RONSARD, Pierre de
Nacque al castello della Possonnière, nel territorio di Vendôme, l'11 settembre 1524, morì il 27 dicembre 1585 nel priorato di Saint-Cosme-sur-Loire. Era di nobile famiglia: il padre, Loys de Ronsart (come il nome è scritto nei documenti) era stato gentiluomo di palazzo dei re Luigi XI e Luigi XII e combatté con Francesco I a Pavia. A nove anni, il fanciullo fu mandato a Parigi, dove seguì per breve tempo gli studî nel collegio di Navarra; indi visse a corte come paggio dei principi reali, e nel 1537 seguì in Scozia la figlia di Francesco I, Maddalena, sposa a Giacomo V Stuart. Nel 1540, al seguito di Lazare de Baïf, soggiornava in Alsazia durante le trattative politiche e religiose con Carlo V; tornato in patria, veniva colpito da una malattia che lo lasciò sordo per tutta la vita, sì che dovette rinunciare alla speranza di grandi carriere militari e diplomatiche. Si volse allo studio dell'antica poesia, e ben presto scrisse versi latini, e poi francesi, iniziando un'assidua e fervida attività letteraria che gli riempì tutta la vita. Tonsurato nel 1543, s'aprì la via ad alcuni benefici ecclesiastici, e, perduto il padre l'anno seguente, fu ospite del Baïf e compagno del figlio Jean-Antoine negli studî umanistici sotto la guida di Jean Dorat. Alla morte di Lazare de Baïf (1547) i due giovani passarono al collegio Coqueret, diretto appunto dal Dorat: e quando a loro si aggiunse un coetaneo di vivo ingegno e di pari entusiasmo per la poesia, Joachim Du Bellay, si può dire costituito il nucleo della grande scuola classica che domina la seconda metà del Cinquecento francese e che sarà detta la Pléiade. Il R. ha rappresentato la studiosa e clamorosa brigata giovanile, ch'egli capeggiava, in una delle sue prime poesie, Le folastrissime voyage d'Hercueil, agile ditirambo intonato al culto delle memorie pagane.
La grande aspirazione del R. fu quella di far rinascere la poesia lirica, intesa grecamente come un'espressione musicale dell'animo agitato e commosso; ciò che sino allora aveva prodotto la Francia (sebbene dell'opera di Clément Marot egli avesse una conoscenza, di cui seppe valersi nello stesso trovamento dei nuovi congegni ritmici) gli appariva un semplice esercizio retorico; egli mirava all'ode pindarica, ai carmi antichi, in cui gli si rivelava splendente la dignità del poeta, anzi del vate. Nel 1550 pubblicò Les Quatre premiers livres des Odes, e un quinto seguì nel 1552, dov'è contenuta l'ode A Michel de l'Hospital, vero poemetto in cui, insieme con le forme esterne della lirica corale greca, il R. tentava di rinnovare il mito delle Muse animatrici dell'umana civiltà. Oltre che di Pindaro, il R. si pose anche sulle orme di Orazio, e poi del Petrarca: il primo libro d'Amours (1552) celebra in sonetti la bellezza e la virtù di Cassandre, cioè di una dama che portava realmente questo nome, Cassandra Salviati, di famiglia fiorentina, sposa a un signore De Pray.
Un accento assai meno platonico, e talora assai libero, si osserva nel Livret de folastries, o scherzi amorosi, apparso nel 1553 con l'aggiunta di alcuni "epigrammi greci", i quali dimostrano che il R. aveva già conoscenza delle Anacreontee, sul testo che ne veniva preparando Henry Estienne e che fu pubblicato nel 1554 (v. anacreonte: La fortuna postnel 1554, sono il Bocage (titolo che il R. adoperò più volte, a imitazione delle Sylvae staziane e umanistiche) e i Meslanges. La Continuation des Amours (1555) e la Nouvelle Continuation (1556), fuse, a partire dall'edizione del 1560, nel Second livre des Amours, cantano con felicità e con freschezza l'idillio campestre con una fanciulla angioina, Marie Du Pin.
Frattanto, il R. si era accinto, sotto gli auspici del re Enrico II, al vasto disegno di un poema, fra omerico e virgiliano, sulle origini della dinastia di Francia, e il nuovo programma di una poesia epica si riflette, ancor più vivo ed efficace di quel che giungerà ad attuarsi nel poema lungamente elaborato, e poi interrotto ai primi libri, negli Hymnes del 1555, seguiti dal Second livre des Hymnes (1556). Sono carmi di concetto elevato, in cui il R. riprende i miti classici e li svolge con ricchezza d'immagini e li interpreta nella coscienza dei tempi nuovi: Hymne de l'Or, Hymne du Ciel, Hymne des Astres, Hymne de la Mort, Hymne de l'Èternité, Hymne de Calays et de Zethès, Hymne de Pollux et de Castor, Les Daimons, ecc. In quegli anni il R. ebbe pure a comporre poesie per le feste di corte, ecloghe, lo Chant pastoral sur les Nopces de Mgr Charles duc de Lorraine et de Madame Claude fille II du Roy, e un altro dedicato alla principessa Margherita, sposa a Emanuele Filiberto duca di Savoia.
Negl'Inni risuona più volte la nota patriottica; il R. sentiva profondamente l'amore del suo paese e della monarchia (all'assunzione al trono di Carlo IX, ancor fanciullo, scrisse l'Institution pour l'adolescence du Roi très chrestien, animata da generosi principî); sentì del pari lo strazio delle lotte religiose che divampavano in Francia, e accusò i protestanti di fomentare e inasprire la discordia della nazione. Tratto così nella polemica, aggredito a sua volta, e con livore, dagli avversarî, taluno dei quali, come Jacques Grevin, era stato suo seguace e discepolo letterario, il R. compose la serie dei Discours, sermoni d'occasione, fieramente satirici, che restarono, nei due campi, e fino a Les Tragiques di A. d'Aubigné, il modello della poesia ispirata ai conflitti di religione: fra il 1562 e il 1563, il R. pubblicò il Discours e la Continuation du Discours des misères de ce temps, la Remonstrance au peuple de France, la Réponse aux injures et calomnies de je ne sçay quels prédicans et ministres de Genève.
I Trois livres du Recueil de nouvelles Poésies, apparsi nel 1563, comprendono ecloghe ed elegie (per la "bella Ginevra" e per Isabella de la Tour); nel 1565, oltre a un nuovo volume di Elágies, Mascarades e una Bergerie, il R. diede alle stampe la sua prosa critica più notevole, ch'è l'Abrégé de l'Art poétique françois: consigli essenzialmente tecnici, preceduti da alcune considerazioni sulla dignità morale del poeta. Nel settembre 1572 venivano finalmente in luce Les quatre premiers livres de la Franciade: a eroe eponimo della Francia, e progenitore dei suoi re, il R. elesse un "Francus", figlio di Ettore: figura leggendaria, ma di una leggenda erudita, che non era mai penetrata nel cuore della nazione e che fioriva soltanto nei libri umanistici di Jean Lemaire (Illustrations de Gaule et Singularités de Troye) e di Jean Bouchet (Anciennes et modernes Généalogies des Rois de France). È degno di nota che, dopo avere esitato sulla scelta del metro più acconcio alla poesia epica, il R. abbia preferito al verso alessandrino, in cui s'era già dichiarata la sua maestria, l'antico decasillabo o vers commun. I primi episodî della Franciade si svolgono freddamente, e, morto nel 1574 il giovine re Carlo IX, il R. non trovò in sé l'energia di proseguirli.
Con la scomparsa di Carlo IX, che l'aveva prediletto come suo poeta, il R. scrisse ancora per Enrico III il Discours au Roy e le Estrennes au roy Henri III (e delle rime scritte dal 1560 in poi per la famiglia reale compose il Bocage royal del 1584); ma frequentò sempre meno la corte, fece lunghi soggiorni nei suoi priorati di Croixval e di Montoire nel Vendômois, di Saint-Cosme in Turenna; il favore del pubblico elegante si volgeva a un poeta più mondano e cortigiano, Philippe Desportes. Non che il R. avesse rinunciato alla poesia: anzi, come poeta d'amore coronò l'opera sua con i due libri di Sonnets pour Hélène (1578), cioè per Hélène de Surgères, damigella d'onore di Caterina de' Medici; fu un amore tardivo, gentile, velato di melanconia; e quei sonetti, di una grazia e di una fierezza accorata, sono fra le cose più belle del R., che s'era mostrato sempre sensibile alla fugacità del tempo e dei piaceri, e fino dal suo primo amore, aveva condotto Cassandra a mirare come rapida sfiorisca la giovinezza (Mignonne, allons voir si la rose...).
Nel 1584 egli dava un'ultima edizione collettiva delle sue poesie; fra le nuove rime che vi figurano, l'elegia Contre les bûcherons de la forêt de Gastine, dettata certamente negli anni di riposo campestre, riassume in un'elevata ispirazione, fantastica e filosofica, il concetto e il sentimento della natura ond'è pervasa tutta la poesia del R.
La grandezza di questo poeta, che per lungo tempo fu giudicato come un semplice scolaro dei classici, e quasi un pedante, sta nella passione con cui si votò a un ideale di bellezza, e nella profonda coscienza che quest'ideale non potesse rinnovarsi se non attraverso un impeto di lirismo. La lettura dei poeti greci, latini, italiani, non gli diede la traccia di un'imitazione sapiente e fredda (o questo accadde solo in alcuni momenti dell'arte sua, come quello della Franciade), ma un esempio e un impulso, capace di schiudere a lui e alla Francia le vie più luminose di una nuova cultura e di una nuova attività letteraria. Ma nella generazione successiva, la dottrina linguistica e critica del Malherbe, avversa a ogni ardimento che non fosse misurato dalla ragione, indi, in pieno Seicento, l'Art poétique del Boileau, che volle dare forza di legge alle idee del Malherbe, condussero alla svalutazione e all'oblio di tutta l'opera del R. Essa fu richiamata in onore dal Sainte-Beuve, che, nel suo primo libro, il Tableau de la poésie française au XVIe siècle (1828: seguito da un'ottima scelta di rime del R.), si fece l'interprete della scuola romantica e il difensore del lirismo, esulato per due secoli dalla poesia francese. E se il programma del romanticismo era pur sempre lontano da quello della Pléiade, Victor Hugo poteva a buon diritto riconoscere nel R. (come, nel celebre trattatello "di poesia francese", lo riconobbe Théodore de Banville), un precursore della sua tempra, per la vastità della fantasia, per l'amore delle forme poetiche più varie, per l'ardore e la foga del verseggiare. Lungo l'Ottocento, si moltiplicarono le edizioni e gli studî critici sul R. e il quarto centenario della sua nascita, celebrato nel 1924 attestò il vigore e la diffusione della sua gloria.
La fortuna del R. in Italia fu soprattutto notevole alla fine del secolo XVI, in quanto il Chiabrera, nella sua riforma metrica, trasse partito dalle odi del R. e ne imitò gl'Inni e altre poesie.
Ediz.: Øuvres complètes, a cura di Blanchemain, voll. 8, Parigi 1857-1867; a cura di Marty-Laveaux (nella serie de La Pléiade franåaise), voll. 6, ivi 1887-1893 (condotta sull'ultima ediz. collettiva curata dal R. nel 1584); a cura di Laumonier, voll. 8, ivi, 1914-1919 (riproduz. del testo del 1584, più fedele della precedente); a cura di Vaganay, voll. 7, ivi 1923-24 (testo del 1578). Dell'ediz. critica iniziata, a cura di P. Laumonier, dalla "Société des textes français modernes", sono usciti finora 6 voll., Parigi 1914-30 (col VI si giunge al Bocage del 1554 e Meslanges del 1555).
Øuvres choisies de P. de R., a cura del Sainte-Beuve, Parigi 1828 (con numerose ristampe); P. de R.: Textes choisis et commentés, a cura di P. Villey, Parigi 1914; Poesies choisies de R. recueillies sur un plan noaveau, a cura di P. de Nolhac, Parigi 1924.
Bibl.: Biografia: La vie de P. de R. de Claude Binet, a cura di P. Laumonier, Parigi 1910; H. Longnon, P. de R.: Les ancêtres, la jeunesse, ivi 1912; J. Martellière, P. de R. gentilhomme vandômois, ivi 1924; P. de Nolhac, La vie amoureuse de P. de R., ivi 1926.
Studi complessivi e critica: P. Laumonier, R. poète lyrique, Parigi 1909 (3ª ed., 1932); id., Tableau chronologique des øuvres de R., ivi 1911; J.-J. Jusserand, R., ivi 1913 (coll. Les grands écrivains français); P. de Nolhac, R. et l'Humanisme, ivi 1921; N. Addamiano, Il Rinascimento in Francia: Pietro R., Palermo-Roma 1925; H. Franchet, Le Poète et son øuvre d'après R., Parigi 1923; G. Cohen, R., sa vie et son øuvre, ivi 1923 (2ª ed., 1932); P. Champion, R. et son temps, ivi 1925; A. Cameron, The Influence of Ariosto's Epic and Lyric Poetry on R. and his group, Baltimora 1930; J. Vianey, Les Odes de R., Parigi 1932.
Fortuna: M. Raymond, L'influence de R. sur la poésie française (1550-1585), Parigi 1927; F. Neri, Il Chiabrera e la Pleiade francese, Torino 1920; G. Maugain, R. en Italie, Parigi 1926; W. Folkierski, R. et la Pologne, in Rev. de littér. comparée, IV (1924), p. 443 segg.; E. Tonnelat, Deux imitateurs allemands de R.: G. B. Weckherlin et Martin Opitz, ibid., IV, p. 557 segg.