DELLA VECCHIA (Dalla Vecchia), Pietro
Figlio del pittore Gasparo, di famiglia veneziana, nacque probabilmente a Vicenza nel 1602 o 1603.
Il cognome Muttoni, con il quale è conosciuto nella storiografia moderna fino al 1984 (Aikema), fu introdotto nella letteratura da Lanzi (i 808) nel suo indice (III, p. 404) e si basa su una errata lettura di F. Bartoli (Le pitture, sculture ed architetture della città di Rovigo, Venezia 1793, p. 216), che cita un quadro del D., indicato come Vecchia, in casa Muttoni.
I primi documenti nei quali compare il nome del D. risalgono al periodo che va dal dicembre 1626 al gennaio 1628 e riguardano il pagamento del gonfalone che egli aveva eseguito per la Confraternita dei carmelitani nella chiesa di S. Marco a Pordenone. Negli anni che vanno dal 1629 al 1640 fu iscritto alla corporazione dei pittori a Venezia.
Prima del 1630 sposò Clorinda Régnier, "donna di molto spirito, grande statura e di grande avenenza" (Temanza, 1738), figlia del pittore francese Nicolas e pittrice anch'essa di una certa rinomanza.
Verso la fine del quarto decennio il D. era noto Come uno dei più importanti pittori di Venezia, soprattutto di arte sacra. Nel gennaio del 1640 i procuratori di S. Marco de Supra, responsabili della decorazione di S. Marco, gli ordinarono due cartoni per mosaici. Questi furono evidentemente ben accolti, dal momento che il D. fu, fino al 1674, cioè quattro anni prima della morte, responsabile, come "pitor ducal", della progettazione dei mosaici nuovi e del restauro di quelli vecchi nella basilica.
All'apice della sua carriera, il D. era un maestro molto ricercato e con una grande bottega. Il Boschini (1660) asseriva: "intende la teorica de l'arte"; non è chiaro tuttavia se ciò vada inteso come teoria dell'arte nel senso letterario, oppure come conoscenza delle materie della pratica pittorica quali la prospettiva, l'anatomia e simili; sempre secondo lo stesso autore (pp. 536 s.), il D. aveva aperto un'accademia in casa sua, frequentata, tra gli altri, verosimilmente poco dopo il 1667, anche da G. Lazzarini, il futuro maestro del Tiepolo.
Il D. godeva anche fama di conoscitore di disegni e dipinti antichi. Specialmente durante l'ultimo periodo della sua vita, fu ripetutamente consultato da collezionisti e mercanti, spesso insieme con il suocero, N. Régnier. Ambedue i pittori avevano rapporti d'affari con Paolo del Sera, che a Venezia comprava quadri per conto di Leopoldo de'Medici. Un quarto membro di questa piccola cerchia di mercanti e conoscitori fu Marco Boschini, grande ammiratore dell'arte del D. con il quale spesso andava, dopo il 1670, a stimare dei quadri.
Il D. morì l'8 sett. 1678 a Venezia e fu seppellito nella chiesa di S. Canciano. Il Temanza (1738) lo descrisse come "piccolo e smunto, ma di grande presenza, di spirito e molto vivace".
La prima opera datata del D. è il Monte Calvario nella chiesa di S. Lio a Venezia, del 1633: è evidente in esso l'influenza di Carlo Saraceni e di Jean Leclerc. Del resto, altre due opere precedenti, come per esempio le varie versioni di S. Francesco in preghiera, risentono dell'influsso caravaggesco. Alcuni quadri mostrano una particolare affinità con quelli di un artista anonimo di origine francese, il cosiddetto CandIelight Master, che si può forse identificare con Trophime Bigot (cfr. A. Blunt, in The Burlington Magazine, CXXI [1970], p. 444).
Si può quindi ritenere che il D. sia stato alunno di Saraceni e Leclerc: tra il 1619 e il 1621 e che in seguito, probabilmente tra il 1622 e 1626, abbia vissuto per un certo periodo di tempo a Roma, dove deve aver avuto contatti soprattutto con la colonia artistica francese, perché oltre al Candlelight Master è a Roma che deve aver conosciuto il Régnier e sua figlia Clorinda, oltre a Claude Vignon, un artista il cui stravagante eclettismo lo influenzò fino al decennio 1650-60.
In questa ricostruzione, basata sulle opere tramandateci ed attribuite al D., si trascura tuttavia la testimonianza delle fonti antiche, che indicario Alessandro Varotari detto il Padovanino come il maestro dei Della Vecchia. La sua influenza si manifesta peraltro solo nelle opere datate dopo il 1635. L probabile che nel periodo immediatamente seguente al suo soggiorno romano il D. abbia lavorato per un certo tempo nella bottega dei Padovanino. Si deve alla sua influenza l'interesse per l'arte del secolo XVI che è considerato l'aspetto più marcato della pittura del D., e che gli ha valso il soprannome di "simia de Zorzon" da parte del Boschini (1660, p. 536).
Dalla metà del quarto decennio fino alla sua morte, il D. eseguì, con l'assistenza della sua bottega, un'interminabile serie di quadri nello stile di artisti quali il Giorgione, Tiziano, Romanino, Palma il Vecchio ed il Bassano. In queste imitazioni, eseguite spesso in maniera notevolmente ingegnosa, il Boschini (1660, p. 710) riconosceva esempi di virtuosismo ("E queste imitazioni non sono coppie, ma astratti del suo intelletto. bensì per imitare i tratti Giorgioneschi"), che secondo l'ottica del secolo XVII erano ritenuti molto apprezzabili.
Particolarmente interessanti per noi sono le imitazioni di Giorgione, in quanto ci danno un'idea della visione che si aveva nel sec. XVII del lavoro di questo pittore. A invece quasi certo che nessuna delle composizioni "giorgionesche" del D. si rifà a un'opera del maestro di Castelfranco, andata perduta, quale è descritta nelle fonti.
Accanto alle sue "imitazioni" il D. continuava anche ad eseguire opere in stile "moderno". Dopo il 1630 si nota nel suo lavoro l'influsso di Bernardo Strozzi, che era approdato a Venezia in quegli anni. Dopo il 1650 l'arte del D. evolse verso una maggiore drammaticità, riprendendo i primi modelli caravaggeschi; si vedano i due grandi quadri (Martirio e Ritrovamento dei corpi dei ss. Gervasio e Protasio), datati rispettivamente 1652 e 1654, nella chiesa parrocchiale di Carpenedo, vicino Mestre, e le sette tele (Ascensione, Martirio di s. Stefano, Martirio di s. Sebastiano, Martirio di s. Lorenzo, Martirio dei ss. Eustachio, Placido, Vittorino e altri benedettini, Conversione di s. Paolo, Angeli glorificanti l'Ordine benedettino), del 1653-1655 per la chiesa di S. Teonisto a Treviso. Il punto culminante di questa evoluzione è costituito dalle due opere rimaste del ciclo di sette dipinti che l'artista eseguì tra il 1664 e il 1674 per il secondo chiostro della chiesa dei gesuiti a Venezia. La tematica macabra, gli effetti di luci spettrali e la soffocante mancanza di spazio nella composizione fanno di queste due opere (La conversione di Francesco Borgia e Marco Gussoni nel lazzaretto di. Ferrara) dei prodotti isolati nella pittura veneziana del secolo XVII, paragonabili solo con i dipinti più morbosi delle scuole milanese o napoletana. Dopo questo ciclo gli ultimi quadri di soggetto religioso sono un anticlimax. Pertanto opere come la pala d'altare del duomo di Belluno (1672) e la tela nella basilica dei Frari a Venezia (1674) appaiono senza ispirazione e di routine, basate come sono su opere precedenti del pittore.
Di maggiore interesse sono alcuni quadri storici di questo periodo, che mostrano nella pennellata brillante e nel colorito limpido e smagliante una certa influenza di Francesco Maffei, morto nel 1660. In altre opere dell'ultimo periodo si nota l'influsso di Giambattista Langetti e del gruppo dei nenebrosi" che ebbero fortuna a Venezia attorno al 1660.
Affascinanti sono i rapporti che il D. intratteneva con il mondo libertino dell'Accademia degli Incogniti di Giovan Francesco Loredano. Questi contatti si manifestano soprattutto nell'iconografia di alcuni quadri degli anni tra il 1650 e il 1660 (per esempio un'Allegoria nell'Accademia Carrara di Bergamo del 1654), che rappresentano i pensieri matematici, filosofici e cabalistici coltivati in quell'ambiente, in alcuni casi trattandoli seriamente e in altri rendendoli ridicoli con immagini scabrose.
La reputazione del D. come pittore ha risentito negativamente delle innumerevoli rappresentazioni di guerrieri pittorescamente intabarrati e di tipi popolari, che sotto il suo nome si trovano nelle collezioni di mezzo mondo. La maggior parte di questi quadri sono opere della sua bottega. Nelle sue migliori opere autografe il D. risulta invece pittore di grande talento, certamente sullo stesso livello del suo più noto contemporaneo Maffei.
Gasparo, figlio di Pietro, nacque l'8 maggio 1653. Egli fu pittore (un ciclo di sua mano è conservato nella chiesa della Beata Vergine della Misericordia a Buie d'Istria, Iugoslavia; cfr. Santangelo, 1935), musicista, teorico della musica e matematico; nel 1714 era "matematico della Serenissima". Ci sono pervenuti un suo manoscritto, intitolato Pratica di musica moderna, del 1711 (Venezia, Bibl. naz. Marc., Mss. It., cl.IV, 119 [= 5370]), e un testo pubblicato, Problemi della longitudine nautica risolta (Venezia 1729).
Gasparo deve aver avuto anche interessi nel campo della teoria artistica, poiché il Verci (1775) racconta che era amico del pittore e teorico G. B. Volpato di Bassano del Grappa, il quale gli fece dono di alcuni suoi manoscritti. Si sa, infine, che fornì disegni per alcune stampe topografiche, che furono eseguite da A. Dalla Via e L. Zucchi.
Morì a Venezia il 28 sett. 1735.
Fonti e Bibl.: Per un'ampia bibl. cfr. Aikema, 1984, pp. 98-100. Cfr. inoltre M. Boschini, Lacarta del navegar pitoresco [1660], a cura di A. Pallucchini, Venezia-Roma 1966, passim; F. Sansovino-G. Martinioni, Venetia città nobilissima etsingolare, Venetia 1663, pp. 20, 44, 276, 377, 394; J. von Sandrart, Academie der Bau-, Bild-, undMahlerey: Künste von 1675, a cura di A. R. Pultzer, München 1925, p. 373; P. A. Oriandi, Abecedario pittorico, Bologna 1704, p. 319; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. IV, 167 (= 5110): N. Melchiori, Vite dei pittori veneti e dello Stato ..., ms. [1728], cc. 339-42; V. Da Canal, Vita diGregorio Lazzarini [1732], Venezia 1819, pp. XXIV ss.; T. Temanza, Zibaldon [1738], Venezia-Roma 1963, p. 75; A. M. Zanetti, Della pitturaveneziana, Venezia 1771, pp. 387-go; G. B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere di pittori... diBassano, Venezia 1775, p. 250 (per Gasparo); D. M. Federici, Memorie trevigiane sulle opere didisegno, II,Venezia 1803, pp. 97, 243; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia [1808], a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, pp. 135 s.; V. Da Canal, Della maniera del dipingere moderno, in Mercurio filosofico, letterario e poetico (Venezia), marzo 1810, p. 5; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, p. 693; G. Fiocco, La pittura venez. del Sei e Settecento, Verona 1929, pp. 31 s., 82; Inventario degli oggetti d'arte d'Italia, A. Santangelo, Provincia di Pola, Roma 1935, pp. 20 s.; G. Liberali, Appunti d'archivio originali inediti diPaolo Veronese ... e altri minori nella chiesa di S. Teonisto a Treviso, in Rivista d'arte, XXII (1940), p. 276; N. Ivanoff, Il grottesco nella pittura veneziana del Seicento: P. il Vecchia, in Emporium, IC (1944), pp. 85-94; W. Arslan, Il concetto di luminismo e la pittura veneta barocca, Milano 1946, p. 39 n. 40; N. Ivanoff, La pittura metafisica nel '600 ele opere di P. il Vecchia, in Vernice, III (1948), 26-17, p. 16; G. Fiocco, Nuovi aspetti di P. Vecchia, in Arte veneta, IV (1950), pp. 150 s.; N. von Holst, La pittura venez. tra il Reno e la Neva, ibid., V (1951), p. 132; L. Frölich Bum, Su P. Vecchia, in Paragone, III (1952), 31, pp. 34-39;G. Fiocco, Tre opere di P. Vecchia, in PatronatoPio X, 29 giugno 1954, p. 16; N. Ivanoff, Giorgione nel Seicento, in Venezia e l'Europa. Atti delXVIII Congresso di storia dell'arte, Venezia ... 1955, Venezia 1956, pp. 323-26;R. Marini, Il dare e l'avere tra P. Vecchia e Maffei, in Arte veneta, X (1956), pp. 133-35; La pittura del Seicento aVenezia (catal.), Venezia 1959, pp. 60-67; C. Semenzato, P. Vecchia a Carpenedo, in Arte veneta, XIII-XIV (1959-60), pp. 209-11;L. Gambarin, IlVecchia cartonista in S. Marco, ibid., XV (1961), pp. 150-52; Id., Dipinti del Vecchia a Este, in Padova, VII (1961), 1, pp. 7-10;N. Ivanoff, ClaudeVignon e l'Italia, in Critica d'arte, XI (1964), pp. 48-52; Id., Gian Francesco Loredano e l'ambienteartistico a Venezia nel Seicento, in Ateneo veneto, n. s., III (1965), pp. 186-90;M. Muraro, Studiosi, collezionisti e opere d'arte veneta dalle lettere alcardinale Leopoldo de' Medici, in Saggi e mem. distoria dell'arte, IV (1965), pp. 70 s.; L. Procacci-U. Procacci, Il carteggio di Marco Boschini e ilcardinale Leopoldo de' Medici, ibid., p. 107; G. M. Pilo, in C. Donzelli-G. M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, pp. 409-13 (pp. 408 s. per Gasparo); A. Moir, The Italian followers ofCaravaggio, Cambridge, Mass., 1967, 1, pp. 89 s.; II, pp. 284 ss.; L. Puppi, "Ignoto Deo", in Arte veneta, XXIII (1969), p. 177; P. Goi-F. Metz, Ricerche sulla pittura in Friuli, in Il Noncello, XXXV (1972), pp. 248, 252; G. M. Pilo, P. D. e J. Amigoni a Pordenone, in Itinerari, VI (1972), 1, pp. 37-48; C. Rachiteanu, Un tablou de P. D. in Galeria Universala a Muzeulu de Arta al Republicii Socialiste Romania, in Revista Muzeelor, IV (1972), pp. 355 ss.; P. Calore, Preludio a P. Vecchia, in Il Mondo dell'antichitàe dell'arte, I-II (1975), pp. 9-15; P. Rosenberg, Un dessin de P. D., in Arte veneta, XXX (1976), pp. 182 s.; E. Merkel, I primi restauri della pala Costanzo di Giorgione, in Atti del Convegno Giorgione e la cultura veneta tra '400 e '500, Roma 1978, pp. 35-41; R. Pallucchini, La pittura venez. del Seicento, Venezia 1981, I, pp. 172-80; II, figg. 500-38 (I, p. 180; II, fig. 539 per Gasparo); B. Aikema, P. Vecchia e i gesuiti, in Studi barocchi, a cura di V. Sgarbi, II, "Le ricche minere della pittura veneziana", pp. 121-35; Id., P. D., a profile, in Saggi' e memorie di storia dell'arte, XIV (1984), pp. 79-100, 169-206 (pp. 81 s. per Gasparo); E. Bordignon Favero, La bottega di P. Vecchiaa Venezia, in Atti e mem. dell'Acc. patavina di scienze, lettere ed arti, XCVII (1984-85), classe III (estratto), B. Aikema, De Schilder P. D. en de Erfenis van de Renaissancein Venetië, diss. Univ. di Amsterdam, Nijmegen 1986; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 300 s. (sub voce Muttoni, Pietro).