PELLEGRINO di Mariano di Jacopo
PELLEGRINO di Mariano di Jacopo. – Il luogo e la data di nascita di Pellegrino sono sconosciuti, ma si può documentare che era figlio del lanaiolo Mariano di Jacopo e di una Mariana, sua moglie. Solo recentemente alcune ricerche d’archivio hanno rivelato il nome del nonno paterno: in un codicillo del 22 agosto 1484 egli è chiamato «Pellegrinus olim Mariani Iacobi pictor de Senis» (Siena, Archivio di Stato [ASS], Notarile Antecosimiano, 568, Jacobus Petri Mori, doc. 9, gentilmente segnalato da Philippa Jackson).
Formatosi con Giovanni di Paolo, a quanto si ricava dal suo stile, Pellegrino è documentato come artista a partire dal 1449, quando l’ospedale di S. Maria della Scala di Siena lo remunerò per aver dipinto «la tavola e chappella del beato Bernardino», ora entrambe perdute (Gallavotti Cavallero, 1985, p. 427 n. 303 e n. 310). Pellegrino forse ottenne questa commissione grazie alla mediazione di Giovanni di Paolo, la cui pala dei Pizzicaiuoli fu collocata sull’altare di proprietà dell’Arte, all’interno della chiesa dell’Ospedale, nel 1449.
Pellegrino è noto principalmente per le sue miniature (Bollati, 2004), e in particolare per quelle commissionategli da papa Pio II Piccolomini per i libri corali della cattedrale di Pienza poco dopo il 1460 e per quelle dipinte per la cattedrale di Siena e per l’ospedale della Scala tra il 1465 e il 1481. Inoltre illustrò alcuni codici per gli agostiniani di Lecceto (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati [BCS], ms. H.I.2) e per il convento senese dell’osservanza domenicana di S. Spirito (Roma, Biblioteca Casanatense, mss. 4510, 4511). Un altro codice, sconosciuto agli specialisti, venne decorato su commissione del camerlengo Tommaso di Urbano del Testa Piccolomini (1431-1483), divenuto più tardi vescovo di Sovana e Pienza, che era stato il padrino del secondo figlio di Pellegrino nel 1460. All’interno di questo messale romano, scritto a Roma nel 1463, Pellegrino eseguì 30 iniziali istoriate (BCS, ms. X.II.1; Garosi, 2002). Una miniatura di Pellegrino recentemente scoperta si trova anche in un cerimoniale commissionato dal vescovo Giovanni Cinughi, databile tra il 1460 e il 1470 (BCS, ms. F.VI.5; Santa Maria delle Nevi a Siena, 2014).
Pellegrino è anche documentato come pittore di tavole, affreschi, gonfaloni, tabernacoli e di un soffitto (Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 29 s., 157 s.; Milanesi, 1854, pp. 380 s.; Gallavotti Cavallero, 1985, pp. 182, 205, 398, 427 n. 303 e n. 310, 431 nn. 395-397, 432 n. 421). Il suo corpus non è stato ancora oggetto di uno studio sistematico, e molti dei suoi dipinti su tavola sono stati attribuiti, spesso insieme ad altri non pertinenti, a diversi maestri anonimi (Maestro della Maddalena, Pseudo-Pellegrino di Mariano, Maestro della Madonna di S. Martino, Maestro dell’Ego Sum, Maestro di Montemerano) o ad altri artisti del suo tempo (soprattutto Carlo di Giovanni, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo e i loro seguaci). Nel suo catalogo si annoverano più di cinquanta dipinti su tavola e almeno un affresco. Un certo numero di queste opere resta ancora inedito, e la maggior parte sono di proprietà privata.
Oltre alle numerose miniature documentate, punti di riferimento per la ricostruzione della personalità artistica di Pellegrino sono due dipinti firmati risalenti ai suoi esordi. Uno è la Madonna col Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Bernardino del Brooks Museum of art a Memphis, datato 1450; l’altra opera, firmata ma senza data, è un grande trittico portatile di collezione privata (scomparto centrale: Madonna col Bambino in trono, il Vir Dolorum; scomparto sinistro: Ss. Francesco d’Assisi, Caterina d’Alessandria [?], Angelo annunciante; scomparto destro: S. Bartolomeo, una santa anziana, la Vergine dell’Annunciazione), che sembra essere posteriore alla tavola del 1450, dal momento che lo stile dell’artista mostra qui più autonomia ed è più vicino alle sue miniature degli anni Sessanta. Un’altra opera che costituisce un sicuro punto di riferimento per la cronologia di Pellegrino è la copertina di Gabella del 1456 che raffigura l’Annunciazione con s. Bernardo, papa Callisto III e devoti (ASS, inv. 47).
Le opere più tarde di Pellegrino rivelano l’influenza crescente di Sano di Pietro, con il quale il pittore collaborò per la decorazione miniata dei libri liturgici destinati alla cattedrale di Pienza e all’ospedale della Scala.
Pellegrino si dimostrò poco aperto alle innovazioni dei contemporanei, i quali avevano introdotto lo stile rinascimentale a Siena, e – come Giovanni di Paolo e Sano di Pietro – rimase legato agli stilemi tardogotici per tutta la vita. La sua maniera, improntata a schiettezza e semplicità, è segnatamente lineare e caratterizzata dall’utilizzo di una variegata tavolozza di colori brillanti. Se le sue miniature sono vivaci e aggraziate, le sue opere di dimensioni maggiori sono spesso statiche e ripetitive. Data la scarsa abilità nel ritrarre le forme anatomiche, spesso Pellegrino fece ricorso a un repertorio di motivi convenzionali per le sue figure, che nelle prime opere appaiono come fragili manichini dalle grandi teste, intenti a gesticolare con mani dalle lunghe dita. Il modellato dei volti femminili è spesso minimale, mentre le fisionomie maschili, più fortemente marcate, paiono talvolta delle caricature a causa dell’accentuata enfasi lineare. Le mani sembrano spesso staccate dai polsi, senza ossa e disarticolate. Nelle sue opere giovanili Pellegrino adornava le stoffe con motivi a sgraffito, mentre in quelle più tarde minute decorazioni floreali si distribuiscono sull’intera superficie degli abiti, senza tener conto delle pieghe. I suoi paesaggi, punteggiati da colline a forma di cono e da ciuffi di erbe disposti ordinatamente, sono ispirati all’opera di Giovanni di Paolo. Tutto questo stile dimostra scarsa evoluzione nel corso degli anni e la cronologia delle sue opere è perciò difficile da determinare.
Nella fase matura Pellegrino si specializzò in immagini devozionali della Madonna con il Bambino (Sallay, in corso di stampa, s.v.). Spesso eseguì copie di opere famose, in particolare di Simone Martini, Lippo Memmi, Andrea di Bartolo e Jacopo della Quercia. Grazie al riutilizzo degli stessi cartoni con alcune variazioni, Pellegrino e la sua bottega crearono serie di opere simili (una pratica ispirata a quella della bottega di Sano di Pietro). Le variazioni in genere sono limitate all’inclusione o all’esclusione di santi o angeli a fianco delle figure centrali, al meccanico riposizionamento dei motivi compositivi o alla riproduzione speculare della composizione tramite il capovolgimento del cartone. In ragione del loro marcato arcaismo i lavori di Pellegrino sono stati non di rado attribuiti alla scuola senese del XIV secolo o degli inizi del XV.
Oltre a un gran numero di immagini devozionali, Pellegrino dipinse diverse opere monumentali. Della sua pala d’altare più importante, giuntaci frammentaria, resta oggi la Vergine Assunta con i ss. Leonardo, Benedetto, Caterina da Siena, Antonio Abate e otto angeli presso la Pinacoteca nazionale di Cagliari (finora attribuita a Carlo di Giovanni), e verosimilmente anche un altro lacerto con la figura di S. Tommaso (Sotheby’s, Londra, 2 dicembre 1964, lotto 95). Questa pala fu probabilmente realizzata per un monastero benedettino, forse quello di S. Eugenio in Monistero, nei pressi di Siena, nella cui chiesa il vescovo Francesco Bossi ricordava, nel 1575, l’esistenza di un altare laterale dedicato all’Assunta, nel quale spiccava una «iconam [...] cum imagine Beatae Mariae Virginis Assumpte et aliorum sanctorum» (Siena, Archivio arcivescovile, ms. 21, c. 729r). Pellegrino era proprietario di un vigneto nelle vicinanze («una meza vigniuola mi vene doppo la vita d’una donna la quale è staja uno e mezzo di valuta di fiorini 40, la quale è posta nel chomuno di Munistero», 1481, ASS, Lira, 198, c. 358r) e aveva eseguito una monumentale Madonna col Bambino in trono (ora a Siena, Museo d’arte sacra) per la chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo in Monistero, situata nelle immediate vicinanze di S. Eugenio e subordinata ai benedettini. Un pannello laterale destro raffigurante S. Bernardino da Siena, con sopra la Vergine Annunciata, risulta l’unico frammento di un polittico (Siena, S. Domenico, sacrestia; Bacci, 1938). Un pannello di grandi dimensioni raffigurante la Vergine Annunciata, nella chiesa di S. Giorgio a Montemerano, la cosiddetta Madonna della Gattaiola, era forse in origine un’anta d’organo, mentre un dipinto opistografo con venature orizzontali, ora segato verticalmente in due tavole raffiguranti rispettivamente la Vergine col Bambino (collegiata di S. Quirico d’Orcia) e un S. Bartolomeo (Porro&C., Milano, 9 maggio 2007, lotto 3), è il più antico esempio a noi noto di un dipinto destinato alla testata di un cataletto (forse eseguito per la Compagnia del beato Ambrogio Sansedoni e di S. Bartolomeo in S. Domenico).
A documentare l’attività di frescante di Pellegrino rimane soltanto la Crocifissione con la Vergine e s. Giovanni Evangelista dolenti e i ss. Cerbone e Bernardino da Siena nella cripta del duomo di Massa Marittima (ripr. in Carli, 1976, p. 69), dove la testa di Cristo è quasi identica allo stesso dettaglio presente nel trittico firmato dall’artista in una collezione privata. Se questo affresco possa essere messo in relazione con il soggiorno documentato dell’artista a Massa Marittima, dove fu inviato come castellano nel 1483 (ASS, Balìa, 27, c. 16v; ASS, Concistoro, 2052, doc. 75; Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 30 s.) è questione ancora insoluta.
Tra le opere profane di Pellegrino si possono ricordare un paio di cassoni (Trionfo d’Amore, già Collezione H. Kisters, Kreuzlingen, ripr. in Fredericksen, 1969; Trionfo della Castità, già Collezione Cook, Richmond, Surrey, inedito, foto 45849 presso la Fototeca Zeri, Bologna) e due frammenti di cassone con la storia di Giuseppe (Il sogno del Faraone, Colonia, Wallraf-Richartz Museum; Giuseppe portato in prigione, Siena, Pinacoteca nazionale).
Nel 1455 Pellegrino sposò Battista di Pietro di Domenico, figlia di un lanaiolo, e ricevette una dote di 120 fiorini versata dal fratello di Battista, Giovanni di Pietro di Domenico («Marianus olim Jacobi dicti Rossino conciator pannorum laneorum, domina Mariana eius uxor et Pellegrinus eorum filius fuerunt confessi Johanni olim Petri Dominici de Senis se habuisse et recepisse centumviginti florenos de libris [...] et illud plus quo extimabitur quedam camurra ad dorsum infrascripte domine Baptiste pro dote et dotis nomine domine Baptiste sororis sue carnalis et filie dicti Petri sponse et future uxoris dicti Pellegrini», ASS, Gabella dei contratti, 229, c. 20v, 12 gennaio 1455 stile moderno, cfr. anche Milanesi, 1854, p. 380). Nel codicillo già citato del 22 agosto 1484 Pellegrino chiamò sua moglie «domina Baptista olim filia Petri Pecchii [sic?] de Senis»; nel testamento di costei (1508) lei stessa è indicata come «domina Baptista uxor olim Pellegrini Mariani pictoris et filia olim Petri Dominici lanaiuli de Senis» (ASS, Notarile Antecosimiano, 1015, Ser Donato Corti, ad annum).
La coppia ebbe numerosi figli (Felice Vincenzo, nato nel 1455, ASS, Biccherna, 1133, c. 175v; Silvio, nato nel 1460, ASS, Biccherna, 1133, c. 236v, il cui padrino fu «Tomme d’Urbano segretaro della santità di papa Pio Sichondo»; Caterina Bernardina, nata nel 1461, ASS, Biccherna, 1133, c. 240v; tra i figli più piccoli figurano Battista e Girolamo, che sarebbe poi divenuto orefice: Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 33; Milanesi, 1854, p. 380).
Come molti altri pittori senesi, Pellegrino visse con la sua famiglia nel Terzo di Camollia a Siena (1465, Compagnia di S. Andrea, ASS, Lira, 169, c. 58r e Romagnoli, ante 1835, 1976, pp. 33 s.; 1468, Compagnia di S. Antonio, ASS, Lira, 66, c. 119r; 1478, Compagnia di S. Antonio, ASS, Lira, 183, c. 216r, Lira, 72, c. 41r; 1481, Compagnia di S. Donato a lato a’ Montanini, ASS, Lira, 198, c. 358r e Lira, 77, c. 50v; 1488, Compagnia di S. Antonio, ASS, Lira, 221, c. 414r e Lira, 91, c. 34r). Le sue dichiarazioni fiscali e i pagamenti sono indicativi di una condizione economica media, fatta eccezione per un calo significativo nel 1488, verso la fine della sua carriera, coincidente con le lagnanze da lui stesso espresse a proposito degli effetti della vecchiaia e dell’indebolimento della vista (nel 1478 aveva pagato tasse per 225 lire, 275 lire nel 1481 e 125 lire nel 1488: molti di questi documenti sono stati gentilmente segnalati da Ludwin Paardekooper). Nel 1490 i frati senesi di S. Domenico vendettero a lui e a sua moglie un’abitazione nella Compagnia di S. Giglio (ASS, Patrimonio dei resti ecclesiastici, 2206, c. 29r), dove l’artista viene registrato nella Lira generale del 1491 (ASS, Lira, 97, c. 138v; Romagnoli, ante 1835, 1976, p. 34).
Morì a Siena il 7 novembre 1492 e fu seppellito nella chiesa di S. Domenico, nella tomba di famiglia che aveva fatto costruire nel 1466 per suo figlio Silvio e nella quale altri suoi familiari erano stati successivamente sepolti (BCS, ms. C.III.2, cc. 98r, 115r).
Nel necrologio di S. Domenico viene chiamato «Pellegrinus pictor Mariani Rossini», ragione per la quale gli studiosi moderni spesso gli hanno assegnato l’appellativo di ‘Rossini’. Il documento del 1455, scoperto di recente, rivela tuttavia come ‘Rossini’ fosse il soprannome di Jacopo, nonno di Pellegrino; non vi sono documenti che attestino che Pellegrino abbia utilizzato questo nome per se stesso.
Fonti e Bibl.: E. Romagnoli, Biografia cronologica de’ bellartisti senesi dal secolo XII a tutto il XVIII (ante 1835), V, rist. anast. Firenze 1976, pp. 27-34, 157 s.; G. Milanesi, Documenti per la storia dell’arte senese, II, Siena 1854, pp. 379-387 e passim; Id., Sulla storia dell’arte toscana: scritti vari, Siena 1873, pp. 74 s.; F.M. Perkins, Dipinti senesi sconosciuti o inediti, in Rassegna d’arte, XIV (1914), pp. 165-168; Id., Pitture senesi, Siena 1933, pp. 181 s. tav. 197; Id., Pitture senesi poco conosciute, in La Diana, VIII (1933), pp. 54 s.; J. Pope-Hennessy, Giovanni di Paolo, 1403-1483, London 1937, pp. 159 s.; P. Bacci, Un “San Bernardino” sconosciuto di Giovanni di Paolo, in Le arti, I (1938), pp. 554-559; J. Pope-Hennessy, Sassetta, London 1939, pp. 172, 211 s., 214; Id., The panel paintings of P. di M., in The Burlington Magazine, LXXIV (1939), pp. 213-218; C. Brandi, Giovanni di Paolo, Firenze 1947, pp. 103 s.; Id., Quattrocentisti senesi, Milano 1949, pp. 227 s. nota 109; B.B. Fredericksen, The cassone paintings of Francesco di Giorgio, Malibu 1969, p. 45 fig. 27; M.G. Ciardi Dupré, I corali del Duomo di Siena, Milano 1972, ad ind.; E. Carli, L’arte a Massa Marittima, Siena 1976, pp. 69 s.; D. Gallavotti Cavallero, Lo Spedale di Santa Maria della Scala in Siena, Pisa 1985, pp. 212-228 e passim; C. Alessi, P. di M., in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, II, Milano 1987, p. 730; C.B. Strehlke, P. di M., in Painting in Renaissance Siena, 1420-1500 (catal., 1988-1989), a cura di K. Christiansen - L.B. Kanter - C.B. Strehlke, New York 1988, pp. 243-248 (trad. it. La pittura senese nel Rinascimento, 1420-1500, Cinisello Balsamo 1989, pp. 257-262); G. Vailati Schoenburg Waldenburg, La libreria di coro di Lecceto, in Lecceto e gli eremi agostiniani in terra di Siena, Cinisello Balsamo 1990, pp. 399-401; G. Chelazzi Dini, Pittura senese dal 1250 al 1450, in G. Chelazzi Dini - A. Angelini - B. Sani, Pittura senese, Milano 1997, pp. 248 s.; G. Garosi, Inventario dei manoscritti della Biblioteca comunale di Siena, I, Siena 2002, pp. 14-16; M. Bollati, P. di M. Rossini, in Dizionario biografico dei miniatori italiani: secoli IX-XVI, a cura di M. Bollati, Milano 2004, pp. 856-859 (con bibl.); C. Martelli, I corali del duomo di Pienza, in Bollettino d’arte, s. 6, XCIII (2008), 143, pp. 27-48; D. Sallay, P. di M., Madonna col Bambino e i santi Caterina da Siena, Bernardino da Siena, Girolamo, Dorotea e due angeli, in Capolavori da collezioni italiane (catal. Pandolfini, 28 ottobre 2014), Firenze 2014, pp. 84-91 cat. 15; Santa Maria delle Nevi a Siena. La chiesa di Giovanni Cinughi, a cura di G. Fattorini, Monteriggioni 2014, pp. 29 s. nota 64, 31 s., 45; D. Sallay, Corpus of Sienese paintings in Hungary, 1420-1510, Firenze, in corso di stampa (con bibl.).