FARNESE, Pierluigi
Figlio di Ranuccio e di Agnese Monaldeschi, nacque prima della metà del sec. XV; nel 1450, quando il padre fece testamento, era ancora nella minore età.
Ranuccio, morendo, lasciò ai figli non solo un vasto dominio territoriale, nel quale ai vecchi possessi si era aggiunta, per opera sua, buona parte delle terre da grano e da pascolo che si stendevano dalle alture occidentali del lago di Bolsena sino al mare, ma anche un lucido progetto politico che si sarebbe dimostrato veicolo di un'ulteriore ascesa della famiglia. Pur godendo di un forte prestigio presso gli ambienti romani per i notevoli servigi resi alla S. Sede e pur derivando da Roma la sua fortuna, egli scelse di non abbandonare le tradizionali sedi della famiglia intorno al lago di Bolsena e di utilizzare i rapporti di potere e di affari intrecciati nel corso della sua carriera per rafforzare le basi regionali della ricchezza e della potenza di quella che nel testamento definì la "magnifica domus de Farnesio". La decisione di collocare a Viterbo la prima residenza cittadina e nell'isola Bisentina (lago di Bolsena) il monastero e la tomba di famiglia è il segno più evidente di questa volontà di radicamento provinciale che impronta di sé anche la politica matrimoniale dei Farnese, strumento per la costruzione di un sistema di alleanze strategiche a base regionale. Se da un lato si perpetuavano i traffizionali legami con Orvieto (la moglie di Ranuccio era una Monaldeschi), dall'altro furono rinsaldati quelli con gli Orsini (suo figlio Gabriele Francesco sposò una Orsini di Pitigliano), che da tempo ormai avevano esteso il loro dominio a buona parte della provincia del Patrimonio.
I figli di Ranuccio, Angelo, Gabriele Francesco e lo stesso F., si mossero nel solco della politica paterna. Non solo riuscirono a consolidare i nuovi consistenti acquisti del padre attraverso la conferma e la proroga delle concessioni da lui ottenute in via temporanea, ma furono in grado, amministrando con cura le loro ricche terre e utilizzando le doti pervenute alla famiglia grazie all'intelligente politica matrimoniale, di disporre del denaro necessario per acquistare nuovi possessi: nel 1461, come pegno per un versamento di 6.000 fiorini, i tre fratelli ottennero da Pio II Marta, già portata in dote a Ranuccio dalla moglie Agnese Monaldeschi e ritornata alla Camera apostolica con il pontefice Niccolò V, mentre nel 1464 Gabriele Francesco e il F., insieme con il cugino Pier Bertoldo (figlio del fratello di Ranuccio, Bartolomeo), comprarono da Antonio Piccolomini i diritti sulla metà a lui spettante di Canino, Gradoli e Abbazia al Ponte (l'altra metà era stata già acquisita da Ranuccio nel 1444), ricevendone da Paolo II l'investitura in vicariato insieme con Latera, Valentano, Tessennano e Piansano.
La coesione del gruppo familiare fu un elemento essenziale del consolidamento e dell'ascesa della casa Farnese. Purtroppo la documentazione di cui disponiamo non ci consente una ricostruzione completa del sistema familiare né della politica successoria. Sembra comunque, come hanno sottolineato Aymard e Revel, che mentre le morti avrebbero contribuito a favorire il riaccorpamento delle proprietà, impedendo la dispersione del patrimonio familiare, non sia completamente da escludere l'ipotesi - formulata dal Navenne e suffragata dal testamento di Ranuccio - di una gestione collettiva dei beni. Di Angelo, fratello del F., che morì probabilmente intorno al 1463, possediamo solo poche notizie, anche se possiamo attribuire a lui una parte delle vicende riferite dal Litta all'omonimo figlio del F. (ad esempio i rapporti intrattenuti con Francesco Sforza), mentre di Gabriele Francesco sappiamo che continuò a svolgere l'attività di condottiero al servizio della Chiesa e dei suoi alleati, rafforzò i legami con il Comune di Viterbo, dove risiedette nel palazzo di famiglia.
Il F. fu posto dal padre morente sotto la tutela dei fratelli. I beni da lui ereditati erano costituiti dai castelli di Capodimonte e Musignano e dai diritti posseduti dalla famiglia su Abbazia al Ponte, Canino e Montalto, cui si aggiungevano la quarta parte della tenuta di Pian d'Arcione (confinante con Cometo - od. Tarquinia - e Montalto) ed una quota di tutti i beni mobili e degli 11.000 fiorini depositati in Firenze presso il banco dei Medici. Sin dal 1452 il suo nome compare nei registri della Dogana dei pascoli del Patrimonio tra i proprietari pagati per la vendita delle erbe, che per quell'anno, per la sola metà di Abbazia al Ponte, gli fruttò 700 ducati.
Dopo la metà del secolo lo troviamo implicato nelle lotte che travagliarono la regione: nel 1458 intervenne in aiuto dei Gatti, cacciati da Viterbo, insieme con il capitano del Patrimonio; nel 1461 appare in rapporto con Orvieto, impegnato a denunciare la congiura di Gentile della Sala, uomo di parte monaldesca, che tentò di impadronirsi della città con un colpo di mano. Nel frattempo si andava già tessendo la trama di un avvenimento che era destinato a segnare una svolta decisiva nei destini della famiglia. Per i buoni uffici del cardinal Ludovico Scarampi, camerlengo della Chiesa, furono avviate trattative per concludere il matrimonio del F. con Giovannella Caetani, figlia di Onorato (III) duca di Sermoneta. Lo Scarampi, che era da tempo legato ai Farnese, tanto che lo troviamo nominato da Ranuccio suo esecutore testamentario, aveva stretti rapporti anche con la famiglia Caetani. Negli anni 1460-61, infatti, prestò il suo aiuto e i suoi consigli a Caterina Orsini, moglie di Onorato, nel periodo in cui, assente il marito per la guerra nel Regno di Napoli, si trovò a dover governare da sola lo Stato. Né possiamo ritenere estranea alla progettazione delle nozze la stessa famiglia Orsini, che così di frequente sin dal XIV secolo aveva intrecciato i suoi destini con quelli dei Farnese.
La trattativa, come documenta il carteggio tuttora conservato nell'Archivio Caetani, ebbe inizio nel 1460 e fu condotta in un primo momento dal fratello del F., Angelo; successivamente, nel 1462, lo stesso F., accompagnato da Napoleone Orsini, si recò presso il cardinale per perfezionare gli accordi ed infine nel marzo 1464, dalla sua residenza di Ischia, presso Castro, nominò un procuratore per ricevere la dote di Giovannella, ammontante a 2.750 ducati.
È stato giustamente sottolineato (Nasalli Rocca) che con questo matrimonio i Farnese uscivano dalla cerchia limitata della nobiltà locale ed entravano nel novero dell'aristocrazia romana, imparentandosi con una famiglia di grande prestigio che aveva dato un papa alla Chiesa romana. Non per questo, tuttavia, il F. abbandonò le sue terre nella provincia del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, anzi, lo vediamo più che mai impegnato ad amministrare e a consolidare il patrimonio di famiglia. Un documento del 1480 rivela che alla morte del fratello Gabriele Francesco, avvenuta presumibilmente tra il dicembre 1475 e i primi mesi dell'anno successivo, i figli di questo, Ranuccio e Paolo, si trovarono in disaccordo con il F. per la divisione di alcune terre. La lite si protrasse per diverso tempo e trovò una composizione definitiva nel 1480 con l'assegnazione delle tenute di Arlena e Civitella al F. e di quella di Tessennano ai nipoti, mentre la cannara di Marta (una struttura per la pesca delle anguille posta sul fiume a poca distanza dalla sua uscita dal lago di Bolsena) fu divisa a metà. I beni contesi erano costituiti da fertili terre, in prevalenza destinate alla produzione di grano, già appartenute ad Angelo e a Gabriele Francesco e passate al F., presumibilmente, in seguito alla loro morte. Lo stesso accadde per alcuni castelli che, pur non comparendo tra i beni lasciatigli dal padre, risultano tuttavia in suo possesso: è il caso di Ischia, sua residenza nel 1464, Marta, dimora di sua moglie Giovannella Caetani nel 1487, Cellere, ricordata come di proprietà del F. nel già citato documento del 1480, e Canino. Quanto al palazzo di Viterbo, lasciato da Ranuccio in comune ai tre figli, è da ritenere che il F. ne abbia preso possesso solo nel 1482, anno in cui chiese al Comune la cittadinanza per sé e per i suoi.
La partecipazione della Caetani alla gestione degli affari familiari non è direttamente testimoniata, ma non sembra che sia mancato il suo intervento sia negli affari economici - nel suo testamento il F. le lasciava, oltre ad altri beni, il bestiame ovino, specificando che della "industria ovium" si occupava proprio Giovannella ("quam ipsa Iovannella facit") - sia nella politica familiare. Risulta difficile credere che dietro le vicende della figlia Giulia e la formazione e la carriera di Alessandro (il futuro papa Paolo III) non ci fossero la sua determinazione e i suoi contatti con l'ambiente romano e in particolare con quello di Curia. Purtroppo lo stato della documentazione non consente di fare piena luce né sulla vita del F. né su quella di sua moglie e mantiene un velo di incertezza su alcuni episodi dei quali Giovannella fu protagonista, a cominciare dalla sua più volte ricordata segregazione che sarebbe avvenuta (secondo Gregorovius e con lui Pastor) ad opera del figlio Alessandro.
In realtà, il breve pontificio citato come fonte non solo è privo di data (e si trova perdipiù all'interno di un registro nel quale i documenti non sono trascritti in ordine cronologico), ma fa esplicito riferimento ad una questione nella quale sembrano implicati tutti i Farnese e non il solo Alessandro. Le uniche indicazioni che dal testo si possono evincere con chiarezza sono le seguenti: il pontefice, in relazione a quello che viene definito "negotium horum de Farnesio", che si erano resi colpevoli di disobbedienza, onde evitare che il loro comportamento sia di cattivo esempio sollecita il vescovo di Lucca, governatore della provincia, ad intervenire rapidamente anche contro i loro sudditi ("in eorum sudditos ... procedendo"), sino a che alla madre dei Farnese, che al momento non può allontanarsi dal luogo della sua residenza perché vi è trattenuta per volontà altrui, non verrà restituita la libertà ed essa potrà recarsi in Viterbo o in qualsiasi altra terra della Chiesa. Quanto ad Alessandro, il pontefice afferma che lo tratterrà in custodia sino a che non si avrà notizia della liberazione di sua madre. Sembra dunque che il documento debba riferirsi ad un episodio di ribellione dei Farnese, ma in assenza di termini cronologici precisi è impossibile dire di più. Considerando che la lettera dovrebbe essere posteriore al settembre 1485 (dal momento che è a quella data che risale la nomina del vescovo di Lucca, Nicolò Sandonnino, a governatore del Patrimonio), è ipotizzabile che il breve si riferisca alla presa di posizione di Angelo, fratello di Alessandro, il quale in quei mesi si schierò al fianco di Virginio Orsini e contro Innocenzo VIII nella guerra tra questo e Ferdinando d'Aragona e, nel dicembre dello stesso anno, mosse all'assalto di Viterbo devastandone le campagne. Il riferimento rimane, tuttavia, una semplice supposizione che non chiarisce, peraltro, per quale motivo e ad opera di chi sia avvenuta la segregazione di Giovannella e quale ruolo abbia avuto nella vicenda Alessandro, che risiedeva a Roma, lontano dai suoi fratelli e dal luogo della ribellione.
Il F. all'epoca era ancora vivo; una copia del suo testamento conservata nell'Archivio Farnesiano di Napoli reca la data del dicembre 1485, ma solo ulteriori ricerche potrebbero chiarire l'atteggiamento da lui tenuto nella vicenda. La sua morte deve collocarsi tra la redazione del testamento e il novembre 1487, allorché Giovannella compare in un documento come "uxor olim domini Pietrolovisii".
L'atto, conservato nel protocollo del notaio viterbese Spinello Altobelli, offre un singolare spaccato del carattere della Caetani, mostrandocela come una donna energica e pronta alla sfida; sembra infatti che avesse ospitato nella sua residenza di Marta una serva di colore ("quamdam mauram nomine Iacobam servam seu ancillam"), fuggita da Viterbo perché maltrattata dai padroni, il banchiere senese Mariano Chigi e il suo socio Perino di Francesco, mercante viterbese. Raggiunta da un breve di Innocenzo VIII che le ingiungeva di riconsegnare la donna a un rappresentante dei due uomini d'affari, Giovannella rifiutò con ferniezza di obbedire e al notaio non restò che verbalizzare tale rifiuto in un documento che niente altro ci dice né sui precedenti della vicenda né sugli sviluppi successivi.
Oltre ad Angelo, primogenito, e ad Alessandro, il futuro papa, fl F. ebbe tre figlie, la già ricordata Giulia, Girolama, moglie di Puccio Pucci, e Beatrice. Angelo abitò, dopo la morte del padre, nel palazzo di Viterbo. Nel "Libro dei ricordi" dei Priori di questa città è menzionato per avere invitato il Comune, nell'aprile del 1488, alle sue nozze con la figlia di Giulio Orsini, conte di Pitigliano. Quando morì, nel 1494, il palazzo di Viterbo passò al fratello Alessandro. Beatrice fu monaca e badessa, nel 1480, del monastero viterbese di S. Bernardino.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Caetani, nn. 17138, 17739, 17697, 17699, 18117; Arch. segr. Vaticano, Arm. XXVII, n. 40, cc. 259-262; Arm. LIII, t. 18, c. 141r; Reg. Later., 912, c. 160r; Archivio di Stato di Napoli, Archivio Farnesiano, b. 2071, fasc. 3, c. 25; Archivio di Stato di Viterbo, Archivio notarile distrettuale di Viterbo, n. 56, cc. 5r-7r; n. 325, cc. 14v-15v; Viterbo, Biblioteca comunale degli Ardenti, Archivio stor. comunale di Viterbo, Riforme, n. 18, c. 173r; n. 20, c. 71v; n. 21, c. 197v; n. 23, c. 28r; F. M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese..., Montefiascone 1817-18, I, pp. 35 s.; F. Gregorovius, Lucrezia Borgia, Stuttgart 1874, pp. 35, 61; C. Pinzi, Storia di Viterbo, III, Roma 1913, pp. 128, 130; Id., Gli ospizi medioevali e l'ospedal grande di Viterbo, Viterbo 1893, pp. 239-245; F. de Navenne, Rome, le palais Farnèse et les Farnèse, Paris 1914, p. 49; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1925, p. 14 n. 4; G. Signorelli, Palazzo Farnese, in Boll. municipale del Comune di Viterbo, IV (1931), II, pp. 3-6; G. Drei, I Farnese. Grandezza e decadenza di una dinastia ital., Roma 1954, p. 10; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Viterbo 1907-1965, II/1, pp. 128, 181; II/2, pp. 82 ss.; E. Nasalli Rocca, IFarnese, Milano 1969, pp. 23 ss.; J. Revel-M. Aymard, La famille Farnèse, in Le palais Farnèse, I, 2 Rome 1981, pp. 698-700; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Farnesi, tavv. VI s.