BAROZZI, Pietro
Nacque a Venezia nel 1441 da Ludovico, senatore, e da Polissena Moro e studiò alla scuola di Pietro Perleone da Rimini, nella quale, tra gli altri, ebbe condiscepoli il futuro doge Lemardo Loredan e Pietro Del-fino. Passato - quindi all'università di Padova attese agli studi giuridicì, probabilmente sostenuto dall'aiuto dello zio Giovanni Barozzi, vescovo di Bergamo e in seguito patriarca di Venezia. Nel 1466 gli venne a mancare questo appoggio per la morte del congiunto; ma nel 1471 mentre era in viaggio alla volta di Roma fu eletto vescovo di Belluno da Paolo II, imparentato anche con un altro suo zio, Francesco, vescovo di Treviso e datario.
Già a quest'epoca il B. si era segnalato per alcune orazioni composte in buon stile latino e per quattro libri di componimenti poetici, che in seguito furono da lui in parte rifiutati, forse perché non più confacenti alla acquisita dignità vescovile. Tra essi trova posto una satira contro la Curia romana. Anche durante, il periodo trascorso nella sede bellunese (1471-1487),pur tra le gravi cure.,pastorali, resepiù ardue dalle scorrerie turche che desolavano il vicino Friuli, la sua operosità letteraria non si interruppe, concretandosi in tre libri di Consolatorie (due a Giovanni Michiel, vescovo di Verona, e uno a Pietro Foscari, vescovQ di Padova), nella raccolta e nella sistemazione in tre libri di Inni delle precedenti composizioni poetiche, cui altre ne aggiunse, e nella redazione d'un repertorio del Decretum Gratiani.
Dovette essere, questo del governo della diocesi bellunese, un periodo fecondo e felice a cui la memoria del B. ricorse con frequenza durante gli anni più impegnativi e più agitati passati nella sede di Padova, alla quale fu trasferito nel 1487 dopo esser stato - due anni prima - in predicato per il passaggio alla Chiesa di Treviso, nella quale gli fu però preferito Niccolò Franco, vescovo di Parenzo.
La nomina alla diocesi padovana non avvenne senza contrasti, giacché il B. fu il candidato del governo veneziano, opposto al cardinale Michiel, che teneva allora la sede di Verona ed era l'uomo destinato a Padova da Innocenzo VIII. In tutta la controversia, che si trascinò per due anni, il B. si mantenne rigorosamente da parte e solo dopo la regolare nomina pontificia assunse titolo e funzioni di vescovo di Padova.
L'opera pastorale nella nuova sede' protrattasi per venti anni dal 1487 al 1507, fu particolarmente intensa ed efficace, praticata con impegno, dedizione e disinteresse non comuni, secondo il rigore d'una sempre vigile coscienza profondamente cristiana. Nel 1488 il B. celebrò un sinodo diocesano pubblicandone le costituzioni., che rappresentano un documento di notevole importanza per la storia degli incunaboli della riforma cattolica, e tre anni più tardi, sostenuto dalla predicazione di Bemardino da Feltre, istituì un monte di pietà per contenere e contrastare l'attività feneratizia di ben ventidue banchi gestiti in Padova da elementi ebraici. Nel quadro della sua azione di regolarizzazione della vita ecclesiastica, visitò accuratamente tutta la diocesi, procedendo, tra l'altro, al ridimensionamento di tradizioni locali di impronta falsamente miracolosa, ed entrò in conflitto con i canonici dei capitolo di Padova per la questione della residenza. La vita esemplare e l'intensa attività fecero di lui una figura di notevole risonanza. Gaspare Contarini, nel De officio episcopi,modellò sul B., che aveva conosciuto durante i suoi anni di studentato padovano, il proprio ideale dì vescovo e si ispirò alle costituzioni sinodali del 1488 per delineare più d'uno dei doveri da lui assegnati al pastore.
A Padova il B. non fu solo impegnato in un'opera di riforma ecclesiastica, ma si trovò anche coinvolto nelle controversie filosofico-teologiche sempre insorgenti nel fervido ambiente dello Studio, del quale, come vescovo, era cancelliere. Le discussioni filosofiche padovane sullo scorcio del Quattrocento erano particolarmente vivaci, e la vita intellettuale era assai movimentata dalle dispute tra averroisti, tomisti e scotisti. In questo clima il B. emanò il 4 maggio 1489 un editto contro coloro che disputavano sull'unità dell'intelletto, provvedimento al quale fu sollecitato (almeno secondo una notizia tramandata dal Nifo) per colpire in particolar modo l'influenza esercitata da Nicoletto Vernia, il quale in quel tomo di tempo aveva composto su tale argomento un trattato di intonazione scopertamente averroistica.
La figura dell'ecclesiastico non cede, per importanza, a quella dello scrittore e dell'umanista. Attorno al 1480 deve essere situata l'operetta De modo bene moriendi,pubblicata per la prima volta in Venezia solo nel 1531, preceduta da una dedica a Marco Barbo, patriarca di Aquileia, e tutta intessuta di citazioni scritturali e religiose.
Al centro della meditazione sta il concetto, che non bisogna aver fiducia nella durata della vita terrena e che l'inizio della preparazione alla buona morte coincide col momento in cui si comincia a disperare della guarigione fisica: una visione che risente della sensibilità umanistica e che l'autore aveva già implicitamente accennata nel primo, dei tre libri di Consolatorie,nel quale aveva tessuto l'elogio della peste perché il morbo, non consentendo eccessive speranze, induceva ad una più efficace preparazione alla morte. I tre libri del trattatello De factionibus extinguendis furono composti nel 1489 a richiesta di Bernardo Bembo, nominato podestà a Bergamo, città assai travagliata dalle lotte tra guelfi e ghibewni, e vanno al di là dei limiti delle'usuali composizioni di circostanza sui doveri del buon magistrato. Nella trattazione il B. mette a profitto la sua conoscenza della letteratura storico-giuridica (Bartolo, Biondo Flavio, Tolomeo da Lucca, Andrea Dandolo) e filosofica (Aristotele e la traduzione della Politica di Leonardo Bruni> senza eccessiva origìnalità, ma nelle citazioni scritturali esce spesso dalla allegazione allegorizzante di tipo tradízionale, per fermare l'interesse sull'efficacia di ammaestramento politico che può provenire dalla consìderazione dei fatti della storia sacra, apertamente preferita a quella greca e romana.
Il B. morì nel 1507, lasciando una cospicua biblioteca di trecentocinquantacinque volumi di opere giuridiche e teologiche, di classici greci, latini e volgari, e di autori umanisti. La raccolta andò in seguito dispersa e forse in gran parte emigrò in Inghilterra.
La fama del B. non dovette attendere il Contarini per diffondersi. Vivente, egli era considerato nell'ambiente colto, specialmente del Veneto, uno degli uomini più insigni per intelligenza e dottrina. Alle lodi di L. G. Giraldi e del Sabellico, che ne fece un esempio d'oratore e di poeta, si affiancano quelle per le sue conoscenze matematiche tributategli dal Pomponazzi, che di lui riferisce la soluzione d'un problema di ottica; né mancano testimonianze del suo interesse per altre scierize, quali la botanica e la geometria, la cui conoscenza (secondo una evidente esagerazione di Cristoforo Marcello che ne tessèl'elogio funebre) gli avrebbe consentito di. sciogliere nientemeno che il problema della quadratura del cerchio.
Vaste e interessanti le relazioni che mantenne personalmente ed epistolarmente. Ampia fu la corrispondenza scambiata con Pietro Dolfìn; insieme con questo e col card. F. Todeschini-Piccolomini il B. mostrò tenace avversione per Alessandro VI e il Savonarola.
Delle sue opere, tre orazioni, Pro Francisco Scledo, Pro Christophoro Mauro, In funere Antomi Roicelli,composte durante lo studentato padovano, furono edite in appendice ad A. Valier, De cautione adhibenda in edendis libris,Patavii 1719, pp. 111-187; altre due, In morte Iohannis patrui e Ad Marcum Cornarium,si leggono rispettivamente nei codd. Latt. cl. XI, 90 e cl. XIV, 292 della Bibl. naz. Marciana di Venezia. I Consolatorii libri tres furono editi a Venezia nel 1531 assieme al De modo bene moriendi,come pure i Tria officia: ad deprecandam pestilentiam, ad pluviam impetrandam, ad serenitatem aeris impetrandam. I Versuum atque hymnorum libri tres furono editi in G. B. Contarini, Anecdota veneta, I, Venetiis 1757. Un'elegia in lode di s. Martino di Tours uscì a Venezia nel 180i. Recente è l'edizione a cura di F. Gaeta del De factionibus extinguendis,Venezia 1958. Rimangono tuttora inediti (nelle biblioteche padovane): Vita S. Basilii Mggni, Vita beatae Eustochii virginis Paduanae, Repertorium repertoriorum, Sermo-. nes in festis sanctorum, Responsio de Apologia montis pietatis.Sono perdute la Vita Christi versibus exarata e la Vita Bernardini Feltrensis. È attribuito al B. anche un De sacerdotis officio, pur esso perduto.
Bibl.: Il più preciso contributo alla biografia del B. è in F. S. Dondi Dell'Orologio, Dúsertazioni sopra l'istoria ecclesiastica padovana,Padova 1817, diss. IX, pp. 66-90, 113-148, dove sono Pure edite le costituzioni sinodali del 1488 C l'editto contro le dispute sull'unità dell'intelletto. Sono anche da consultare: C. Marcello, In reverendissimi episcopi Petri Barrocii funus oratio,in appendice alla cit. op. del VaIier, pp. 102-107; G. M. MazzucheW, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 418-421; M. Bolzonella, P. B. vescovo di Padova (1487-1S07), Padova 1941 (con qualche cautela per i riferimenti bibliogr.); l'introduzione di F. Gaeta alla cit. ed. del De factionibus extinguendis e G. Soranzo, Il tempo di Alessandro VI papa e di fra Girolamo Savonarola,Milano 1960, pp. 3-50. Una breve analisi del De modo bene moriendi,in A. Tenenti, Il senso della morte e l'amore della vita nel Rinascimento,Torino 1957, pp. 113-115, 139. Sulla biblioteca del B. cfr. R. Zanocco, La biblioteca di un grande nostro vescovo umanista (A B. r"iiSo7), in Bollett. diocesano di Padova, XII (1927), pp. 442-252, e E. Govi, Patavinae cathedralis ecclesiae capitularis bibliotheca. Librorum impressorum index,Padova 1958, pp. 143-170.