera maggiore, gli Annali veneti, ma perché alla ricerca documentaria egli dedicò la sua attenzione costante, senza disperdersi in discipline diverse. Nel 1454, ad esempio, trascrisse la cronaca De temporibus di Matteo Palmieri (conservata manoscritta presso la Biblioteca Marciana di Venezia, Mss. Lat. X, 138), postillandola con correzioni ed integrazioni, e proseguendone la stesura dal 1448, anno in cui si fermava, fino al 10 ott. 1464. Nel 1462 trascrisse il De ingenuis moribus et liberalibus adulescentiae studiis di Pietro Paolo Vergerio (ora manoscritto Marc. Lat. VI, 268), copiandolo da un codice appartenuto al cugino Pietro di Vittore, futuro generale dei camaldolesi, e dedicandolo a Ubertino da Carrara. Trascrisse, inoltre, una commedia di Plauto e la relativa prolusione di Benedetto Bursa (Marc. Lat. XI, 141). Nel 1464, e forse anche prima, il D. aveva iniziato a rivedere la cronaca del padre Giorgio, integrandola e proseguendola dal 1458 fino al tempo dei dogi Giovanni e Piero Mocenigo (Marc. It. VII, 794); compilò pure un catalogo dei pontefici, desumendolo dalla Cronaca di Martino Polono (codice Kings 149 della British Library). Al D. è stata anche attribuita, erroneamente, la traduzione dal francese della Vita e profezie di Merlino: in realtà egli possedeva solo il manoscritto (Marc. It. XI, 32), da cui furono tratte le edizioni successive di quest'opera.
Lo scritto più importante del D. sono gli Annali veneti, con cui egli si proponeva di narrare la storia di Venezia dalle origini fino ai suoi giorni, e quindi la storia della civiltà veneziana propagatasi nei secoli in Europa e in Oriente grazie allo spirito di intraprendenza della popolazione lagunare. Le fonti principali di cui il D. si servi per la compilazione degli Annali veneti furono le cronache di Andrea Dandolo, di Niccolò Trevisan, di Rafaino Caresini, di Enrico Dandolo e di Antonio Morosini, oltre, naturalmente, a quella del padre Giorgio; ma, soprattutto, il D. attinse a documenti autentici che aveva potuto conoscere e raccogliere durante la sua attività politica e diplomatica.
Il D. iniziò a scrivere gli Annali veneti nel 1487, e divise la materia in quattro parti: la prima dal 454 (cioè "ab urbe condita") fino al 1423, anno della morte del doge Tommaso Mocenigo; la seconda dal 1423 al 1457, ossia gli anni relativi al dogato di Francesco Foscari; la terza dal 1457 al 1500, ossia il periodo in cui fu doge Pasquale Malipiero e quelli immediatamente successivi; la quarta dal 1500 (anno del giubileo) fino al 27 luglio 1501; solo quest'ultima parte è stata finora pubblicata (Annalium Venetorum pars quarta, a cura di R. Cessi e P. Sambin, in Diari veneziani del sec. XVI, I, 1, Venezia 1943). Il titolo Annali veneti non dà completamente ragione dell'importanza dell'opera del D., in quanto se ben si addice a quei settori in cui l'autore narra vicende direttamente vissute (e quindi quelle inserite nelle parti III e IV), non si adatta del tutto al tono narrativo delle due parti iniziali, nelle quali il D. segue un procedimento cronachistico, dovuto soprattutto al recupero e all'utilizzazione di fonti consuete. A chiaro, infatti, che il D. (come, d'altronde, aveva fatto nella sua cronaca anche il padre Giorgio), descrivendo i fatti del suo tempo poteva non solo attingere a testimonianze documentarie più numerose e sicure, ma anche servirsi del ricordo della sua stessa partecipazione ad avvenimenti e conoscenza di fatti. che rendono così il racconto più minuto e, per certi aspetti, più appassionato e partecipe. Ciò deterniina anche una maggiore originalità narrativa e critica, insieme con una maggiore veridicità storica, come pare dimostrare lo stesso uso dell'opera del D. fatto dal Sanuto.
La ripartizione della materia in quattro parti non dovette essere determinata dal D. all'inizio del suo lavoro, ma solo in seguito, e sembra senz'altro il frutto di un successivo aggiustamento. E proprio nelle pagine proemiali della quarta parte il D. si dilunga ad esporre i criteri da lui adottati nella ripartizione della materia, come se a quel punto del racconto, fosse indispensabile riprendere in mano le fila della storia e nuovamente definirle e spiegarle. Non è dunque senza significato che Cessi e Sambin abbiano potuto presentare la quarta parte come relativamente autonoma rispetto al piano generale dell'opera: una parte, fra l'altro, dove più chiaramente trova eco la partecipazione personale dell'autore con la sua capacità di giudizio e di interpretazione rispetto alla monotona ripetitività dei settori precedenti. La contestualità dei fatti narrati porta inevitabilmente il D. a non cogliere, talvolta, la differenza fra questioni e avvenimenti destinati più ad una memoria personale che non ad un ricordo svincolato da limiti temporali o privati; ma ogni pagina degli Annali veneti offre un quadro abbastanza preciso - anche se non privo di errori e soprattutto di scambi di cronologie - della vita veneziana del suo tempo, con tutte le quotidiane tensioni e contraddizioni. Una vita spesso raccontata con inutili minuzie, ma che riflette l'esperienza storica e politica di una città ormai in decadenza rispetto ai fasti dell'età precedente, e tormentata fra le incertezze della politica degli altri Stati italiani ed europei, e la minaccia crescente del pericolo turco in Oriente.
Gli Annali veneti sono conservati autografi nel manoscritto Kings 149 della British Library e nel manoscritto F.II.2 della Bibl. Queriniana di Brescia; molti altri manoscritti, fra cui i Cicogna 2608, 2609, 2610 della Biblioteca del Museo Correr di Venezia, contengono solo la prima parte dell'opera.
Fonti e Bibl.: I documenti relativi alla vita e all'attività politica del D., conservati presso l'Arch. di Stato di Venezia, sono stati raccolti e segnalati, oltre che nella già citata edizione curata da R. Cessi e P. Sambin, da A. Carile, La cronachistica veneziana (secoli XIII-XVI) di fronte alla spartizione della Romania nel 1204, Firenze 1969, pp. 153-156. Si veda inoltre: P. Delphini [di Vittore] Epistolarum volumen, Venetiis 1524, passim; M. Sanuto, I Diarii, Venezia 1879-1903, ad Indices; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mare. It. VII, 157: Id., Sommari di cronaca veneta, passim; A. Segarizzi, Cenni sulle scuole pubbliche in Venezia in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, LXXV (1915), p. 643; B. G. Dolfin, I Doffin (Delfino) patrizi veneziani nella storia di Venezia, Milano 1924, p. 295; M. Zannoni, Giorgio Doffin cronista veneziano del sec. XV, in Mem. della R. Accad. di scienze, lettere e arti di Padova, LVIII (1941-42), pp. 5-23; Id., Le fonti della cronaca veneziana di Giorgio Doffin , in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. e arti, CI (1941-42), pp. 515-520; Id., Il dramma del Foscari della cronaca di Giorgio Dolfin, in Nuova Riv. storica, XXVI (1942), pp. 202 s.; P. Sambin, Di una ignota fonte dei diarii di Marin Sanudo, in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lett. e arti, CIII (1943-44), pp. 100-105; F. Thiriet, Les chroniques vénitiennes de la Marcienne, in Mélanges d'archéol. et d'histoire, LXVI (1954), pp. 286-290; E. Billanovich, Note per la storia della pittura nel Veneto, in Italia medioevale e umanistica, XVI (1973), pp. 374, 380; G. Padoan, La commedia rinascimentale a Venezia, in Storia della cultura veneta, III, Vicenza 1981, p. 386; C. Godi, Il Petrarca "Inutilis orator", in Vestigia. Studi in onore di G. Billanovich, I, Roma 1984, pp. 408-409 (che però confonde questo D. con l'omonimo generale camaldolese); P. Zorzanello, Inv. dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, LXXXV, ff. 17 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, p. 229.