BERTOLINI, Pietro
Nato a Montebelluna (in prov. di Treviso) il 24 luglio 1859, da Camillo, che era consigliere di Corte di appello, e da Ludovica Bigaglio, si laureò in legge presso l'università di Padova, conseguendo successivamente la libera docenza in diritto amministrativo. Testimonianza di questa sua attività scientifica sono i Saggidi scienze e diritto della pubblica amministrazione (3 voll.,Roma 1889-1892), Il governo locale inglese e le sue relazioni con la vita nazionale (Torino 1890) e i numerosi articoli che tra il 1892 e il 1894 egli pubblicò sulla Nuova Antologia,sul decentramento amministrativo, sulla riforma dell'amministrazione dei lavori pubblici e su altri argomenti concernenti l'organizzazione della pubblica amministrazione. Questa sensibilità verso i problemi della vita amministrativa e locale veniva al B., oltre che dai suoi studi, anche dall'esperienza diretta: nel paese nativo egli aveva successivamente ricoperto le cariche di consigliere comunale, di assessore, di sindaco, di consigliere provinciale, oltre a quella di presidente della Congregazione di carità.
L'elezione a deputato nel I collegio di Treviso (resosi vacante in seguito all'annullamento dell'elezione di G. Benzi), avvenuta nel 189o, costituì il logico coronamento di una rapida carriera nel campo dell'amministrazione locale.
Alla Camera in un primo tempo il giovane deputato seguitò ancora a occuparsi di problemi locali: il suo esordio parlamentare avvenne infatti con la presentazione di un progetto di legge inteso a regolare la questione, pendente sin dal 1885, dell'alienazione a un consorzio di comuni del bosco demaniale del Montello, progetto di legge che venne fatto proprio dal ministro dell'Agricoltura Chimirri e approvato nel 1892. Per il B. (autore anche di un libretto, La verità sul Montello, Bassano 1887) fu un successo notevole.
Poco dopo, nel giugno 1894, in occasione del rimpasto effettuato nel ministero Crispi, P. Boselli, assunto il portafoglio delle Finanze, volle con sé il B. che ricopri così la carica di sottosegretario alla Finanze sino alla caduta del ministero nel marzo 1896. Da questa esperienza di governo il B. fu indotto a mitigare le simpatie in precedenza manifestate verso un più largo sistema di decentramento amministrativo, come appare dall'articolo apparso nella Nuova Antologia (1° ott. 1896: Note parlamentari intorno al problema regionale). Una notevole influenza ebbero gli avvenimenti di Sicilia di quegli anni e le discussioni parlamentari sull'istituzione di un commissariato civile nell'isola cui essi dettero luogo. Politicamente il B. venne sempre più legandosi a quel gruppo di parlamentari che faceva capo al Sonnino, del quale egli condivideva gli orientamenti conservatori e con il quale si associò per fondare Il Giornale d'Italia, periodico di cui sarà un assiduo collaboratore. Questo suo orientamento politico conservatore gli valse, nel luglio 1899, la nomina agli Interni nel secondo gabinetto Pelloux. In tale delicata posizione egli visse i giorni della battaglia ostruzionistica e numerosissime furono le interpellanze dei deputati dell'opposizione costituzionale e dell'estrema sinistra cui fu chiamato a rispondere; nella sua qualità di sottosegretario agli Interni ebbe una certa parte anche nella preparazione e nello svolgimento delle elezioni generali politiche del giugno 1900, suscitando critiche al suo operato alle quali rispose più tardi personalmente alla Camera. Caduto il ministero Pelloux e dopo la breve parentesi del ministero Saracco, assunto il potere dal nuovo ministero di indirizzo liberale presieduto dallo Zanardelli, il B. si trovò naturalmente ad essere messo alquanto in disparte e la sua stessa partecipazione ai dibattiti parlamentari, pur rimanendo cospicua, si venne attenuando.
Troviamo espresso il suo punto di vista sulla nuova congiuntura politica determinatasi nel paese nell'articolo Politica e socialismo (Nuova Antologia, 16 nov. 1900). In esso, pur riconoscendo che "il progresso del partito socialista costituisce al presente la manifestazione più notevole della vita pubblica italiana", e pur dichiarandosi favorevole alla prospettiva di una partecipazione al governo dei dirigenti socialisti, il B. batte l'accento soprattutto sulla necessità di una riorganizzazione del partito liberale e sul concetto che l'opera di pacificazione e di riforma sociale spettava non al governo, quanto piuttosto alle classi sociali più elevate. Più in particolare, nei suoi scritti successivi, il B. prese posizione contro il disegno di legge presentato dal governo sulla municipalizzazione dei servizi pubblici e si dichiarò contrario alla proposta di istituzione del referendum.
L'avvento al potere del Sonnino, nel febbraio 1906, costituì per il B. un'amara esperienza, che ebbe influenza decisiva nel determinare il corso della sua carriera politica avvenire. Egli non venne infatti chiamato a partecipare alla nuova compagine ministeriale, della quale invece, come è noto, entrarono a far parte il radicale Sacchi e il repubblicano Pantano.
In un discorso pronunciato alla Camera l'8 marzo 1906, che rappresenta senza dubbio il suo più impegnativo intervento parlamentare, dopo aver ricordato di essere stato da tempo un sostenitore della necessità di un gabinetto Sonnino, il B. espresse chiaramente la sua perplessità relativamente al modo in cui il nuovo ministero era stato costituito e alla sua composizione e, pur impegnandosi a votare la fiducia e a sostenerlo, lasciò apertamente trasparire la propria amarezza. Di fatto, quando di lì a poco il cosiddetto ministero sonniniano dei "cento giorni" si trovò in difficoltà sulla questione del riscatto delle ferrovie meridionali, il B., nella sua qualità di presidente della Commissione Finanze della Camera tentò di assecondarlo impegnandosi a presentare entro breve termine la relazione sul disegno di legge in questione che il governo sollecitava. Caduto però il ministero, il B. cessò di esser considerato uno degli amici politici del Sonnino e si venne sempre più accostando al Giolitti, che apprezzava la sua profonda competenza in materia amministrativa.
Quando, nel novembre 1907, per la morte del ministro Gianturco, rimase vacante il ministero dei Lavori Pubblici, sotto la cui giurisdizione era l'importante settore delle ferrovie recentemente nazionalizzate, Giolitti non esitò ad assegnarlo al Bertolini. Il suo esordio come oratore dalla tribuna del governo avvenne il 6 dic. 1907 con una risposta ai rilievi avanzati dal Turati sull'atteggiamento del governo nei confronti del recente sciopero generale ferroviario dell'ottobre: egli sostenne con energia la tesi che respingeva la proposta dell'arbitrato di stato invocato dal Turati in caso di scioperi nei servizi pubblici. Il lavoro che il B. svolse in quel ministero fu cospicuo, come dimostrano i suoi numerosissimi interventi sulle varie questioni attinenti all'attività del suo dicastero e, in particolare, alle ferrovie. Una notevolissima energia spiegò in occasione del terremoto di Messina del 28 dic. 1908, dando prova di considerevoli capacità organizzative.
Ormai il B. era considerato uno dei più autorevoli esponenti della maggioranza giolittiana. e uno dei più fidi collaboratori del Giolitti stesso. Lo si vide chiaramente quando questi tornò al potere nel marzo 1911. Il B. non venne chiamato a far parte della nuova compagine ministeriale, ma svolse egualmente una parte di primissimo piano nella vita del gabinetto. A lui venne infatti affidato il delicato compito di riferire sul progetto di legge elettorale che il ministero si era impegnato a presentare e a far approvare, progetto che introduceva in pratica il suffragio universale maschile.
Il 27 marzo 1912 il B. presentò alla Camera la sua relazione: esordiva riecheggiando la constatazione di Giolitti, nel discorso del 3 marzo 1911, che era ormai tempo di adeguare il sistema elettorale, promuovendone un allargamento, alle modificazioni sopravvenute nel tessuto sociale del paese. Nel corso della discussione (che ebbe termine il 25 maggio) il B. intervenne ripetutamente per illustrare e per difendere questo o quel punto del progetto di legge. Taluni giudicarono non cristallino. il suo comportamento politico in questa contingenza: l'Albertini, per esempio, lascia intendere che egli aveva compiuto una sorta di voltafaccia accettando di perorare una legge assai più radicale di quella in discussione ai tempi del ministero Luzzatti, e la cui approvazione egli aveva cercato allora di ritardare presentando, in qualità di membro della Conunissione relatrice, un ordine dei giorno dilatorio, e contribuendo così a far cadere il n-únistero. In altre parole, la fedeltà al Giolitti avrebbe in questa occasione avuto la meglio sulle sue convinzioni personali e sul suo conservatorismo. A questo proposito, però, va rilevato che il B. si pronunciò poco dopo contrario alla concessione del diritto di voto anche alle donne.
Il B. ebbe anche parte nel dibattito parlamentare sull'altra grande iniziativa legislativa del quarto ministero Giolitti: la creazione dell'Istituto nazionale delle assicurazioni. Nella tornata del 4 luglio 1912 egli propose infatti un emendamento che limitava il monopolio dell'Istituto ai soli contratti inferiori alle 15.000 lire e ammetteva una certa concorrenza tra l'Istituto stesso e le compagnie assicuratrici private, emendamento che peraltro non venne accolto a causa dell'opposizione dei deputati socialisti.
Il prestigio politico del B. toccava così il suo apice, e di lui ormai si parlava come del "principe ereditario" designato dal Giolitti a succedergli. Nel luglio 1912, assieme al Fusinato e al Volpi, venne designato a rappresentare l'Italia nella conferenza di Losanna. Non sembra che la sua parte nelle trattative con i rappresentanti turchi sia stata molto attiva: si limitò in sostanza, a seguire le istruzioni del Giolitti. Quando questi giudicò lesiva del principio della proclamata sovranità italiana sulla Libia la sua proposta di un accordo italo-turco per un'occupazione trentennale delle zone interne, non tardò ad adeguarsi. La felice conclusione delle trattative di Losanna e la conseguente stipulazione del trattato di Ouchy gli valsero la nomina al nuovo ministero delle Colonie, del quale prese possesso il 29 luglio 1913. Non vi rimase però a lungo, a causa delle dimissioni, nel marzo del 1914, del gabinetto Giolitti, ma nel breve periodo in cui restò in carica dovette tuttavia occuparsi dei gravi problemi sollevati dalla resistenza delle popolazioni dell'interno fedeli al Senusso, nel senso, a quanto sembra, di mitigare la eccessiva propensione dei governatori militari della Cirenaica, Briccola e Ameglio, a metodi di repressione assai sbrigativi.
A mano a mano che, dopo la caduta di Giolitti e lo scoppio del primo conflitto mondiale, si profilava la possibilità di un intervento in guerra dell'Italia a fianco delle potenze dell'Intesa, il B. venne assumendo un atteggiamento sempre più apertamente neutralista.
A ciò lo inducevano sia le informazioni di cui disponevicirca la scarsa preparazione militare italiana e la conseguente preoccupazione che egli nutriva per la sorte della sua regione, esposta più di ogni altra ai pericoli di un'invasione, sia l'amicizia politica per il Giolitti, sia, infine, le sue simpatie per gli Imperi centrali, che gli valsero l'accusa da parte della stampa interventista di intrattenenere contatti con l'ambasciata tedesca e di farsene portavoce. Nel corso dell'estate del 1914,come racconterà poi nel suo diario, pubblicato postumo (a cura della moglie Sofia Guerrieri Gonzaga, in Nuova Antologia,1° febbr. 1923, pp. 214-244), il B. dalla sua Montebelluna venne più volte a Roma per perorare la causa della neutralità ed ebbe a questo fine colloqui con il Salandra, con il Sonnino e col San Giuliano. Il suo punto di vista era anche più radicale di quello del Giolitti, poiché riteneva grave errore iniziare trattative con l'Austria per compensi territoriali; tuttavia pare che ai primi di novembre del 1914 il Salandra avesse pensato a lui come ministro degli Esteri nel caso di non accettazione da parte di Sonnino. Nei giorni che precedettero immediatamente l'entrata italiaha in guerra l'attività del B. si fece febbrile. In particolare, tra il 26 aprile e il 15 maggio si adoperò per combinare un incontro tra il Salandra e il Giolitti e per realizzare un compromesso dell'ultima ora sulla base delle estreme proposte di concessioni avanzate da parte austriaca, delle quali egli era stato messo al corrente, probabilmente per il tramite del deputato tedesco Erzberger, prima ancora del Giolitti. Quest'ultimo tenne però nel complesso un atteggiamento riservato nei confronti delle insistenze del B., il quale si trovò così ad essere esposto e additato all'opinione pubblica dalla stampa interventista come un anuco degli Imperi centrali, al punto che, il 14 maggio, mentre transitava in tram per piazza Colonna, venne fatto segno a una violenta dimostrazione ostile da parte di elementi interventisti. D'altra parte, anche i suoi rapporti con Giolitti si erano raffreddati ed egli finì così per trovarsi, negli anni della guerra, in una posizione di completo isolamento. Ciò si rifietté anche nella collaborazione di questo periodo alla Nuova Antologia, che presenta i caratteri di un distacco dalla vita politica attiva: si occupò infatti di problemi quali il metodo pedagogico Montessori, la riforma ospedaliera e le assicurazioni operaie.
Caduto nelle elezioni politiche del novembre 1919 nel suo tradizionale e fidato collegio, il B. venne designato dal Nitti a rappresentare l'Italia nella commissione interalleata per le riparazioni, e il suo nome venne fatto nella crisi politica del giugno 1920, risolta con la costituzione del gabinetto Giolitti, come quello di un possibile ministro degli Esteri. Ma la voce si rivelò al la prova dei fatti priva di fondamento. Nominato senatore con decreto del 3 ott. 1920, mentre rientrava in patria per prestare giuramento e riferire sulla sua attività parigina, venne colto da grave malore in treno e, trasportato a Torino, vi morì il 28 novembre del 1920.
Fonti e Bibl.: G. Giolitti, Memorie della mia vita, Milano 1922, v. Indice; A. Salandra, La neutralità:1914. Ricordi e Pensieri, Milano 1928, pp. 140 ss., 357, 446; Id., L'intervento:1915. Ricordi e Pensieri, Milano 1930, pp. 249 s., 252 s.; L. Albertini, Venti anni di vita politica ital., Bologna 1950-1953, vedi Indici; L. Einaudi, Cronache econ. e polit. di un trentennio, II,Torino 1959, pp. 676 s., 704 s., 708 s., 729 s., 732, 837; III, ibid. 1960, pp. 1960, 161, 297-99, 467 s., 722; O. Malagodi, Conversazioni della guerra 1914-1919, a c. di B. Vigezzi, Milano-Napoli 1960, vedi Indici; V. E. Orlando, Memorie (1915-1919), Milano 1960, p. 28; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica ital., 3 voll., a c. di P. Angiolini, G. Carocci, C. Pavone, Milano 1962, v. Indici; G. Salvemini, Il ministro della malavita e altri scritti sull'Italia giolittiana, a c. di E. Apih, Milano 1962, pp. 265-268, 562; Id., Come siamo andati in Libia e altri scritti dal 1900 al 1915, a c. di A. Torre, Milano 1963, pp. 292 s., 298, 306, 320. Ampio necrologio del B. in Il Giornale d'Italia, 30 nov. 1920; C. Montalcini, P. B., in Nuova Antologia, 1°dic. 1921, pp. 209-233; G. Mondaini, Manuale di storia e legislazione coloniale del regno d'Italia, I, Storia coloniale, Roma 1927, pp. 293, 313, 315, 322 s., 327 s., 330 s., 333; A. Piccioli, La pace di Ouchy, Roma 1935, passim; G. Fornari, Gli italiani nel sud libico. Le colonne Miani (1913-1915), a c. del ministero dellAfrica Italiana, Roma 1941, pp. 15-36; C. De Biase, L'incolumità di Giolitti e l'assalto a Montecitorio nel maggio 1915. Roma 1957, pp. 38-41; L'Italia in Africa, C.Marinucci-T. Columbano, Il governo dei territori oltremare, Roma 1963, pp. 36 s., 225 s.; ibid., M. A. Vitale, Opera dell'esercito, III, Roma 1964, pp. 42. 58, 62 s., 68, 77.