PIERO di Lorenzo Ubaldini
PIERO di Lorenzo Ubaldini (Piero di Cosimo). – Nacque a Firenze il 2 gennaio 1462 (stile moderno). Il nome Piero di Cosimo, con cui è conosciuto, deriva dal duraturo legame con il suo maestro Cosimo Rosselli. Nel 1469, dalla dichiarazione al catasto del padre Lorenzo di Piero d’Antonio, ‘succhiellinaio’ (ovvero forgiatore e/o venditore di ‘succhielli’, cioè di uno «strumento di ferro da bucare, fatto a vite»: cfr. Vocabolario degli Accademici della Crusca, IV, Firenze, 1735, p. 538), apprendiamo che Piero, di anni otto, era il figlio maggiore dei quattro allora già nati. Nel 1473 il padre (che aveva comprato la casa d’abitazione in via della Scala nel 1461) comprò una casa e terreni a Carmignano, che accrebbe con altri acquisti dichiarati nella portata al catasto del 1480. In quest’ultimo documento si legge che Piero, diciottenne, era nella bottega di Cosimo Rosselli senza salario. L’informazione, che è stata considerata come un attestato del prolungarsi di un rapporto di subordinazione (Geronimus, 2006, p. 271), potrebbe invece documentare il fatto che nel 1480 Piero era ormai un artista indipendente e proprio per questo senza salario, pur rimanendo nella bottega del maestro, con il quale, fino alla morte di questi (1507), avrebbe mantenuto uno stretto legame. Ciò è confermato da un documento del 21 maggio 1505 dove Cosimo Rosselli risulta arbitro per risolvere una controversia economica tra Piero e il fratello Bastiano (L. Aquino, in I dipinti..., 2014, p. 240).
Con il nome di Piero di Cosimo è ricordato dal Vasari, che è la fonte prima sulle sue opere, alcune delle quali viste ancora in loco e apprezzate per la loro originalità e qualità.
La celebre Vita dedicatagli nelle due edizioni del 1550 e del 1568 (Nova, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015) è un testo di grande forza e bellezza letteraria, che costruisce il profilo di una personalità geniale ma eccentrica, che preferiva la solitudine al contatto con la società. I documenti rintracciati in tempi recenti (Waldman, 2000; Geronimus, 2000 e 2006) hanno fornito conferme e smentite rispetto all’immagine trasmessa dal Vasari, lasciando intravedere che Piero forse non era del tutto il bizzarro misantropo vissuto e morto in solitudine e abbandono, ma apparteneva invece a una famiglia di artigiani benestanti; e, almeno nell’ultimo periodo della vita, è menzionato con il cognome, Ubaldini, segno di un certo livello sociale.
La biografia dell’Aretino ha condizionato il giudizio sul pittore nei secoli successivi. Artista di successo al suo tempo, anche se non legato alla famiglia Medici – che pure possedeva un suo prezioso Libro di animali (perduto) e il dipinto con Perseo e Andromeda donati a Cosimo I, nonché la pala dell’Incarnazione entrata nelle collezioni medicee nel 1670 con l’acquisizione da parte del cardinal Leopoldo –, Piero nel Sei e nel Settecento fu preso in considerazione quasi soltanto per gli aneddoti di origine vasariana. In epoca romantica, quando ancora della maggior parte delle sue opere si era persa traccia, fu ‘riscoperto’ dal Wackenroder (1797) e fu divulgato dal romanzo Romola di George Eliot (1863). Contemporaneamente al fascino esercitato sui collezionisti, soprattutto anglosassoni, dai suoi estrosi ritratti e soggetti mitologici, ma anche da pale d’altare che pure passavano ancora sotto altri nomi – in particolare di Filippino Lippi e di Luca Signorelli (cfr. Bacci, 1966, pp. 16-21; Ead., 1976, pp. 10-14; Elam, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015) –, la filologia ottocentesca cominciò a ricostruire il suo catalogo: Gustavo Frizzoni (1879), Giovanni Morelli (1890), Hermann Dollmayr (1899), Bernard Berenson (1896), ricollegarono le notizie vasariane con lo stile di vari dipinti che riconoscevano come suoi, individuando un nucleo sancito dalle monografie di fine secolo di Hermann Ullman (1896) e Friedrich Knapp (1899).
Piero di Cosimo conobbe una particolare fortuna nel primo Novecento, grazie alla nuova scienza della psicoanalisi: da un lato venne ‘adottato’ dal surrealismo (Pudelko, 1938); dall’altro l’iconologia e le fonti letterarie delle sue ‘storie dell’umanità primitiva’ furono studiate da Panofsky (1937, 1939) con un’interpretazione per molti aspetti valida ancora oggi. I contributi specialistici che seguirono sfoltirono la massa di opere confluite sotto il suo nome solo perché raffiguranti temi mitologici o comunque inusuali, precisando i profili di Piero e dei pittori fiorentini con lui spesso confusi, come Filippino Lippi, Lorenzo di Credi, fra Bartolomeo, e i raggruppamenti anonimi (Fossi, 1955; Zeri, 1959, 1962; Fahy, 1965, 1969, 1976; Dalli Regoli, 1974).
La monografia di Mina Bacci (1966, 1976) condusse a una revisione filologica rigorosa del corpus delle opere di Piero, con nuove attribuzioni di grande spessore come la Madonna della collezione Volterra a Firenze, o come la Pala con S. Onofrio e s. Agostino ora in collezione Alana (Newark, Del.; probabilmente dipinta per la chiesa di S. Onofrio di Pistoia), ponendosi come punto di riferimento essenziale per gli studi successivi (Fermor, 1993; Forlani - Capretti, 1996; Geronimus, 2006; Tazartes, 2010; Padovani, 2012). Con le due mostre ‘gemellate’ del 2015, alla National Gallery di Washington e alla Galleria degli Uffizi a Firenze, la fisionomia dell’artista è stata presentata al grande pubblico e riaffrontata dal punto di vista critico, prospettando le contraddizioni attributive e cronologiche tuttora aperte. In effetti nessuna opera pervenutaci di Piero è firmata o datata, e pochi tra i suoi dipinti sono collegabili a documenti. Inoltre, molti soggetti raffigurati presentano difficoltà d’interpretazione a oggi spesso non risolte.
La precocità di Piero, oltre che dal documento del 1480, potrebbe essere confermata dal racconto del Vasari (se letto in questo senso) sulla sua partecipazione agli affreschi della cappella Sistina affidati nel 1481-82 a Cosimo Rosselli, il quale se lo sarebbe affiancato non tanto come suo assistente, ma «conoscendo che Piero aveva e più bella maniera e miglior giudizio di lui»; Vasari, 1568, IV, 1976, p. 60), tant’è vero che, sempre secondo Vasari, avrebbe ottenuto direttamente, e non tramite il Rosselli, l’importante commissione di un ritratto (perduto) del Duca Valentino. Inoltre, già nel 1482 Piero fu registrato fra i ‘prudentes viri’ della Compagnia di S. Luca (Geronimus - Waldman, 2003, p. 124) dove sarebbe stato documentato ancora nel 1499 e nel 1503-05. Del resto le sue prime opere databili a partire dal 1480 se non prima, come la Madonna della coll. Volterra, il dipinto della coll. Alana, e la tavola con la Madonna col Bambino e i ss. Lazzaro e Sebastiano per la chiesa dei Ss. Michele e Lorenzo di Montevettolini, eseguita dopo il 1481 e prima del 1484 (Pons, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015), lo mostrano ormai nel pieno possesso dei suoi mezzi espressivi, che nulla devono al modesto Cosimo Rosselli, e rivelano invece i suoi contatti con Domenico Ghirlandaio, con Filippino e con Leonardo, nonché con la pittura dei Paesi Bassi importata a Firenze.
In questi stessi anni, tra il 1481 e il 1485, Piero del Pugliese, uno dei più prestigiosi protagonisti della cultura locale, legato fra l’altro a Filippino Lippi da amicizia, incaricò Piero di dipingere la pala raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Pietro, Giovanni Battista, Domenico e Nicola di Bari, per l’altare di suo patronato nella chiesetta di S. Maria di Lecceto (ora al St. Louis Art Museum, Mo): a conferma della committenza, la predella ancora oggi collegata alla pala reca alle estremità gli stemmi della famiglia, mentre l’intenso ritratto di Piero del Pugliese si riconosce nella figura di s. Nicola.
L’opera risponde all’influsso del Trittico Portinari di Hugo van der Goes arrivato a Firenze nel 1483 (per es., nello straordinario vaso di fiori in primo piano), e alle soluzioni contemporanee di Botticelli e di Filippino (nelle storie della predella). Ma l’esecuzione pittorica si distingue per la sua originalità nella scelta delle tipologie dei santi di un’umanità povera, lontana da ogni idealizzazione, e nella sensibilissima attenzione rivolta agli effetti della luce che anima la consistenza delle vesti, e che scivola analitica sui tratti dei volti e sugli oggetti.
Stilisticamente prossimo alla Pala del Pugliese è un gruppo di opere segnate dall’influsso di Leonardo e da quello di Filippino: il S. Giovannino (New York, Metropolitan Museum of art), vicinissimo alla pala di Montevettolini; la Madonna col Bambino di Stoccolma (coll. reali) ispirata alla Madonna di Filippino del 1485 circa (New York, Metropolitan Museum of art); le due Storie di Vulcano (Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of art; Ottawa, National Gallery of Canada); il Ritratto di Cleopatra/Simonetta (Chantilly, Musée Condé) e l’Allegoria (Washington, National Gallery of art), che potrebbe esserne stata la coperta; il tondo con la Madonna col Bambino fra i ss. Maddalena e Giovanni Battista (Strasburgo, Musée des beaux-arts: Moench, 1992).
Di queste opere la più celebre, il ritratto di Chantilly (la Cleopatra vista dal Vasari presso Francesco da Sangallo), è identificata come Simonetta Vespucci dall’iscrizione ritenuta coeva dalle analisi in occasione del restauro del 2014, ma rimessa in dubbio dall’Acidini (in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015) che ripropone l’immagine come una ‘testa ideale’. La suprema eleganza e il fascino del dipinto corrispondono a questa fase del percorso di Piero intorno al 1485, che prelude al più straordinario ciclo decorativo del Quattrocento, la ‘camera del Pugliese’.
Il matrimonio del ricco mecenate Francesco del Pugliese con Alessandra Bonsi nel 1485, e il completamento nel 1486 della divisione del palazzo tra lui e lo zio Piero, costituirono l’occasione della commissione a Piero di Cosimo della decorazione della ‘camera’: «Fece parimente in casa di Francesco del Pugliese intorno a una camera diverse storie di figure piccole; né si può esprimere la diversità delle cose fantastiche che egli in tutte quelle si dilettò dipignere, e di casamenti e d’animali e di abiti e strumenti diversi, ed altre fantasie, che gli sovvennono per essere storie di favole» (Vasari, 1568, IV, 1976, pp. 66 s.). Non c’è accordo fra gli studiosi su quali tra i dipinti raffiguranti ‘storie dell’umanità primitiva’, ora sparsi nei musei d’Europa e degli Stati Uniti, ne facessero parte. Riprendendo in considerazione l’interpretazione di Panofsky, qui si propone che vi appartenessero la Caccia e il Ritorno dalla caccia (New York, Metropolitan Museum of art), l’Incendio della foresta (Oxford, Ashmolean Museum), la Battaglia dei centauri e lapiti (Londra, National Gallery), la Costruzione di una città (Sarasota, Flo., Ringling Museum of art): storie che dovrebbero rappresentare le fasi progressive di evoluzione della civiltà secondo le fonti classiche, anzitutto Lucrezio e Vitruvio. In particolare, l’episodio conclusivo (il dipinto a Sarasota) nel 1588 e nel 1621 non a caso si trovava ancora nel palazzo del Pugliese, passato in proprietà della famiglia Botti (Farinella, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015; Padovani, ibid.; Capretti, ibid., pp. 220-223, n. 9). In appoggio a questa tesi, e contrariamente a quanto spesso sostenuto anche di recente (Geronimus, in Piero di Cosimo. The poetry..., 2015, pp. 48-59, passim; Id., ibid., pp. 108-113, scheda 5; Brilliant, ibid., pp. 212-215, scheda 36), si è suggerito che i cinque pannelli risalgano tutti agli stessi anni 1486-90 circa, dal momento che sono dipinti in uno stile omogeneo non solo fra loro, ma anche rispetto alle altre opere di quel momento, in particolare alla Visitazione Capponi che con la sua data 1489-90 offre il punto di riferimento cronologico per l’intero ciclo.
La Visitazione (Washington, National Gallery) fu commissionata a Piero per l’altare della cappella della famiglia Capponi nella chiesa fiorentina di S. Spirito. Il pagamento della cornice nel 1489-90 a Chimenti del Tasso (Craven, 1975, p. 572) fornisce la data anche per il dipinto, fortemente segnato dall’influsso del trittico di Hugo van der Goes, ma altrettanto vicino ai modi di Filippino, con il quale la relazione è particolarmente evidente nel disegno preparatorio per il gruppo con Maria ed Elisabetta (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, n. inv. 286E). Poco dopo, l’altra pala con la Madonna col Bambino e santi, collocata nel 1493 (Cavazzini, 1997-98, pp. 131 s.; Geronimus, 2006, p. 204) sull’altare della cappella di Piero del Pugliese nella chiesa dello Spedale degli Innocenti (ora nel Museo degli Innocenti) offre un altro punto fermo.
Riconosciuto dalla critica come uno dei più alti risultati di Piero di Cosimo, il dipinto riflette soluzioni contemporanee di Domenico Ghirlandaio, ma se ne distingue per la peculiarità dei protagonisti scalati su più piani e saldamente disposti in cerchio intorno al trono ornato di una decorazione complessa e ricchissima. La pittura smaltata, grazie alla piena padronanza dell’uso del legante oleoso, rende grande forza comunicativa alle figure massicce dai gesti lenti e dalle espressioni umili e dolcissime, e una luminosa intensità poetica agli oggetti (le enormi chiavi di S. Pietro, i gioielli di S. Caterina), ai rari fiori sparsi in primo piano e al paesaggio.
Analogie stilistiche collegano quest’opera a una serie di dipinti di soggetti vari databili intorno al 1490-95: il Ritratto di giovane (Londra, Dulwich Picture Gallery) da riconfermare a Piero, come anche il S. Giovanni a Patmos (Praga, Národní Galerie), pure spesso messo in dubbio e pure in passato considerato di ambito lombardo-veneto; la straordinaria Madonna col Bambino (Parigi, Louvre) e la Maddalena (Roma, Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini), accomunate dal riflesso della pittura fiamminga e dalla vicinanza ai modelli di Leonardo; il bellissimo tondo con l’Adorazione del Bambino (Toledo, Ohio, Toledo Museum of art); i due pannelli mitologici, quello con Venere e Marte (Berlino, Gemäldegalerie) e quello un po’ più tardo con la Morte di una ninfa (Londra, National Gallery), dove Piero stempera l’influsso botticelliano in un’interpretazione intima e commossa; l’imponente tondo con l’Adorazione del Bambino (Washington, National Gallery). A queste opere concordemente accettate dalla critica vanno aggiunti i due piccoli ritratti di Dante e Petrarca (di ubicazione sconosciuta) convincentemente proposti come autografi di Piero di Cosimo (Capretti, in Forlani - Capretti, 1996, pp. 102-104, schede 11a, b).
Il fatto che le due tavolette fossero le due valve della coperta di un volume, potrebbe essere un indizio – finora l’unico – per l’eventuale identificazione di Piero con un Piero di Lorenzo di Piero miniatore, documentato come teste negli anni 1483, 1491 e 1493 (Geronimus, 2006, pp. 272 s.).
Intorno al 1495 dovrebbero datarsi il Ritratto di Giuliano da Sangallo e il Ritratto di Francesco Giamberti (Amsterdam, Rijksmuseum), ricordati dal Vasari in possesso del figlio di Giuliano, Francesco, e passati nel XVII secolo nelle collezioni reali inglesi e poi in Olanda con attribuzioni a Dürer, a Cranach e a Luca di Leida. Dopo la restituzione a Piero di Cosimo proposta dal Frizzoni (1879) tutta la critica li riconosce all’artista, ma si registrano sensibili divergenze per la datazione: ritenuti opere giovanili sul 1482-83 (Bull, in Piero di Cosimo. The poetry..., 2015, pp. 103-107, scheda 4), sono stati datati in passato intorno al 1500-05 (Bacci, 1966 e 1976; Forlani - Capretti, 1996, pp. 123 s., scheda 33). Le somiglianze stilistiche si rilevano piuttosto con opere di Piero databili intorno alla metà dell’ultimo decennio (cfr. Padovani, in Piero di Cosimo. The poetry..., 2015; Ead., in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015, pp. 260-263, n. 27): il paesaggio nello sfondo richiama le architetture e le colline boscose nei due tondi probabilmente un poco più antichi, quello con la Madonna, Gesù e s. Giovannino (Strasburgo, Musée des beaux-arts) e quello con S. Gerolamo (Firenze, Museo Horne), nonché nel Volto Santo (Budapest, Szépművészeti Múzeum) e nella splendida Pietà (Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria): opere che condividono, nella diversità tematica, la stessa esecuzione pittorica liquida, disinvolta e brillante, e la stessa aspra, intensa indagine naturalistica. Non lontano da questo momento si colloca il disegno (Parigi, Louvre, Départment des arts graphiques, n. inv. RF.1439) che presenta l’affascinante profilo di un giovinetto sul recto, e sul verso lo studio per una testa di vecchio vicina al realismo del ritratto di Francesco Giamberti (sulla cui figura cfr. Carl, 2015).
Piero, ormai capofamiglia dal 1498, abitava in via della Scala a Firenze ancora nel 1504, mentre nel 1505 comprò un terreno in via Laura, dove nel 1522 risulterà possedere una casa grande con giardino (Waldman, 2000, p. 172). Il suo successo fu sancito, oltre che dalle numerose commissioni (fra le quali un suo dipinto, perduto, inviato nel 1505 a Napoli dal convento delle Montalve di S. Cresci in Valcava, ricordato nei libri della famiglia Gondi), dalla sua partecipazione alla commissione istituita nel 1504 per decidere la sistemazione del David di Michelangelo. In quell’anno s’iscrisse all’Arte dei medici e speziali.
Se, come è evidente nei due ritratti di Amsterdam, non si attenuò il suo interesse per la pittura fiamminga, in particolare per i ritratti del Memling (Meijer, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015), anche il suo debito verso Leonardo trasse nuova forza dal ritorno di questi a Firenze nei primi anni del Cinquecento. Lo dimostrano i capolavori che Piero continuò a produrre con un’intensità sorprendente: le due tavole con la Scoperta del miele (Worcester, Mass., Worcester art Museum) e Le disavventure di Sileno (Cambridge, Fogg Museum), che con i due fregi con Tritoni e Nereidi (Washington, coll. Mrs. Sydney J. Freedberg; Milano, galleria Altomani: Fahy, 1965) costituivano la pannellatura di una ‘camera’ del palazzo fiorentino dei Vespucci; l’Incarnazione (Firenze, Galleria degli Uffizi) dipinta per la cappella Tedaldi alla Ss. Annunziata probabilmente nel 1504-05; la Madonna col Bambino e due angeli (Venezia, coll. Cini) con il relativo disegno (Firenze, GDSU, n. inv. 176E).
Le Storie di Sileno interpretano il tema del miele e delle vespe, allusivo al nome della famiglia Vespucci, trattato nei Fasti di Ovidio, con un’ironia giocosa espressa nelle figurette velocemente abbozzate e nelle teste grottesche particolarmente vicine agli esempi di Leonardo. L’attenzione a Leonardo è stata sempre sottolineata anche nella pala con l’Incarnazione degli Uffizi, stupenda composizione elaborata in una prima, diversa versione nel disegno preparatorio già a Brema e ora passato in Russia (la collocazione è sconosciuta), che attesta la partecipazione di Piero alle nuove idee figurative della maniera moderna. La Madonna Cini ne è poi l’esempio più significativo, come sottolineava Federico Zeri: «... un amalgama, fra i più insoliti, di spunti ‘nordici’ e di accenti cinquecenteschi, che puntano persino verso alcuni fra gli aspetti più tipici del primo Manierismo» (1959, p. 41).
Ai primi anni del Cinquecento appartengono anche il Ritratto di signora (Firenze, Galleria Palatina: Padovani, 1999), il tondo con la Madonna col Bambino, angeli e s. Cecilia (?) dell’Art Institute di Chicago, rovinato, ma ancora affascinante, il tondo con la Madonna col Bambino e s. Giovannino del Museu de arte de São Paulo in Brasile, con molta probabilità identificabile con il dipinto di Piero descritto dal Vasari nel Noviziato di S. Marco a Firenze.
Fra gli artisti fiorentini più direttamente influenzati da Piero nel primo decennio del Cinquecento fu Ridolfo del Ghirlandaio, spesso così vicino ai suoi modi nei dipinti di soggetto sacro e nei ritratti da essere stato in più casi confuso con lui. L’esempio più significativo è il tondo con i Ss. Pietro e Paolo (Firenze, Galleria Palatina), riferito a Ridolfo da tutta la critica, che va invece restituito a Piero con una datazione intorno al 1510 (Padovani, 2012; Padovani, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015, pp. 302-303, n. 45). Vicino a questo è il tondo di palazzo Martelli a Firenze, replica autografa della più antica, bellissima e purtroppo perduta Adorazione dei pastori (già Berlino, Gemäldegalerie).
Da questo momento fino al 1518, quando è verosimile ritenere che Piero non fosse più in grado di lavorare (da tre contratti del 1518-22 risulta che, gravemente malato, dispose donazioni alla Compagnia della Ss. Annunziata, e al suo vicino di casa Giovan Simone e alla sua famiglia per l’assistenza: cfr. Geronimus, 2006, pp. 276-279) si susseguirono pale d’altare che la critica ha a volte ritenuto segno di un’involuzione del maestro, ma che rivelano invece il proseguimento della sua ricerca al fianco dei suoi epigoni, da Andrea del Sarto al Pontormo, al modesto Maestro di Serumido che eseguì varie copie dai suoi modelli. Il giudizio su alcune di queste opere è condizionato dallo stato di conservazione cattivo, a volte pessimo, dovuto forse a un eccesso di legante oleoso che potrebbe aver diminuito l’adesione del colore alla preparazione, e aggravato dai ripetuti interventi di restauro (Walmsely, in Piero di Cosimo. The poetry, 2015, pp. 78-81; Ead., in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015). La Madonna in trono fra i ss. Giovanni Battista e Tommaso (Borgo S. Lorenzo, pieve di S. Lorenzo), lo Sposalizio di s. Caterina e tre santi già nella chiesa di S. Pier Gattolini a Firenze (Firenze, coll. priv.: cfr. A. Nesi, in Piero di Cosimo (1462-1522), 2015, pp. 316-319, n. 52), dove due angeli in atto di incoronare Maria, occupavano la terminazione centinata della pala, segata in antico e conservata in forma di lunetta a Edimburgo (National Gallery of Scotland), la Madonna in trono fra i ss. Vincenzo Ferreri e Girolamo (New Haven, Conn., Yale University art Gallery), cui appartenevano le due coppie di Angeli (Boston, Museum of fine arts; New York, coll. priv.: Fahy, 1965), databili al 1510-15, l’Immacolata Concezione (Fiesole, chiesa di S. Francesco) eseguita intorno al 1515-16, nonché il grande tondo con l’Adorazione del Bambino (Roma, Galleria Borghese) propongono composizioni animate da eleganti ritmi falcati e dall’abituale poetica attenzione ai minimi dettagli resi preziosi dall’esecuzione accuratissima, e dense di messaggi teologici (Fahy, 1965, pp. 208 s.).
Piero, famoso per la sua fantasia nella realizzazione di apparati effimeri (per alcuni dei quali era stato pagato da Filippo Strozzi il Giovane nel 1507), in particolare per il ‘carro della morte’ raccontato con una celebre descrizione dal Vasari, intensificò tale attività nel secondo decennio, per il Carnevale del 1513, e per l’arrivo di Leone X a Firenze nel 1515. Se nulla è rimasto di quelle imprese, un’eco si avverte nei suoi ultimi dipinti. La tavola con Perseo e Andromeda (Firenze, Galleria degli Uffizi) faceva parte con ogni probabilità della decorazione della camera nuziale di Filippo Strozzi il Giovane che nel 1510 registrava un pagamento a Piero; ma, benché legata a quella commissione, questa tavola sembra databile più tardi, verso il 1515, perché eseguita con una pittura elaborata e addolcita da stesure dense e sfumate, con figure allungate in dialoghi artificiosi che trovano un parallelo nelle contemporanee opere di Andrea del Sarto. Lo stesso linguaggio si ritrova nelle due Storie di Prometeo (Monaco, Alte Pinakothek; Strasburgo, Musée des beaux-arts), e anche nei due tardi capolavori di soggetto sacro, il tondo con la Madonna col Bambino, santi e angeli del Philbrook Museum of art (Tulsa, Okla., Kress Collection) e la Sacra Famiglia (Venezia, coll. Cini) in cui si riconosce nel S. Giuseppe l’autoritratto del pittore.
Morì di peste il 12 aprile 1522, a Firenze, e fu sepolto dai confrati della Ss. Annunziata nella chiesa di S. Pier Maggiore (Waldman, 2000, p. 171).
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