PISENTI, Piero
PISENTI, Piero. – Nacque a Perugia il 1° dicembre 1887, da Gustavo, medico e docente universitario, originario di Spilimbergo (Udine), e da Italina, figlia del filosofo Francesco Acri.
Nel 1908 si diplomò a Monaco di Baviera in economia politica e nel 1912 si laureò in giurisprudenza all’Università di Bologna. Pisenti, allora di idee socialiste, conobbe nel capoluogo emiliano Benito Mussolini, da poco direttore de L’Avanti!. Nel 1913 sostenne e superò gli esami di procuratore.
Nel 1915 entrò nella vita politica come consigliere comunale, poi assessore all’Istruzione, a Pordenone. Dopo la disfatta di Caporetto (1917) fu nominato commissario per le amministrazioni comunali di Pordenone e della destra Tagliamento, trasferitesi a Firenze per l’invasione austriaca del Friuli e di parte del Veneto. Dopo la battaglia di Vittorio Veneto, nel 1918, fu nominato commissario regio per il Comune di Pordenone. Divenne, in quegli stessi mesi, vicepresidente del Comitato nazionale profughi di guerra.
Nel 1920, a Udine, fondò il Partito del lavoro, di ispirazione socialcorporativa, che un anno più tardi confluì nel Partito nazionale fascista (PNF); anche Pisenti si iscrisse al partito nel 1921 diventando il più significativo esponente del fascismo friulano.
Nel marzo 1922 nel PNF si stava sviluppando, soprattutto tra i fascisti del Veneto e dell’Emilia, una linea favorevole al coinvolgimento politico di Gabriele D’Annunzio, che avrebbe dovuto sostituire alla guida del movimento lo stesso Mussolini. Tale posizione, a livello nazionale, era sostenuta soprattutto da Dino Grandi e da Italo Balbo, che avevano tenuto in quel periodo rapporti diretti con D’Annunzio, mentre in Veneto i favorevoli a questa linea erano Piero Marsich e Giovanni Giuriati.
Pisenti invece fu l’unico esponente di rilievo del fascismo veneto e friulano a schierarsi risolutamente dalla parte di Mussolini. Ciò determinò lo stabilirsi di un saldo rapporto personale fra i due, tanto che, il 20 settembre 1922, alla vigilia della marcia su Roma, Mussolini scelse Udine per pronunciare il discorso con il quale abbandonava la ‘tendenzialità repubblicana’ per accettare l’istituto monarchico, condizione essenziale per la conquista del potere.
Una volta al governo, Mussolini nominò Pisenti prima intendente generale per il risarcimento dei danni di guerra, quindi segretario del Fascio di Udine (1922-23), poi segretario federale (una prima volta nel 1922-23 e una seconda nel 1924), nonché alto commissario del fascismo per il Friuli (1923). Sempre nel 1923 fu anche nominato prefetto di Udine e di Gorizia fuse in un’unica provincia. Pisenti diresse, inoltre, il Giornale del Friuli dal gennaio 1923 al 1925.
Nel marzo 1926, pochi giorni prima dell’esautoramento di Roberto Farinacci dalla segreteria del PNF, fu espulso dal partito per dissidi con il gerarca cremonese; ne rientrò l’anno successivo per diretto intervento di Mussolini. Fu anche presidente della sezione friulana dell’Istituto di cultura fascista.
Nel 1924 fu eletto deputato; conservò il seggio alla Camera fino al 1939, quindi fu alla Camera dei fasci e delle corporazioni fino alla caduta del regime, nel 1943. In Parlamento si occupò prevalentemente di questioni giuridiche, dalla riforma dei codici all’ordinamento giudiziario.
Agli inizi degli anni Trenta, Pisenti sposò Lucia Gropplero di Troppenburg; non ebbe figli.
Il 20 agosto 1943, caduto il regime fascista, fu arrestato e incarcerato a Cividale (Udine) senza che gli venisse mossa alcuna accusa specifica; fu scarcerato dallo stesso governo di Pietro Badoglio il 7 settembre successivo.
Aderì alla Repubblica sociale italiana (RSI) e si arruolò nel reggimento volontari del Tagliamento in difesa dei confini friulani minacciati dal IX corpus iugoslavo. Il 6 novembre 1943, dopo la morte di Antonio Tringali Casanova, fu nominato da Mussolini ministro della Giustizia, rimanendo in carica fino al 26 aprile 1945. Pisenti accettò l’incarico chiarendo a Mussolini che avrebbe tenuto distinta la magistratura dalla politica e che quindi non avrebbe accettato che i magistrati prestassero giuramento alla neonata Repubblica. Pisenti si mise subito in urto sia con il fascismo estremista sia con i tedeschi, ai quali contestava l’esercizio della sovranità (e quindi della giustizia) nei territori dell’Adriatische Küstenland. Al diretto intervento di Pisenti si dovette l’arresto di Pietro Koch e della sua ‘banda’, una sorta di polizia privata nota per le efferate violenze di cui si rese responsabile a Roma e poi a Milano. Grazie a Pisenti, come poi fu riconosciuto, la gestione ordinaria della magistratura ebbe, nonostante la situazione, un funzionamento normale.
La vicenda comunque più rilevante alla quale Pisenti dovette partecipare in virtù del proprio ufficio fu il processo di Verona, istituito dal Partito fascista repubblicano (PFR) contro i firmatari dell’ordine del giorno Grandi al Gran Consiglio del 24 e 25 luglio 1943. Pisenti diede subito a Mussolini un parere contrario sia all’idea che si potesse realizzare un processo con finalità retroattive, sia nel merito, sostenendo che dagli incartamenti non erano emerse le circostanze definitive e necessarie per la definizione del reato di alto tradimento. Mussolini sembrò d’accordo con le osservazioni del ministro, ma non volle interferire nel processo. Quanto poi alla questione delle domande di grazia che i condannati (Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Carlo Pareschi) presentarono a Mussolini, Pisenti sostenne che il processo non era di competenza del ministero della Giustizia perché era stato istituito e gestito dal partito; tuttavia, non avrebbe avuto problemi a inoltrare le domande di grazia direttamente a Mussolini. Ne fu impedito dal segretario del PFR, Alessandro Pavolini, che non volle porre a Mussolini il dilemma sulla vita del genero, Ciano.
Arrestato il 21 giugno 1945 e condannato a morte da un ‘tribunale del popolo’, fu salvato dal partigiano azionista (poi senatore socialista) Fermo Solari; dopo un anno di detenzione, fu prosciolto dall’accusa di collaborazionismo dalla corte d’assise speciale di Bergamo e, nel 1947, dalla Corte di cassazione.
Dopo la guerra tornò alla sua attività forense, difendendo molti fascisti sotto processo alle corti d’assise (come Concetto Pettinato, direttore de La Stampa durante la RSI), o neofascisti accusati di vari reati, come gli imputati per il processo ai Fasci armati rivoluzionari tenutosi a Roma nel 1951 (Fausto Gianfranceschi, Julius Evola, Clemente Graziani, Enzo Erra, Pino Rauti e altri).
Nel 1977 Pisenti scrisse un volume di memorie, RSI. Una repubblica necessaria, edito da Giovanni Volpe, in cui sostenne che la RSI era stata creata da Mussolini per contenere la reazione tedesca.
Nel dopoguerra si tenne lontano dalla politica, ribadendo le sue convinzioni di «fascista di sinistra», contrario alla collocazione sempre più conservatrice del Movimento sociale italiano (MSI).
Morì a Pordenone il 29 settembre 1980.
Fonti e Bibl.: Archivio centrale dello Stato, Fondo Piero Pisenti, che contiene soprattutto documentazione relativa alla RSI o alla sua attività successiva, politica e forense. Altra, seppur non cospicua, documentazione è conservata nello stesso istituto nel Fondo De Felice, in quanto lo storico romano aveva acquisito da parenti di Pisenti alcune carte relative all’attività di ministro della Giustizia.
Su Pisenti esiste una sola opera, tendenzialmente apologetica: M. Meneghini, P. P., Porto-gruaro 1990. Per i dati biografici relativi alla sua attività politica, E. Savino, La nazione operante. Profili e figure, Milano 1934, p. 534; M. Missori, Gerarchie e statuti del PNF, Roma 1986, pp. 24, 143, 259. Alcune indicazioni sull’attività di Pisenti alle origini del fascismo si possono trovare in M. Fabbro, Fascismo e politica in Friuli (1920-1926), Venezia 1974, ad nomen; A.M. Preziosi, Borghesia e fascismo in Friuli, Roma 1980, ad nomen; A.M. Vinci, 1922-1945. Il regime fascista in Friuli, Udine 2006, ad nomen.