DELLA ROCCA, (Dalla Rocca, De Rocha, Rocha), Pietro
Nacque in Modena, da Francesco e dalla prima moglie di questo, Bona, sullo scorcio del secolo XIII, forse prima del 1290 (nella Magna massa populi [c. 22r] del 1306 figura iscritto fra i cittadini "de Societate Sancti Laurenci").
Una serie di documenti di carattere per lo più privato, pubblicati da G. Bertoni ed E. P. Vicini (Poeti modenesi dei secoli XIV-XV, Modena 1906, pp. III-VI, 1-3,e App. II, pp. 4956),dimostra che fu figlio di un Francesco che, agendo per il D., diede il 13 dic.1307un mutuo di lire modenesi 25 a una certa Margherita Gualandi, come risulta dai Memoriali dell'Archivio notarile. Il padre Francesco morì attorno al 1328 ed ebbe due mogli, la prima delle quali, Bona, fu madre del Della Rocca. Il D. ebbe numerosi fratelli e sorelle e assunse alla morte del padre la guida della famiglia, intrattenendo buoni rapporti con la matrigna Maddalena, cointeressando sovente ai propri affari i fratelli, e fra questi soprattutto Giovannino, che gli premorì, e occupandosi dell'avvenire delle sorelle. Assolutamente nulla sappiamo della sua formazione culturale e dei luoghi in cui si svolse. G. Bertoni-E. P. Vicini, ignoriamo su quale base documentaria, lasciano intendere che trascorse il periodo dei suoi studi giovanili fuori Modena.
Nel più antico dei documenti di cui disponiamo, risalente al 1307, il D. è menzionato senza alcun titolo, mentre in due documenti del 1324 egli compare come "Magister Petrus". Nello stesso anno ottenne un canonicato nel capitolo della sua città (Arch. capit., Instrumentorum Collectio, t. I, c. 1).
Una notizia trasmessaci dall'Alidosi, seguito dal Vedriani, ci informa che il D. leggeva nel 1327astrologia allo Studio di Bologna, e che mantenne la cattedra per molti anni. Di un insegnamento bolognese di medicina e astrologia, che non trova peraltro riscontro nei documenti relativi ai lettori dello Studio in questo periodo, parla anche il Ghirardacci, ponendolo però nell'anno successivo.
Nel 1328, richiamatovi forse dalla morte del padre, il D. era a Modena, dove lo troviamo impegnato in un'intensa attività di vendita e acquisto di case e terre, nonché in un fiorente traffico di prestito a usura nel quale sembra si avvalesse della collaborazione dei suoi vari fratelli. L'anno seguente, inoltre, intraprendeva la carriera accademica nello Studio della sua stessa città.
Qui, secondo quanto risulta dai Verbali di adunanza del Consiglio degli anziani del 13 giugno 1329, il D., che leggeva "multis scholaribus audientibus", fu proposto ed eletto quale "artium liberalium et medicinae professor". Nel Liber reformationum Comunis Mutinae,scritto da Giovanni de Belencinis notaio degli Anziani, pubblicato dal Sandormini, è riportata la puntuale narrazione delle circostanze nelle quali il D. venne dapprima proposto, poi eletto professore nello Studio modenese. Il 13maggio 1329 il D. fu scelto per leggere, al salario di 100 lire modenesi, fisica e medicina (Liber reformationum, 1329, cc. 31 s., 34 s.). Da questo momento la fama e la fortuna economica del D., cui non dovette essere estraneo l'esercizio della professione medica e la pratica del prestito usurario, crebbero notevolmente come dimostrano numerosi documenti relativi a questi anni in cui egli, coadiuvato da alcuni membri della sua famiglia, concede mutui e depositi a vari suoi concittadini ed è in grado di dotare generosamente la sorella Giovanna andata sposa a un Giovanni da Rudiano.
Certamente nel 1330, epoca della discesa di Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, in Italia, egli doveva godere di una notevole reputazione se questi volle nominarlo suo medico e famigliare. Al servizio del sovrano il D. rimase vari anni, seguendolo, a quanto sembra, nei suoi spostamenti; ma probabilmente non interruppe per questo la sua carriera accademica.
I documenti rimastici, oltre a quelli che testimoniano il proseguimento della fiorente attività di prestito usurario e l'acquisto di terre nel contado, sono legati ai rapporti con il monarca: uno dei primi pubblici riconoscimenti da parte del sovrano giunse al D. il 23 apr. 1333 allorché Giovanni, per ringraziarlo di avere ridato la salute al figlio Carlo futuro imperatore, lo creò conte di Castelcrescente e di Borgofranco nel Modenese, con un diploma del quale una copia conservata nell'archivio della badia di Nonantola, fu pubblicata dal Tiraboschi nella sua Biblioteca modenese. Dell'evento il D. dovette andare assai fiero se lo volle ricordato anche nell'epigrafe incisa nella sua arca sepolerale: "Arte sanavi mundi monarcham". Al servizio della corte boema il D. restò ancora a lungo, come dimostrano i documenti, ma non è possibile appurare se egli si sia mai trasferito a Praga o se, come sembra probabile, vi si recasse ogni volta che veniva richiesto il suo servizio. R certo comunque che egli continuo a risiedere per lo più a Modena, curando assiduamente i suoi interessi, come è possibile ricostruire dai documenti notarili pubblicati da Bertoni e Vicini.
Nel 1348 il D. fa testamento, e prescrive di essere sepolto nella chiesa "maggiore" (probabilmente S. Agostino, poi S. Maria della Pomposa dove fu effettivamente sepolto); lascia alle figlie Antonia ed Elena 120 lire modenesi, condona un debito alla matrigna e nomina suo erede universale il figlio Niccolò. Di qualche anno dopo è un interessante documento il cui significato non è completamente chiaro, ma da cui forse si trae un'idea della sua importanza fra i cittadini modenesi. In un atto notarile, registrato nei Memoriali al n. 25, del 5 sett. 1354, a lui, a maestro Francesco Azzolini e a Cechino Malchiavelli fu intimato da Buonsostegno de' Marineti, massaro marchionale e deputato sopra i banditi dal Comune e sopra l'esazione delle condanne inflitte ai ribelli, l'ordine di consegnare tutte le cose preziose presso di loro depositate, denaro, oggetti preziosi destinati per lo più al servizio nelle chiese, come, crocefissi, calici ecc., dietro pena di una multa di 1.000 lire modenesi e dei tormenti. In obbedienza a questa ingiunzione il D. consegnò una veste ornata d'argento ed altri oggetti di valore. Non è facile capire la natura di questo deposito. Il Sandonnini ipotizza che si tratti di oggetti che i ribelli, dopo averli depositati presso personaggi in vista nella città, donavano al Comune cui si erano ribellati per ottenere il permesso di rientro e la pace.
Nel 1355, divenuto ormai imperatore, Carlo IV, con un atto emanato da Praga concedeva a lui e ai suoi eredi legittimi, la facoltà di creare notari e tabellioni "volentes illi graciis insigniri quibus aliis te reddere valeas graciosum".
Gli atti notarili ci permettono di seguire l'attività del D. fino all'ottobre del 1362. Tra i documenti di cui disponiamo uno in particolare del 6 ott. 1360 si rivela interessante, perché indica un tentativo di iniziare una vera e propria attivita commerciale, in società con Cecchino, figlio del defunto fratello Giovannino, nell'ambito dell'arte della spezieria.
Gli ultimi atti notarili concernenti il D. risalgono al 1362 e sono costituiti da un nuovo testamento con due codicilli, fatto stendere tra il settembre e l'ottobre di quell'anno. In esso il D., "corpore languens", provvede alle doti delle figlie Antonia ed Elena, nate dal primo matrimonio con Caterina Bocchi, premortagli; nomina usufruttuaria di tutti i beni da lui lasciati la seconda moglie Guglielmina Guirisi; alle due figlie da lei avute, Isabella ed Anna, assegna 300 lire modenesi ciascuna e nomina il figlio Venceslao erede universale dell'intero patrimonio. Questo figlio, da quanto sembra di capire da un atto notarile del 10 ott. 1362, dovette venire a mancare in età pupillare (e ciò è in contrasto con quanto si può rilevare da un rogito del 1395 citato dal Sandonnini, secondo il quale Venceslao sarebbe divenuto anch'egli medico assai reputato), costringendo il D. ad aggiungere un codicillo al suo testamento con il quale egli devolveva l'intero suo patrimonio alle quattro figlie in parti uguali, prescrivendo, nel caso fossero morte senza eredi, la fondazion'e di un benefizio sacerdotale sotto il vocabolo della beata Vergine Maria Gloriosa nella chiesa degli eremitáni. Questo è l'ultimo documento nel quale il D. si presenta ancora in vita.
Il 25 ott. 1362 il D. era morto, come risulta dal testamento del nipote e socio Cecchino "spetiarius".
Il suo sepolcro, attualmente nel Museo lapidario di Modena, è descritto dal Sandonnini e reca un'epigrafe che fu forse dettata dello stesso Della Rocca. Della sua lunga carriera di docente allo Studio modenese che egli percorse integralmente - "consurnavi cursum Medicinae Professor" - non resta quasi traccia. L'unico documento consiste in una serie di nove "quaestiones disputatae" a lui attribuite in un manoscritto di cose mediche della Biblioteca apost. Vaticana (Vat. lat. 2418, ff. 182v-184v), ove le sue figurano accanto ad altre "quaestiones" discusse da Gentile da Foligno, Alberto Bolognese, Giuliano da Bologna ed altri medici. In esse il D. tratta una serie di problemi per lo più relativi alla natura, causa e terapia della febbre da ascesso ("cuni apostemati"), discutendo se basti l'evacuazione, se sia prescrivibile l'uso del vino, quanto efficace risulti l'acqua fredda, se la febbre "putrida". dipenda dal sangue putrefatto, e arriva anche a trattare del parto prematuro. Non è ovviamente possibile su tali esigui dati stabilire l'importanza del D., anche se si può congetturare che non fosse grande poiché nessuno dei trattati di storia della medicina di questo periodo riporta il suo nome.
Su una presunta attività poetica, che veniva ricordata soltanto perché in relazione con l'opera di F. Vannozzo, fu fatta piena luce nel 1906 da Bertoni e Vicini: mentre precedentemente il poeta Pietro Della Rocca e il D. erano confusi, è ora accertato che i due personaggi vanno tenuti distinti perché documenti inconfutabili hanno dimostrato l'estraneità del poeta al medico.
Fonti e Bibl.: G. N. Pasquali Alidosi, Li dottori forestieri...,Bologna 1623, p. 60; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, Bologna 1657, 11, l. XX, p. 83; L. Vedriani da Modona, Dottori modonesi...,Modena 1665, p. 48; G. Tiraboschi, Bibl. modenese,Modena 1783, IV, pp. 365 ss.; Id., Storia de Haugusta badia di S. Silvestro di Nonantola,Modena 1785, p. 257; S. Mazzetti, Repert. di tutti i professori...,Bologna 1847, p. 111; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secc. XIII e XIV,Bologna 1884, col. 885; A. G. Spinelli, Le Motte e Castel Crescente nel Modenese, Pontassieve 1906, p. 208; G. Bertoni-E. P. Vicini, Sonetti di Pietro della Rocca e Francesco Vannozzo, Modena 1906, pp. 3 s.; E. P. Vicini, Profilo stor. dell'antico studio di Modena,Modena 1926, p. 23; T. Sandonnini, Di un codice del XIV sec. e dell'antico studio modenese, in Rass. per la storia della Univ. di Modena e della cultura super. modenese, VII (1929), pp. 105-108; E. P. Vicini, Medici modenesi nei secc. XIII e XIV. Appunti e documenti, ibid., VIII(1930), pp. 37 ss.; P. Micheloni, La medicina nei primi tremila codici del fondo Vaticano latino,Roma 1950, p. 430; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 313.