patrimonio ecclesiastico
Il p.e. è costituito dal complesso dei beni materiali, mobili o immobili che nel corso della storia sono pervenuti alla Chiesa di Roma. Se tra questi trova uno spazio privilegiato il Patrimonio di San Pietro, ovvero i beni fondiari destinati a costituire la base per lo sviluppo dello Stato della Chiesa, fanno parte del p.e. anche i beni fondiari esterni allo Stato, le offerte in natura e in denaro, prelevate e imposte. In tutta la storia del diritto canonico la natura di tali beni costituisce un tema centrale a partire da quando le comunità cristiane, dopo il riconoscimento della Chiesa da parte di Costantino, poterono, come i templi pagani, ricevere per testamento. Per favorire tale pratica le autorità pubbliche dell’Occidente emanarono privilegi in materia di successione, di testamenti, di legati, di esecutori testamentari e di prescrizioni che si consolidarono con l’estensione ai beni delle chiese delle norme relative all’inalienabilità delle res sacrae e religiosae dei romani, che erano sottratte alla normale circolazione. Nei regni romano-barbarici il p.e. fu ulteriormente incrementato grazie alla sistematizzazione delle donazioni in favore dell’anima e dei divieti delle permute dei beni ecclesiastici emanati per esempio da Liutprando e da Astolfo. Le frequenti donazioni di privati e di principi, congiunte a questi privilegi, contribuirono a fare degli enti ecclesiastici (chiese, monasteri, capitoli, ordini religiosi) i maggiori proprietari di beni immobili per larga parte del Medioevo. Con il consolidarsi di centri di potere laici a partire dal sec. 12° questi privilegi e questi acquisti cominciarono a essere contestati. Ne emerse un dibattito che si intensificò nei secc. 16° e 17° e che portò gli Stati a emanare norme che cercavano di privare le Chiese della proprietà di beni immobili non direttamente attinenti agli scopi del culto, anche al fine di reinserirli nella dinamica economica sulla base di nuove teorie che vedevano nella tesaurizzazione di beni un danno generale. Dopo che la Rivoluzione francese e i governi che seguirono ebbero incorporato i beni ecclesiastici, i governi restaurati si riservarono un controllo sugli acquisti degli enti ecclesiastici; ne soppressero alcuni, incorporandone i beni, sottoponendo quelli rimasti a speciali tassazioni.