CAPRETTO (Del Zochul, Haedus, Edus), Pietro
Nacque a Pordenone nel 1427 dal "magister" Benvenuto.
Il cognome con cui il C. è più conosciuto bibliograficamente, quello appunto di Capretto, è il volgarizzamento dell'umanistico Haedus in cui aveva volto il suo cognome volgare Del Zochul, che in friulano significa capretto; questa abitudine non è costante nel C. che si sottoscrive volta a volta come del Giochollo, del Zocholo, Zòchol, Zocùl, Cavretto, Capretto, Haedus, Edus, Chrysaedus "a cagione dell'arme sua gentilizia, in cui portava un capretto d'oro, ovvero fregiato d'oro" (Liruti, p. 429; Miglio, p. 190 n. 4). La forma Haedus, recepita nei tre testamenti conosciuti del C., fu accolta da altri componenti della famiglia ed il nipote Alessandro, in un documento del 1494, è chiamato "Alexander de Hedis, iuris doctor, potestas" (Benedetti, p. 4).A Pordenone il C. rimase fino al 1450 circa, quando, oramai prete, lo troviamo a Gemona del Friuli, dove il 20 marzo 1452 ottenne la prebenda degli altari dei Tre Magi e di S. Tommaso nella chiesa parrocchiale. Secondo il Liruti (p. 430), fu vicario ecclesiastico per Gemona di Nicolò Spadarini, incarico che conservò anche per Giovanni di Maniago e Alessandro Lionelli; il 20 febbr. 1475 ebbe anche il vicariato di S. Marcoin Pordenone, che abbandonò il 28 apr. 1477. Negli ultimi anni il C. abbandonò definitivamente Gemona, forse dopo il 1495, per ritirarsi a Pordenone; negli anni precedenti si hanno notizie di suoi frequenti spostamenti a Pordenone (1459. 1474, 1475, 1476, 1491, 1492, 1493) soprattutto per prendere parte alle riunioni della Confraternita dei battuti.
Ad una vita sostanzialmente povera di avvenimenti per noi importanti, e conclusa nel, l'amicizia del tipografo Gerardo di Lisa, di Quinto Emiliano Cimbriaco, Iacopo Gordino, Antonio Peonio, Leonello Chieregato e Iacopo da Porcia, fa riscontro una intensissima attività letteraria, iniziata nel 1450 c. con un poemetto (il titolo oggi usato di Amores è un suggerimento di E. Fabbrovich) di 19 canti in terza rima volgare, ad imitazione di Dante, ma non immune da influenze petrarchesche, in cui il C. immagina, dopo la delusione di un rifiuto della donna amata e la decisione di abbandonare la vita mondana, un viaggio nel regno degli schiavi d'amore, accompagnato da Ovidio e da Boezio (Venezia, Bibl. naz. Marciana, ms. It., cl. IX, 96 [ = 6636]). La seconda opera ci sposta di una ventina di anni: nel 1474 il C. si dedicava a un Liber memorialis defunctorum che nel manoscritto (Udine, Bibl. com., ms. 1325) risulta "reformatum per presbiterum Petrum Edum"; è interessante per le indicazioni biografiche ed onomastiche ricavabili. La prima opera apparsa a stampa vivente l'autore (nel 1484 a Udine) è il volgarizzamento da lui curato delle Costitutioni de la patria de Friuoli (cfr. Indice generale degli incunaboli delle Biblioteche d'Italia, II, n. 4051), nella cui prefazione spiega, oltre alla ragione di un simile lavoro ("a sovegnire a le miserabile persone"), la scelta linguistica che gli ha fatto scartare "la elegantia de la toschana lengua, per esser troppo oscura ali populi furlani" e quella "furlana, tra perché mal se può scrivere e pezo lezendo pronunciare" e scegliere infine "la lingua trivisana... come quilla, che participa in molti vocabuli con tutte le lingue italiane..." (Miglio, p. 182). Le stesse preoccupazioni d'ordine linguistico il C. esprime, due anni dopo, nel 1486, nel volgarizzamento de Loofitio de la Madonna ex latino in rythmos versum anche se differente è ora la soluzione: "Ho posto il dir toscano col lombardo... / ho l'un parlar con l'altro temperato / seguendo il dir toscano tuttavia / pur che non sia oscuro o poco usato" (Udine, Bibl. com., ms. 117, f. 2). L'esplicito desiderio di un vasto pubblico di lettori che era alla base delle sopracitate scelte linguistiche è confermato anche dalla implicita positiva valutazione della stampa, che risulta in alcune delle lettere rimasteci del carteggio tra il C. e Iacopo da Porcia, dalle quali risulta la richiesta della pubblicazione di suoi lavori (Benedetti, p. 64; Miglio p. 181 n. 4).
Sono molte le opere composte dal C. negli anni successivi. Alcune apparvero a stampa, come gli Anterotica sive de amoris generibus (Treviso 1492, s. l. 1503, Colonia 1607), un dialogo in cui egli riprende alcuni temi di fondo dell'operetta giovanile in versi, gli Amores, ma riaffermando insieme la validità degli studia humanitatis indica al nipote Alessandro, in un contesto denso di riferimenti culturali antichi e recenti (Cicerone, Seneca, Virgilio, Ovidio, Apuleio, Petrarca), i pericoli della superbia e dell'amore (Benedetti, pp. 7 ss., 59, 64 s.). Ancora a stampa (Liruti, p. 435), apparve a Pordenone dopo il 1500 il De concordiae pacisque dulcedine suaviteque salutari, dedicato al conte Iacopo da Porcia, che nasce dalla contingente difficile situazione politica delle terre friulane (Miglio, p. 186); subito dopo, nel 1502, pubblicava dedicandolo a Iacopo Gordino, arcidiacono di Aquileia, il De mundanorum hominum temeritate atque stultitia (Venetiis, impensis Georgi de Rusconibus, 7 maggio 1502). Accanto a questi editi va inserito un lungo elenco di titoli, soltanto in parte pubblicati postumi, come il De miseria humana, "in Academia Veneta 1508", al quale non appare estranea l'influenza dell'omonima opera di Innocenzo III e delle Tuscolane di Cicerone; e quelle opere che il C. compose in qualità di appartenente alla Compagnia dei battuti di Pordenone. Da questa esperienza nacquero infatti i Capitula scholae venerandae S. Mariae Battuttorum civitatis Portusnaonis, stampati ad Udine (Ex typographia Schiratti, 1683), e le sacre rappresentazioni per la Resurrezione e la Assunzione, pubblicate da V. De Bartholomaeis (Dialcune antiche rappresentazioni italiane, in Studi di filologia romanza, XVI [1893], pp. 229-45; per il manoscritto vedi ora Catalogo dei manoscritti in scrittura latina datati o databili, I, Biblioteca nazionale centrale di Roma, a cura di V. Jemolo, Torino 1971, pp. 96 s.).
Altre composizioni sacre composte dal C. (Inno... di S. Tommaso apostolo; Il pianto di Maria; L'inno... a S. Rocco), pubblicate in varie occasioni, sono ora indicate dal Benedetti (pp. 71, 76, 86), altre ancora sono state da lui edite, come il Te Deum laudamus e Ne la ascensione de Iesu Cristo (pp. 48, 50, 52 s.). Rimasero invece inedite, tra le opere di minore importanza, oltre gli Amores, il Liber memorialis defunctorum e l'Ofitiode la Madonna, sopra ricordati, anche i Diapsalma sive expositio in Davidicos psalmos (Udine, Bibl. com., ms. 165: 1493 idibus Iunii); il De senectute christiani hominis (Bibl. Apost. Vat., Rossiano 371, ff. 1-131); il De pestifero sedicionis malo huiusque remedio (ff. 132v-169), che risultano datati rispettivamente "Glemonae 1491 idibus Ianuariis" e "1495 calendis Iuniis" (P. O. Kristeller, Iter Italicum, II p. 469); ed il Liber de rei uxoris conditione (Göttweig, Abbazia benedettina, ms. 509 rosso, ff. 1-76v), il Liber de clericorum conditione statuque (ibid., ff. 76v-105), il Liber de rei militaris periculis (ibid., ff. 105-117v).
Ma le più interessanti, storicamente, tra le opere inedite del C. sono due opuscoli nei quali confuta la De falso credita et ementita Constantini Magni donatione di L. Valla. Il primo ha il titolo Propositio qua quaeritur utrum quas terras ecclesia Romana papave possidet eas recte nec ne possideat adversus libellum eum quem Laurentius quidam Valla de ementita Constantini donatione,ut dicitur,inscripsit, ma dallo stesso autore è chiamato più brevemente Antidotum: dedicato a Leonello Chieregato, è databile al febbraio 1496 (data nel ms. di Assisi: Pridie calendas Martias; per i mss. di queste operette cfr. Miglio, pp. 187-91) e viene già presentato come anticipo di una opera più vasta (Miglio, p. 192). In esso il C. cerca di spiegare le ragioni psicologiche del lavoro del Valla: invidia verso il clero, insofferenza politica nell'obbedienza ad un'autorità spirituale anche nel temporale, insofferenza nei confronti delle esazioni fiscali, superbia ed esagerata fiducia nella possibilità dell'eloquenza. Per il C. il problema più importante non è, in questo primo opuscolo, l'autenticità della donazione, ma quello della validità. Partendo da questo presupposto, dopo un lungo excursus sulle precedenti interpretazioni nel quale è ricordata anche l'abusata interpretazione etimologica del termine Augustus, e attraverso la teorizzazione del duomagna luminaria ed il ricorso all'esegesi del sogno di Nabucodonosor data da Daniele, il C. giunge alla conclusione che - sebbene della donazione non vi sia traccia nei libri autentici di quei secoli e nelle storie contemporanee - il potere temporale della Chiesa è stato in ogni caso una realtà concreta, come è dimostrato dai molti interventi spesso operati nel corso dei secoli dai pontefici in difesa ed aiuto della città di Roma. In tutta questa opera, accanto all'uso esplicito di giuristi come Giovanni Teutonico e a quello di alcune decretali, larghi brani sono tratti soprattutto e quasi esclusivamente dal Supplementum Chronicarum di Giacomo Filippo Foresti e dal Fasciculus temporum di Rolewinck Werner. Il secondo opuscolo col titolo In Laurentii Vallae famosum libellum quemdam Apologia è preceduto da una lettera di prefazione ad Alessandro VI, ed è datato "MCCCCXCI calendis septembris". Tra le due opere, l'Antidotum e l'Apologia, vi è, come si vede, un brevissimo spazio di tempo, ma in questa seconda opera il C. presenta una confutazione integrale dell'opuscolo del Valla. L'impostazione generale è quella stessa dell'Antidotum, ma non c'è argomento che sfugga all'autore, non c'è interpretazione di proposizione scritturale a cui non venga contrapposta una rigorosa esegesi, non c'è ironia del Valla a cui non tenti una risposta. Rinunciato del tutto ad ogni apparato letterario, il C. costruisce un dialogo in cui le risposte sono inserite "veluti forensi aliqua in causa disceptando" nell'opera del Valla che trascrive letteralmente tutta. Al Valla il C. riconosce "ista qua te plurimum valere aiunt eloquentia", ma immediatamente sposta il suo discorso sul piano della polemica dichiarando di non voler tener conto delle decretali; ma questo soltanto perché la donazione è avvenuta per volontà divina così come per divina volontà fu la conversione di Costantino, il consenso di papa Silvestro alla donazione, l'abbandono di Roma e la fondazione di Costantinopoli; in tal modo la donazione non era lontana dal divenire articolo di fede e chi ne sosteneva l'invalidità e la falsità eretico. Ma anche se l'impostazione dei due scritti è così rigidamente ierocratica, al C., per la prima volta nella polemica contro la De falso credita... donatione, non sfugge l'importanza degli argomenti filologici usati dal Valla. Se l'aver tenuto conto di questi aspetti filologici ed anche paleografici e diplomatistici e titolo di merito del C., l'analisi che si può fare degli argomenti da lui addotti non dà un risultato altrettanto positivo. La più interessante notazione del C., in risposta alla teorizzazione del Valla, è che la lingua non è un organismo immutabile nel tempo, ma s'arricchisce di continuo di nuovi termini; egli interpreta anche, in tal modo, quel processo di osmosi tra volgare e lingua classica che caratterizza ogni periodo di maggiore vitalità linguistica. Sia l'Antidotum sia l'Apologia possono essere ricondotte con sufficiente precisione all'influenza di un ambiente curiale romano strettamente legato ad Alessandro VI e nel quale alcune idee di supremazia papale nello spirituale e nel temporale erano tanto radicate da diventare motivo dominante. Il tramite tra questo ambiente e il C. fu con molte probabilità Leonello Chieregato, vescovo di Concordia, nella cui ideologia è possibile cogliere momenti molto vicini a quelli espressi dal C. nella replica al Valla.
Per concludere l'esame delle opere scritte dal C. si possono ancora segnalare due orazioni d'occasione scritte dal C. per altri e pubblicate dal Benedetti (pp. 32, 34, 36) e tredici lettere di Iacopo da Porcia al C., interessanti per qualche notizia, riedite ancora dal Benedetti (pp. 38, 40, 42, 44); una lettera inedita del C. è in Arch. di Stato di Udine, fondo Caimo, busta 97, fasc. VII, c. 46v. Altre opere del C. sembrano invece oggi perdute, e testimoniano tutte, nei titoli, dei suoi diversi, ma non superficiali, interessi; così manca una Orazione per la morte di Antonio III Feletto, vescovo di Concordia (Benedetti, p. 82), una Nova de miraculis disputatio ad Lionellum Cheregatum Concordiae episcopum, scritta nel 1493 (ibid., p. 83), ed inoltre un De arte musica, un De principatu, una In Sicarium Bartholomaeum oratio, un De plani cantus praeceptis quibusdam et observationibus libellus (ibid., p. 90). Del C. abbiamo tre testamenti: il primo del 22 febbr. 1475, il secondo del 9dic. 1476 ed un terzo, pubblicato con qualche inesattezza dal Benedetti (pp. 28.9 30), del 9maggio 1501. Da essi non trovano un'adeguata conferma, nei libri da lui lasciati per legato testamentario, le indicazioni di letture varie e cronologicamente diversificate del C. ed anche di una buona attenzione agli autori contemporanei che deriva dalle letture delle sueopere: nell'ultimo dei testamenti dettati figurano in ordine le Vitae patrum, la Summa Pisanella et Angelica, la Secunda secundae di Tommaso d'Aquino, Flavio Giuseppe, il Supplementum chronicarum del Foresti, il Fasciculus temporum del Werner, Orosio, Seneca, ilTortelli, il De oratore ed il De officiis di Cicerone, la Bibbia in tre volumi con il commento di Nicola da Lira, la Naturalis historia di Plinio, e quindi le Decretali, il Liber sextus, le Clementine, i Sermoni di Alberto da Padova, le Epistole di Cicerone, Persio, Terenzio e Nonio Marcello. Nei testamenti precedenti erano solo menzionati: Lattanzio (è ora il cod. Marc. lat. II, 50 [ = 2228], scritto di mano del C., cfr. Miglio, p. 181), il De civitate Dei di s. Agostino ed i Moralia di Gregorio Magno (Miglio, p. 200). Dalle sue letture e dalle molte opere da lui scritte risulta, in mancanza tuttora di un'opera complessiva che valuti integralmente la dimensione esatta del C., il tentativo che si opera nel C. di accordare ad una incalzante vocazione umanistica, con già presente qualche venatura enciclopedica, il senso forte di un'altrettanto valida vocazione religiosa; il momento più evidente di questo incontro si svela proprio nelle opere in polemica con il Valla.
Il C. morì a Pordenone il 22 genn. 1504, e secondo le sue volontà testamentarie dovette essere sepolto "in cimiterio parochialis ecclesiae S. Marci de Portunaonis in sepulcro parentum suorum".
La notizia della sua morte si trae dal Liber memorialis defunctorum per presbiterum Petrum Edum (Udine, Bibl. com., ms. 1325, f. 4), dove una mano contemporanea registra: "22 januarius mesier pre Piero del Cocholo 1504", e dal ms. 117 della stessa Biblioteca, che contiene il suo Ofitio de la Madonna, dove è annotato: "1504 adì 22 zenar moritte missier pre' Pietro del Zochol homo excellentissimo et molto da bene". La pergamena che rilega questo manoscritto ci è testimone della incertezza sulla sua vera identità, già pochissimi anni dopo la morte, provocata dall'abitudine di travestire umanisticamente il cognome volgare: "Si ha l'Offizio della Beata Vergine, volgarizzato in versi, opera di pre' Pietro del Zochol quale si crede sia Pietro Edo" (Miglio, p. 180).
Fonti e Bibl.: Udine Bibl. com., ms. Joppi 29: D. Ongaro, Catalogo ragionato dei letterati friulani, c. 18; G. G. Liruti, Notizie della vita ed opere scritte da' letteratidel Friuli, I, Venezia 1766, pp. 429-37; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, 1, Milano 1807, p. 660; V. Baldissera, Degli uomini degni di ricordanza di Gemona, Udine 1888, p. 3; V. Zabughin, Petri Haedi Sacerdotis Portusnaensis Anterotica, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXIII (1919), pp. 313-17; E. Fabbrovich, Il poema ined. di un friulano dantista del quattrocento in Annuario del R. Liceo ginnasio J.Stellini di Udine, Udine 1931, pp. 87-103; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, pp. 256 s., 305, 534; F. Fattorello, Coltura e lettere in Friuli nei secoli XIII e XIV, Udine 1934, pp. 80-84; C. Dionisotti, Ancora sul Fortunio, in Giorn. stor. della letter. ital., CXI (1938), pp. 222 s.; A. Benedetti, P. C. pordenonese dotto sacerdote e umanista, in IlNoncello, XVIII(1962), pp. 3-91 (pubblica un elenco delle opere edite ed inedite del C.); N. Bridgman, La vie musicale au Quattrocento, Paris 1964, pp. 70-73; M. Miglio, L'umanista Pietro Edo e la polemica sulla donazione di Costantino, in Bull. dell'Istituto stor. ital. per il Medio Evo, LXXIX (1968), pp. 167-232.