PERUGINO
. Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il P., pittore, nacque a Città della Pieve con ogni probabilità nel 1445, morì a Fontignano - piccola terra tra Perugia e Città della Pieve - nel 1523. Dalla città di Perugia, dove visse a lungo ed esercitò importanti magistrature, derivò il nome col quale è più comunemente conosciuto.
Forse nel paese nativo e a Perugia compì la sua prima educazione. Nel 1472 era già iscritto a Firenze nel Libro della Congregazione di S. Luca; con ogni probabilità, come afferma il Vasari, era già stato innanzi ad Arezzo alla scuola di Piero della Francesca. A Firenze sicuramente studiò sotto la guida di Andrea Verrocchio, vide le opere dei primitivi fiamminghi che in quel tempo erano ricercate tanto volontieri, si addestrò accanto ai migliori contemporanei fiorentini nella tecnica della pittura ad olio che ancora non era conosciuta in Umbria. Soprattutto il P. mostra di avere assimilato da Piero della Francesca la conoscenza della costruzione di prospettive, così architettoniche come atmosferiche, e di avere appreso alla bottega del Verrocchio la raffinatezza del disegno e il segreto d'impostare in modo plastico e vigoroso le figure.
Andate distrutte nell'assedio di Firenze del 1529 alcune pitture ad affresco da lui eseguite prima del 1475, e del pari perdute le opere dipinte sulle pareti della sala grande nel Palazzo dei priori a Perugia nel 1475 e nella vecchia basilica di San Pietro in Vaticano avanti il 1479, non è agevole oggi ricostruire in modo completo l'attività del Perugino anteriormente al 1481. A Perugia, nella pinacoteca, si conservano otto tavolette a tempera con i Miracoli di S. Bernardino, che costituivano i due sportelli dell'armadio in cui era conservato il gonfalone del santo dipinto da Benedetto Bonfigli. In due di queste tavolette - in quella raffigurante un fanciullo nato morto chiamato in vita e soprattutto in quella che reca l'indicazione dell'anno 1473 e rappresenta una fanciulla di Rieti resuscitata - sembra di vedere quei caratteri di stile che più tardi saranno tipici dell'arte di Pietro Perugino. È dunque lecito attribuirgli le due piccole e finissime pitture, mentre per il complesso dell'opera si dovrà pensare a una collaborazione di varî artisti, un altro dei quali dev'essere stato quasi certamente Bernardino Pinturicchio.
Con maggiore sicurezza si può dare al P., e assegnare all'incirca all'anno 1475, la tavola ad olio dell'Adorazione dei Magi che è nella medesima pinacoteca, e che rivela il buon profitto degl'insegnamenti di Arezzo e di Firenze. La prima opera sicuramente datata del P. è l'affresco del S. Sebastiano, resto di una composizione più vasta, che si conserva nella chiesa di S. Maria a Cerqueto (comune di Marsciano) e che reca la data 1478. Capacità plastica e scienza anatomica ci sono rivelate da questa bella pittura che si può utilmente raffrontare alle numerosissime altre figurazioni in Umbria del santo, invocato quale speciale patrono nei frequenti contagi di peste: le tradizioni locali vecchie e nuove sono superate, e l'Umbria s'avvia a partecipare in pieno, con la sua pittura, al Rinascimento fiorentino.
Una solenne conferma della fama a cui era sollecitamente giunto il maestro, e della stretta parentela che ormai si riconosceva all'arte sua con l'arte di Firenze, ci è offerta dalla commissione che nel 1481 viene data al P. insieme a tre maestri di Firenze - Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio - di decorare a fresco le pareti della Cappella Sistina. Il lavoro si dovette condurre sollecitamente a termine, e ciascuno dei quattro pittori perciò ricorse largamente ad aiuti: nelle scene della Circoncisione dei figli di Mosè e del Battesimo di Gesù è palese la collaborazione predominante del Pinturicchio, mentre l'arte del P. la troviamo integra nella composizione della Consegna delle chiavi, pittura veramente monumentale, che ci permette di comprendere la graduale conquista di uno stile assolutamente personale.
Non ci sono giunte le opere eseguite per la corte di Pesaro avanti il 1483; posteriori di assai poco devono essere il trittico del Museo di Leningrado, raffigurante la Crocifissione con la Vergine e Santi, e il tondo del Louvre con la Vergine in trono, il Bambino e le Ss. Rosa e Caterina.
Del 1488, o del 1489, è l'Annunciazione della chiesa di S. Maria Nuova a Fano, e sicuramente nel 1489 fu terminato il quadro dell'Apparizione della Vergine a S. Bernardo ora nella Alte Pinakothek di Monaco.
Con questi due capolavori s'inizia la fase più bella dell'attività di Pietro Perugino, che durerà fino al chiudersi del secolo. In queste opere il maestro fa vedere che ha saputo profittare nel modo più completo di quanto ha osservato e appreso ad Arezzo e a Firenze, e che ha saputo giovarsene per giungere a conquistare mezzi espressivi assolutamente personali. Perfetta l'abilità nel rendere le prospettive architettoniche e i grandi piani dell'orizzonte digradanti all'infinito, ma della composizione spaziale l'artista sa profittare per raggiungere un'efficacia possentemente comunicativa, per dare ai suoi dipinti un profondo contenuto lirico, per creare ai personaggi assorti in un'estasi ultraterrena l'ambiente più proprio.
Uguali caratteri ritroviamo nel trittico che oggi è a Roma, a Villa Albani, e reca con la firma l'indicazione dell'anno 1491. Tra il 1493 e il 1497 il P. dipinge la serie delle sue più belle immagini della Vergine col Bambino, nelle quali la sua raffinatezza raggiunge un altissimo grado e nelle quali, inserendosi sulle tradizioni della pittura religiosa dell'Umbria, fissa un tipo di grazia inimitabile e di compiuta bellezza: sono del 1493 le Madonne della Galleria di Vienna e degli Uffizî, è del 1494 quella del Sant'Agostino di Cremona, è del 1495 quella della Pinacoteca Vaticana, del 1497 infine quella della Chiesa di Santa Maria Nuova a Fano, che ha una predella con cinque squisite scene della Vita della Vergine.
Altre opere, e anche queste tra le più significative, si riconducono ai medesimi anni: l'Orazione nell'Orto degli Uffizî, la Pietà di Palazzo Pitti, la Pietà degli Uffizî, il S. Sebastiano nel Louvre. Nel 1496 P. conduce a termine un altro dei suoi capolavori, l'affresco della Crocifissione in S. Maria Maddalena de' Pazzi a Firenze.
Il maestro qui ha conseguito il più alto grado di semplificazione e di potenza nella sua arte: la parete è divisa da tre archi armoniosissimi, dentro a ciascuno dei quali campeggia una parte della scena, il Redentore in Croce con la Maddalena nel centro, la Vergine con S. Bernardo a sinistra, S. Giovanni Evangelista con S. Benedetto a destra. Sono sei figure soltanto sopra il fondo di una campagna alla quale la luminosità dell'orizzonte accresce ampiezza e della quale l'incorniciatura d'architettura dipinta circoscrive efficacemente la bellezza. Forse non mai il P., e certamente di rado anche i più grandi pittori, hanno raggiunto un'efficacia così veramente musicale.
Accanto a quest'opera va ricordata la Vergine col Bambino in gloria e Santi della Pinacoteca di Bologna. Alquanto posteriore, del 1499, è il trittico eseguito per la Certosa di Pavia e oggi conservato, a Londra, nella National Gallery; dello stesso anno è la grande ancona già nel S. Pietro di Perugia e ora dispersa in più luoghi, della quale si conserva nel museo di Lione l'Ascensione che ne costituiva la parte centrale; è del 1500 l'Assunta ora agli Uffizî.
Sino a questo momento il P. ha lavorato soprattutto per Firenze, Roma e Perugia; è stato e ha mandato sue opere nelle Marche; ha lavorato per Cremona, Bologna e Pavia; è stato - ma non vi si trovano sue opere - a Venezia e a Orvieto. Dappertutto i suoi dipinti determinano il formarsi di tendenze orientate verso il suo stile, sì che dalla Lombardia a Roma i pittori guardano a lui più che a qualunque altro maestro, e a questo fascino non riescono a sottrarsi neppure artisti già formati e di notevole valore, come ad esempio Francesco Francia. Alle sue botteghe di Firenze e di Perugia, per molti anni di sicuro aperte contemporaneamente, accorrono poi numerosi allievi, anche da paesi lontani.
Nel 1500 il P. termina, a quanto oggi par certo, il lavoro della decorazione a fresco della sala del Collegio del Cambio a Perugia: questa data vi è scritta di fronte all'autoritratto, sotto il quale un distico latino esalta la grandezza del pittore.
Nelle intenzioni dei committenti, e forse anche dell'autore, quest'opera avrebbe dovuto, più che qualunque altra, assicurare nei secoli la gloria del P. Il risultato non è stato peraltro pari alle speranze, e nell'opera si riscontrano disuguaglianze e debolezze che ne attenuano grandemente il pregio. Per opera di un umanista, Francesco Maturanzio, si è imposto al pittore un complesso e arduo programma, tendente a dimostrare che la perfezione può conseguirsi in terra armonizzando le virtù degli antichi con la fede di Cristo.
Sulla parete d'ingresso si vede, isolata, la figura di Catone; sulla parete di sinistra sono due grandi lunette: nella prima si osservano le figure della Prudenza e della Giutizia, nella seconda quelle della Fortezza e della Temperanza, e sotto ciascuna virtù tre personaggi, due romani e uno greco, particolarmente atti a impersonarla.
Nella parete di fondo sono rappresentate la Trasfigurazione e l'Adorazione del Bambino; nella parete di destra è l'Eterno Padre in alto, e in basso un gruppo di Profeti e Sibille. Nella vòlta sono rappresentati i Pianeti in mezzo a grottesche.
Con quest'opera, così ricca d'intenzioni e in talune sue parti così deficiente quanto alla realizzazione, s'inizia la decadenza dell'arte del P. Una delle cause va indubbiamente ricercata nella troppo larga partecipazione di aiuti al lavoro del maestro, ma una gran parte di colpa si deve dare anche all'assoluta impreparazione di questo ad affrontare temi nei quali avessero una parte qualsiasi divinità dell'Olimpo o personaggi dell'antichità classica.
Allorché nel 1505, dopo lunghe trattative ed esitazioni, il P. dipinge per Isabella Gonzaga il Combattimento tra l'Amore e la Castità oggi al Louvre, commette un errore anche più grave per la nessuna aderenza del suo stile al soggetto, e un giudizio ugualmente negativo si deve pronunciare ne' riguardi del frammento della Corte d'Apollo che è a Londra nella Collezione White.
Considerato a Firenze e a Roma come un artista superato, il P. passa a Perugia gli ultimi anni della sua vita ripetendo stancamente i vecchi schemi o si reca ormai soltanto in piccoli centri dell'Umbria dove il fascino del suo nome ancora gli procura qualche commissione. Prima che giunga l'estrema decadenza, dipinge a fresco, nel paese nativo, a Città della Pieve, un'Adorazione dei Magi nell'Oratorio di S. Maria de' Bianchi (1504). Nonostante la scena troppo affollata di figure, e l'espressione ormai più leziosa che devota di alcune di esse, la composizione è ancora piacevole nel suo insieme. Altre opere meritevoli di ricordo dell'ultimo periodo sono l'affresco del Martirio di S. Sebastiano nella chiesa omonima a Panicale (1505), la Crocifissione nel S. Agostino di Siena (1506), la Vergine col Bambino e i Ss. Girolamo e Francesco della National Gallery (1507), l'Adorazione dei Pastori nella chiesa di S. Francesco a Montefalco (forse 1515), l'Adorazione dei Magi in S. Maria delle Lacrime a Spello (1521-22). Nel 1508 il P. aveva dipinto i quattro tondi nella vòlta della Stanza dell'Incendio di Borgo in Vaticano, composizioni fredde e poco limpide che gli valsero il licenziamento dalla corte papale, e che Raffaello, a quanto si dice, rispettò solo per un gentile senso di riguardo verso il suo vecchio maestro.
Nel 1523 il P. lavorava a Fontignano, allorché durante una pestilenza fu sorpreso dalla morte. Rimane ancora in quella piccola chiesa una Madonna col Bambino dipinta a fresco e recante la data 1522; l'Adorazione dei Magi, l'affresco al quale il maestro attendeva allorché mancò ai vivi, è stato distaccato e si trova ora a Londra, alla National Gallery. Gli ultimi anni del P., dal 1512 alla morte, furono soprattutto occupati nel lavoro di una grandiosa ancona a due facce per la chiesa di S. Agostino in Perugia. Rimossa e smembrata già nel Seicento, molte delle parti sono state disperse in varie raccolte all'estero, ma il loro maggiore numero si trova nella pinacoteca di Perugia. Accanto alle deficienze già constatate nell'arte del P. vecchio, anche qui è dato ritrovare qualche sua virtù dei tempi migliori.
Certamente il P., come tutti i pittori umbri della sua generazione e della precedente, fu anche miniatore, e per quanto lavori che gli sono attribuiti non possano venirgli assegnati con assoluta sicurezza, è da ricordare che reca il suo nome una miniatura nel Libro d'Ore Albani (già coll. Yates).
Numerosissimi gli scolari e i seguaci del Perugino, soprattutto attorno alle sue botteghe di Perugia e di Firenze, ma, come s'è già visto, anche in altre parti d'Italia dov'erano giunte le sue opere e la sua fama. Il Pinturicchio, per quanto abbia sentito l'influsso della sua arte e abbia anche lavorato alle sue dipendenze, va, nel complesso, considerato piuttosto un compagno che un allievo; Raffaello, durante la sua permanenza in Umbria, deriva soprattutto dal P. gli aspetti che caratterizzano la sua arte sino a che non si trasferisce a Firenze, e che, pur nel variarsi e nel farsi più complesso del suo stile, permangono, almeno in parte, sino all'ultimo. Gli scolari più diretti del P., quelli che si sono trovati a contatto con lui in Umbria, quale più e quale meno a un certo punto lo hanno abbandonato, attratti dal fascino di Raffaello. Dei migliori tra questi potremo ricordare Giovanni Spagna, Eusebio da San Giorgio, Giannicola di Paolo, Giovanni Battista Caporali: il P. negli ultimi suoi anni, sopravvissuto al grandissimo scolaro, rimane ormai solo a rappresentare la tradizione della pittura umbra. Alcune opere del P. sono state attribuite a Raffaello, più che altro per l'eccellenza del lavoro e per una inesatta valutazione della grandezza del maestro umbro, e gli sono ormai restituite concordemente: così la Pietà della pinacoteca di Perugia, la Crocifissione di Leningrado, la predella di Fano, i Profeti del museo di Nantes. In alcune parti del Collegio del Cambio, a Perugia, si è ugualmente voluta vedere la mano di Raffaello, ma anche qui conviene riconoscere che il merito della vasta decorazione, come la colpa delle imperfezioni già segnalate, spetta al P., anche se coadiuvato da seguaci che non è possibile distinguere partitamente. Al P., al contrario, si sono attribuite, e da taluno si attribuiscono tuttora, pitture che sono invece di Raffaello: basti tra queste ricordare il Ritratto virile della Galleria Borghese.
V. tavv. CCXIX-CCXXIV.
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