CAPPONI, Piero
Nato a Firenze il 7 giugno 1570 da Girolamo e Lisabetta di Piero Niccolini, fu tenuto a battesimo nella chiesa di S. Giovanni dal senatore Angiolo Biffoli, un importante banchiere, e da Francesca Altoviti, moglie di Giuliano Salviati. Da una nota biografica conservata fra le carte Capponi (Arch. di Stato di Firenze, Arch. Capponi 54) sappiamo che, "pervenuto agli anni ventitre di sua età era mercante e negotiante in Venezia". Nel 1597 il C. rientrava temporaneamente in Firenze. Infatti il 15 ottobre di quell'anno egli ed i fratelli Giuliano e Francesco si dividevano i beni paterni.
La porzione di eredità che spettò al C. consisteva in 1.000 scudi in contanti e in alcuni immobili. Fra questi ultimi era compresa una casa sita in Firenze, nel popolo di S. Iacopo "supra Arnum" in via del Fondaccio, chiamata la "casa grande" (confinante con l'abitazione dei fratelli detta la "casa nova"). Ereditava anche delle proprietà in campagna: una casa provvista di stalle e tinaia, nel comune di Marti, stimata 650 scudi e un podere posto nel popolo di S. Quirico a Legnaia, valutato scudi 5.070.
Molto probabilmente il C. ripartì da Firenze fra l'ottobre e il novembre 1597. Nel testamento del fratello Francesco, infatti, redatto il 27 dicembre, nel quale il C. compariva come erede universale, si affermava che quest'ultimo era tornato a Venezia.
Purtroppo non abbiamo notizie specifiche sull'attività commerciale del C., ma possiamo formulare l'ipotesi che, intorno al 1600, il suo giro d'affari fosse esteso e la sua fortuna ormai solida. Dal diario di viaggio del Bizoni sappiamo che nel 1606 il C. si trovava a Norimberga e qui era familiare con i mercanti più autorevoli. Il C. viene infatti ricordato insieme con Andrea Lucuria, "uno dei più principali di questa repubblica", e con i Torrigiani, importanti uomini d'affari fiorentini, che operavano appunto su quella piazza.
Una tappa importante nell'ascesa finanziaria del C. è segnata dal 1619, anno in cui otteneva la carica di tesoriere pontificio in Romagna. Quest'incarico, che conservò fino alla morte, doveva essere assai redditizio. Sappiamo, infatti, che in Romagna il C. "fece di grandi acquisti" (Arch. di Stato di Firenze, Arch. Capponi, 54) anche se non ci è possibile specificare in che cosa consistessero.
Possiamo, invece, sia pur molto limitatamente, appurare qualcosa intorno ai beni posseduti in Toscana. Da un libro di ricevute (Firenze, Bibl. nazionale, Libri di comm. Capponi, 147)sappiamo che dal 1617fino alla morte il C. tenne a livello, per 34 scudi l'anno, delle terre a Legnaia (ove già possedeva il podere con casa di cui si fa menzione sopra), appartenenti alla badia di S. Fedele di Poppi. Inoltre il C. era proprietario di una villa, con podere annesso, a Montughi, presso Firenze, affittata per 110 scudi a Ruberto Obizi. Queste poche e frammentarie indicazioni non possono certo servire per valutare la consistenza patrimoniale del C.; a questo fine ci vengono però in aiuto due importanti acquisti effettuati dopo il 1620, che attestano l'esistenza di un patrimonio più che ragguardevole. Nel 1621, infatti, il C. comperava dai Medici, per la considerevole cifra di 40.000scudi, la villa e fattoria di Marignolle, nel Valdamo fiorentino. La villa, edificata dai primi granduchi su disegno di Bernardo Buontalenti, era circondata da un vasto parco e dotata di tinaie sotterranee e di imponenti cantine.
Il 31 marzo 1623, il C. rilevava da Marzia Carnesecchi, vedova di Lorenzo Giacomini, per 4.500scudi, due case poste nella via Larga a Firenze. Su disegno di Gherardo Silvani il C. faceva costruire, dopo aver abbattuto le due case, un palazzo, in cui avrebbero dimorato fino al 1789i discendenti di suo fratello Giuliano, da uno dei quali sarebbe stato venduto ai Covoni.
Il 16 maggio 1624 il C. stipulava con il senatore Filippo di Giovanni Mannelli il contratto di nozze fra Roberto, nipote del C., e Maddalena, figlia del Mannelli. Il C. garantiva non soltanto come zio, ma come "procuratore e attore" per il fratello Giuliano e si impegnava, fra l'altro, a fornire "del suo" il nipote.
Il 23 maggio seguente il C. faceva testamento, istituendo un fidecommisso a favore dei primogeniti della sua diramazione, con la clausola obbligatoria di chiamarli col nome di Piero. Ammalatosi il 16 ott. 1626, morì senza discendenti l'11 genn. 1627.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Arch. Capponi, 54, passim; Notarile moderno, L. Muzzi, 2001, c. 74; 2002, c. 137; Ibid., T. Mati, 3206; Firenze, Biblioteca nazionale, Libri di commercioCapponi, 147; B. Bizoni, Europa milleseicentosei. Diario di viaggio, a cura di A. Banti, Milano-Roma 1942, pp. 75 s., 78; E. Repetti, Dizionariogeogr. fisico storico della Toscana, II, Firenze 1835, p. 672; III, ibid. 1839, p. 79; IV, ibid. 1841, p. 27; C. Belloni, Diz. storico dei banchieri, Firenze 1951, p; 57; A. Tenenti, Naufrages, corsaires et assurances maritimes à Venise 1592-1609, Paris 1959, pp. 178, 182 ss., 188 s., 191 s., 267 (il C. vi compare col nome di Pietro, come partecipante ad alcune assicurazioni fra il 1596 e il 1600); P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v.Capponi, tav. XII.