CURIALTI, Pietro (Pietro da Tossignano o Tausignano, Petrus de Thauxignano, de Curialtis)
Nacque nei dintorni di Imola, a Tossignano (ora Borgo Tossignano in provincia di Bologna) verso la metà del sec. XIV, da Alberghetto detto Gheto o Zeto. Assai poco si sa della sua giovinqzza e della sua formazione; studiò probabilmente a Bologna, dove ebbe come maestro Tommaso del Garbo, ma forse fu anche studente a Padova. Ancor giovane, nel 1372 si sposò con la ricca e nobile Caterina dei conti Ruffini della Ragazza, figlia del conte Andrea e proprietaria di vaste tenute; anche se è certo che la famiglia Curialti possedeva diverse proprietà nel Bolognese già prima di questo fortunato matrimonio, non c'è alcun dubbio che con esso i beni e la posizione sociale del C. mutarono notevolmente.
Appena laureato, nel 1376 insegnò medicina a Padova, guadagnandosi il favore dei Carraresi: fu infatti lo stesso Francesco da Carrara il Vecchio a favorire il suo ingresso negli ordini professionali della città, il che comportava diversi privilegi e l'esenzione dal pagamento di alcune tasse. Era sua intenzione fermarsi ancora nella città, dato che nell'ottobre 1377 presentava il suo programma di lezioni per l'anno successivo; ma alla cattedra di medicina straordinaria ebbe la precedenza lacopo Zanettini, ed il C., risentito., accettò l'invito dell'università di Bologna. Qui si trasferì alla fine del '77, anche se nel '78 risulta ancora la sua saltuaria presenza a Padova, ospite del podestà. Il suo insegnamento bolognese fu accolto con generale soddisfazione; il 28 sett. 1386 gli fu concessa la cittadinanza, ma fu obbligato a depositare una malleveria di duemila lire, che avrebbe perso se si fosse allontanato anzitempo dalla città. Fu pure aggregato al Collegio dei medici, con tutti i relativi privilegi, ma ciò non bastava all'inquieto e ambizioso medico che. divenuto amico personale di Gian Galeazzo Visconti, si adoperò per favorirne la politica espansionistica in Emilia e in particolare a Bologna. Questo fu, certamente, il motivo dell'improvviso allontanamento del C. dalla città verso il 1390, anche se lo Studio bolognese volle invece attribuire la colpa al suo carattere iracondo e alla rottura del contratto, sottoscritto in precedenza.
Pare infatti che alle sollecitazioni dello Studio affinché egli tenesse fede ai suoi impegni d'insegnante, il C. reagisse con un atteggiamento di scherno e di disprezzo, cosicché il Senato decise di radiarlo dall'università, di metterlo in bando e di confiscargli tutti i beni nel territorio bolognese, punizione a dir vero eccessiva se riferita solo alla causa addotta. Di questo stesso periodo è la prima opera del C. di cui si abbia sicura notizia, un Ricettario sopra ogni qualità di male, che si trova manoscritto alla Biblioteca universitaria di Bologna [943 (1423)].Dopo una breve permanenza a Ferrara, di cui si sa assai poco (anche la datazione esatta è controversa, ma è comunque da porsi prima del 1396), il C. si stabili a Pavia, sotto la protezione del Visconti, di cui divenne medico personale, senza interrompere con ciò l'insegnamento medico, molto apprezzato, all'università.
Le sue pressioni sul potente protettore perché si adoperasse per la restituzione dei beni confiscati a Bologna ebbero successo, perché dopo il 1396riebbe i suoi possedimenti. Fu in questo periodo che prese ad occuparsi della peste; scritto nel 1398ma pubblicato solo nel 1495a Venezia coi Fasciculus medicinae di Iohannes de Ketham, è il Consilium clarissimi doctoris D. Petri de Tussignano pro peste vitanda (ristampato di recente col tit. Il Consiglio di Pietro da Tossignano sulla peste, a cura di Clodomiro Mancini, Pisa 1964), che viene giudicata tra le opere più diffuse a Padova sulla. prevenzione della peste tra il XV e il XVI secolo ed ebbe anche diverse traduzioni. Dopo aver analizzato le varie infermità prodotte dalla peste (febbri, dissenteria, ingrossamenti ghiandolari), il C. afferma che si tratta di una malattia infettiva come le altre già conosciute e propone una serie di rimedi igienici. preventivi e dietetici, come l'adozione di un'alimentazione adatta o la rectificatio (rigenerazione) dell'aria mediante suffumigi. Poiché però è più facile la diffusione del contagio nelle comunità, nei conventi e fra i giovani, egli propone, oltre naturalmente all'isolamento del malato, la proibizione di matrimoni o di riunioni pubbliche, politiche e religiose.
Anche a Pavia il C. finì per trovarsi coinvolto in avvenimenti politici poco chiari: Roberto re di Germania lo accusò di essersi fatto strumento del duca di Milano per avvelenare lui e tutta la sua famiglia, in una lettera del 1401 ai Fiorentini (Bibl. nazionale di Firenze, Palatino 132 [69]). Forse da collegarsi a questo oscuro episodio - che tuttavia fece molto rumore - è un viaggio in Spagna di durata non precisata, su invito di Enrico III di Castiglia; alla corte spagnola poté procurarsi una certa rinomanza per l'abilità dimostrata nel curare il re e diversi alti dignitari. Tornato a Pavia, dovette rimanervi poco tempo, perché decise di ritornare a Bologna, dove morì l'8 apr. 1407.
Il C. lasciò precise disposizioni testamentarie affinché nella chiesa di S. Domenico venisse costruita una cappella per ospitare l'arca del santo e i resti suoi e dei suoi familiari. Quest'opera fu compiuta solo nel 1411 ad opera dei figlio Antonio, che fu docente di diritto a Bologna dal 1385 al 1419.
Il C. lasciò una vasta produzione medica stampata o manoscritta, di valore disuguale ma che ebbe una notevole circolazione, sì da giustificare la sua fama di ottimo commentatore degli scrittori medici greci e arabi; oltre al Tractatus pro peste vitanda e al Ricettario, di cui s'è già parlato in quanto sono le uniche sue opere la cui data di composizione sia sicura (ad esse bisognerebbe aggiungere un brevissimo scritto giovanile, Liber de balneis Burmi, spesso citato e compreso nella raccolta De balneis, Venetiis 1544, ma in realtà consistente in due pagine sulle virtù terapeutiche delle acque di Bormio), sono da ricordare diversi manoscritti che trattano della' peste o composti da ricettari: De peste (ms. Vat. Chig., M. VII 146; Vat. lat. 2482); De remediis ac pestilentiae curatione (Vat. lat. 1180); Tractatus. de pestilentia (Napoli, Bibl. naz., VII D 35, ff. 75-;81; Venezia, Bibl. Marc., 289 [4615]); De pydemia (Roma, Bibl. Casanatense 3638, ff. 7-20; Vat. lat. 5373 e 7251): Receptae (Firenze, Bibl. Riccardiana, 878 [L III 111]; Forlì, Bibl. comunale, A. III 49; Modena, Bibl. Estense, Campori 1374; Siena, Bibl. comunale, L VII 6, ff. 1-3v).
Più specificatamente legate alla sua attività di commentatore sono opere come Tabulae super problemata Aristotelis, Venetiis 1501 (e poi 1505 e 1518), una specie di repertorio aristotelico basato sulla traduzione di Teodoro Gaza; Recepta in nonum librum Almansoris, inserite nel Tractatus nonus libri qui Almansoris inscribitur del medico arabo Abū Bakr Muḥammad ibn Zakariyyā Rizà (Rhazes, Racis), Venetiis 1517, di cui un manoscritto cartaceo del secolo XIV, copiato da uno studente tedesco, è posseduto dalla Bibl. nazionale di Torino (G. IV. 34). Si tratta di una serie di consigli e di ricette mediche per i più vari tipi di morbi, dalle ulcere alle ragadi, dal catarro all'apoplessia; una parte propedeutica tratta l'uso dei semplici e degli elettuari sciolti. Più ampio spazio è dato alla trattazione delle malattie del cavo orale e dei polmoni, con ricette e relative posologie: l'opera presenta quindi i caratteri di un manuale di pronto. uso che raccoglie i frutti della'pratica medica del C., sparsi nei manoscritti citati sopra.
Talvolta egli fu confuso con un altro Pietro da Tossignano di molto precedente, che Guglielmo da Saliceto cita come suo maestro, autore di un De regimine sanitatis, pubblicato a Leida nel 1539 e a Parigi nel 1540, che erroneamente viene attribuito al Curialti. Di un'altra opera che il Garzoni gli attribuisce, Libellus de moribus particularibus, non si ha più notizia.
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