GUSTON, Philip
(nome d'arte di Goldstein, Philip)
Pittore statunitense, nato a Montreal il 27 giugno 1913, morto a Woodstock il 7 giugno 1980. Trascorse l'infanzia a Los Angeles dove i genitori, già emigrati nel 1905 da Odessa, si trasferirono. Dopo un corso annuale per corrispondenza della Cleveland School of Cartooning, frequentò dal 1927 la Manual Arts High School di Los Angeles: introdotto alla filosofia orientale e all'arte moderna, soprattutto al cubismo, qui strinse amicizia con J. Pollock; nel 1929 entrambi vennero espulsi per aver denunciato il basso livello degli studi. Borsista presso l'Otis Art Institute di Los Angeles nel 1930, insofferente dell'insegnamento tradizionalista, vi rimase soltanto tre mesi. Proseguì come autodidatta: studioso della pittura toscana del Quattrocento e sensibile alle novità del linguaggio di De Chirico, Picasso, Léger, fu attratto dalla tematica sociale dei muralisti messicani; più tardi (1939) s'interessò ai dipinti di M. Beckmann in mostra a New York.
Con questa cultura d'immagine la sua pittura, concepita come mezzo di critica sociale e d'impegno politico, manifesta una figurazione con implicazioni ideologiche. I pannelli, connessi con il caso Scottsboro e le atrocità del Ku Klux Klan, affrescati con R. Kadish per il gruppo marxista John Reed Club, vennero distrutti dalla polizia nel 1933. Stabilitosi a New York dal 1935, quando adottò lo pseudonimo G., collaborò con il Works Progress Administration Federal Art Project e conobbe J. Brooks, S. Davis, W. De Kooning, ecc. Insegnò dal 1941 in diverse università americane. Nella sua attività ebbe riconoscimenti e borse di studio, a partire dal premio alla mostra organizzata dal Carnegie Institute di Pittsburgh nel 1945, anno in cui tenne la prima personale a New York. Dopo un viaggio in Italia, Spagna e Francia (1948-49), tornato a New York, strinse legami con esponenti dell'espressionismo astratto, con i compositori M. Feldman e J. Cage, e alimentò l'interesse per la filosofia Zen e l'esistenzialismo.
In tale contesto matura la fase di ripensamento formale verso l'astrazione: con una contenuta esplorazione gestuale della superficie, G. tesse dense e ampie pennellate, più o meno aggregate, con valenze spaziali, che strutturano spessori pittorici cromaticamente accordati. La sua inquietudine lo conduce, alla fine degli anni Cinquanta, verso una nuova evocazione di oggetti, dapprima presentati in una problematicità di riconoscimento, insofferente di un realismo troppo restrittivo, poi, invece, imposti con una schematizzazione gravata da un segno ispessito che, nel combinare elementi vari (scarpe, orologi, libri, mani, incappucciati; alcuni temi iconografici ripropongono quelli iniziali) con paradossale accentuazione di sgradevolezza, media stilemi dai fumetti. Dibattuta tra l'essenzialità dell'astrazione, solo emozionalmente espressiva, e la rappresentazione figurata quale esplicita denuncia oggettivata, la sua pittura è percorsa, come confermano i suoi scritti, dall'alterna dinamica di questi due impulsi, ed è segnata dalla tendenza a rimeditare i propri obiettivi formali in rapporto alla situazione storica, artistica e politica. Vedi tav. f.t.
Bibl.: D. Ashton, Philip Guston, New York 1959; H. H. Arnason, Philip Guston, The Solomon R. Guggenheim Museum, ivi 1962; S. Hunter, Philip Guston: recent paintings and drawings, The Jewish Museum, ivi 1966; D. Ashton, Philip Guston: new paintings, Boston University, Boston 1974; Id., Yes, but... A critical study of Philip Guston, New York 1976; M. Feldman, Philip Guston: the last works, The Phillips Collection, Washington (D.C.) 1981; N. Lynton, N. Serota, Philip Guston. Paintings 1969-1980, Whitechapel Art Gallery, Londra 1982; M. Dabrowski, P. Vivarelli, Philip Guston, Opere su carta 1933-1980, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma 1989.