CONTARINI, Pietro
Nacque a Venezia nel novembre 1477 dal patrizio Giovami Alberto di Luca del ramo contariniano di S. Felice e da Nicolosa Longino di Marco.
Le esigue risorse economiche della famiglia condizionarono la vita dei C., esponente di quella nobiltà povera che traeva sostentamento dall'esercizio delle magistrature minori dello Stato. Estratta la Balla d'oro il 4 dic. 1495, il 29 ag. 1508 fu eletto castellano della rocca di Novegradi, in Dalmazia, non lontano da Zara; il 7 giugno 1517 ricevette la nomina di podestà a Castelbaldo, il 2 1 giugno 1523 quella di podestà a Parenzo, nel-, l'Istria. Ballottato, ma non eletto, nel Consiglio dei trenta nel 1527, dal 10 luglio '29 al 9 novembre dell'anno seguente fece parte dei quattro ufficiali alla Tavola delle entrate, quindi fu camerlengo e castellano di Antivari, ai confini con l'Albania, dal 7 marzo '34 al 6 nov. 1536. Fu il suo ultimo incarico: libero da impegni familiari (questo ramo dei Contarini si estinse nella sua persona), rinunciò da allora all'attività politica e non lasciò più Venezia (la sua presenza è documentata nel maggio del '39, a motivo della spartizione di una casetta a Murano con la sorella Andromaca); qui si spense nel 1543, un anno dopo la pubblicazione della traduzione in italiano della sua opera principale, l'Argoa voluptas (Venetiis, Bernardinus de Vienis, 1541).
Il breve componimento, al quale lo stesso C. pose il titolo di Argo vulgar, descrive in diciassette libri dedicati al doge Pietro Lando le bellezze ed i piaceri della città greca, che l'autore identifica con Novegradi. Nell'opera, l'elemento autobiografico risulta infatti strettamente intrecciato a quello storico, geografico, mitologico: dopo la commossa rievocazione dei genitori, il proemio rammenta l'ingresso dei C. nella vita pubblica nel giorno felice dell'estrazione della "barbarella", cui egli ricollega la nomina al primo rettorato, decisa dal Maggior Consiglio, che lo proclamò "custode ... de nove gradi".
Eccolo dunque accingersi alla partenza, salutare parenti e amici: questo gli offre il destro di celebrare la grandezza della patria, attraverso la maestosità del palazzo ducale, l'ampia scenografia della piazza, l'industriosa potenza dell'Arsenale, lo spettacolo della folla che gremisce le Mercerie. Ma tutta Venezia, e le isole che la circondano, appaiono come trasfigurate agli occhi del poeta, la cui galera passa accanto a Murano famosa per le vetrerie, al forte inespugnabile di San Nicolò, alla basilica di Torcello scintillante di mosaici, e poi lascia. la laguna per Portogruaro, Marano, Trieste e giù lungo l'Istria punteggiata di cittadine. La fine del viaggio è oltre il Quarnaro: "El castel de Novegradi da la parte de mar, e fundato sopra una rupe precipite innacessibile". li C. insiste a lungo nella minuziosa rievocazione degli allestimenti militari da lui ordinati e fatti eseguire senza risparmiar fatiche a quegli abitanti: d'altronde le sue preoccupazioni per la difesa della roccaforte ci appaiono giustificate, ove si pensi che questa era perennemente minacciata dalle incursioni dei Turchi o dei pirati uscocchì e narentani, ai quali, per di più, non doveva essere ignota la precaria situazione in cui versava la Repubblica dopo la disfatta dì Agnadello. Gli ultimi dodici libri, poi, sono occupati da una prolissa narrazione degli svaghi offerti da un ambiente povero e semplice, ma che alla fantasia del C. appare quasi una sorta di bucolica Arcadia che si ripropone attraverso i prodotti della terra e del mare ed il perenne alternarsi delle stagioni. Infine, giacché "i tempi vano via come fiumi" e "lhora de le voluptate e brieve", il rientro in patria: "Za la lettera verenda bollata in piombo porta el comandamento del veneto duce, za e venuto el successore. ... et averzimo le vele al vento, e abbandonemo i colphi argoi, e ilyrici, al terzo zorno zonzerno in histria, el quarto me mostra la torre radiante dei protector nostro messer San Marco per dover viver ne la cita aequorea de potenti Veneti, la qual e tuta salezà de piere cocte, qual e fondata forte sopra legni de orno immortali, e abrazati de cerchi de ferro. De la qual colui che mena seco luce, e lassa scuro, colui che esce fuor dei gange extremo, al mondo mai non vide la più degna, si pregna de vertute desfavilla". Così ha termine la fatica dei Contarini.
Il poema, per l'irritante commistione di erudizione epidermica e sciatteria espressiva, ha suscitato quasi unanime deplorazione tra i pochi che han ritenuto di doversene occupare: Marco Foscarini lo giudica "voto d'ogni grazia poetica", il Medin ne lamenta la "prolissità stucchevole", il Flamini lo condanna quale "arido e confuso zibaldone". Diversi, poiché motivati da una lettura condotta sotto altra angolazione, i più recenti giudizi del Sardo, che giustamente sottolinea l'importanza della prima pane dell'opera quale testimonianza dell'aspetto sociale ed urbanistico della Venezia di fine '400, e del Dobazzolo che, allo stesso modo, nella descrizione dei litorale istriano apprezza il ricordo di "località, che ora più non esistono o subirono sostanziali modificazioni".
La povertà di ispirazione e di cultura dell'Argo si ritrovano nel poemetto De voluptatibus Novigradi, sostanzialmente simile al primo, ed in un encomiastico libellus (Petri Contareni d. Io. Alberti pat. ven. ad M. artiwn d. Ioannem Barsadonem elegiarum libellus, s. I. né d.), che celebra patrizi e letterati veneziani contemporanei dell'autore, con ampio ricorso ad inserzioni virgiliane. Il C. fu anche autore di un Carmen elegiacum de laudibus Andreae Gritti e di un De regum amicitia. Poema ad Franciscum I regem Francorum, in quo de pace inter hunc et Henricum VIII Angliao regem irrita agitur, rimasti inediti tra i manoscritti marciani (Mss. Lat., cl. XIV, 230/3 e cl. XII, 168/1 rispettivamente).
Fonti e Bibl.: Sulla vita e la carriera politica cfr. Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' parritii..., II, p. 467; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 164, c. 76r; Ibid., Segretario alle voci. Misti, reg. 8, cc. 33, 65, 78; Ibid., Segretario alle voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. I, cc. 54, 155; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Mss. P. D., c. 2538/5; M. Sanuto, Diarii, XLVI, Venezia 1897, col. 248. Notizie sull'Argoa voluptas in Bibl. d. Civico Museo Correr, Mss. P. D. c. 594/IV/243; Ibid., Cod. Cicogna 1396 (quest'ultimo è una compilaz. dei Cicogna, in 23 pagine, di vari personaggi illustri nominati nell'opera); E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., I, Venezia 1824, p. 168; II, ibid. 1827, pp. 14, 19 s., 240, 283, 300; IV, ibid. 1834, pp. 509, 511; V, ibid. 1842, p. 75; Id., Saggio di bibliografia venez., Venezia 1847, pp. 258, 363, 621; M. Foscarini, Della letter. venez., Venezia 1854, p. 343; A. Medin, La storia della Repubblica di Venezia nella Poesia. Milano 1904, pp. 33, 523; F. Sordo, Su l'Argoa voluptas di P. C. Poeta veneziano, Teramo 1908; P. Zorzanello, Echi della "Commedia" in un poema veneziano inedito del primo '500, in Dante. La poesia, il pensiero, la storia, Padova 1923, pp. 273 s.; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori. Studio bio-bibliografico. Roma 1927, p. 109; F. Flamini, IlCinquecento, Milano s. d., pp. 114, 539.