Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini
Le Sezioni Unite intervengono sulla questione del diritto del nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini ritenendo che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 278/2013, ancorché il legislatore non abbia ancora introdotto la disciplina procedimentale attuativa, sussiste la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione. Secondo la Cassazione, l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini deve avvenire con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e dal principio affermato dalla Consulta, idonee ad assicurare la massima riservatezza e il più assoluto rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché persista il diniego della madre di svelare la propria identità.
Le Sezioni Unite (Cass., S.U., 25.1.2017, n. 19461) intervengono per risolvere la questione dell’assenza di una disciplina procedimentale attuativa del diritto del nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini, così come riconosciuto dalla pronuncia della Corte costituzionale 22.11.2013, n. 2782 . La Cassazione definisce le modalità procedimentali per garantire l’interesse delle parti, specificando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.
La decisione della Corte di legittimità scaturisce da un ricorso promosso dal procuratore generale, ai sensi dell’art. 363, co. 1, c.p.c. con cui era stata chiesta l’enunciazione, nell’interesse della legge, del principio di diritto3 al quale la Corte d’appello di Milano avrebbe dovuto attenersi nel decidere il reclamo proposto da un maggiorenne nato da parto anonimo. Quest’ultimo aveva chiesto al giudice di verificare, attraverso un interpello, la persistenza della volontà della madre di non essere nominata ma la Corte d’appello di Milano, rigettando il reclamo del figlio, aveva ritenuto necessario attendere l’intervento del legislatore per dare corso alla richiesta. L’esigenza di una pronuncia della Cassazione discende da un contrasto esistente nella giurisprudenza di merito in tema di parto anonimo e ricerca delle proprie origini da parte dell’adottato a seguito della pronuncia della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 278/2013 ha dichiarato illegittimo l’art. 28, co. 7, l. 4.5.1983, n. 184, nel testo modificato dall’art. 177, co. 2, d.lgs. 30.6.2003, n. 196, nella parte in cui non prevede ‒ attraverso un procedimento stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza ‒ la possibilità per il giudice di interpellare la madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, co. 1, d.P.R. 3.11.2000, n. 396, su richiesta del figlio, ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione. Ribaltando la decisione 25.11.2005, n. 4254, con cui era stata dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa alle medesime norme, la Consulta ha ritenuto che anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini ‒e ad accedere alla propria storia parentale ‒costituisca un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona, come riconosciuto in varie pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo5. Il bisogno di conoscenza rappresenta, dunque, uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale. In tale contesto, la disciplina che prescriveva l’irreversibilità del segreto è stata ritenuta censurabile per la sua eccessiva rigidità e come tale in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost. La Consulta ha tuttavia precisato che sarebbe stato compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto. L’inerzia del legislatore, nonostante diverse proposte all’esame delle camere6, ha indotto la giurisprudenza a interrogarsi sugli effetti della pronuncia e sulla sua immediata applicabilità.
Secondo un primo indirizzo7, in mancanza di una disciplina specifica, l’interpello della madre naturale, circa la persistenza della sua volontà di non essere nominata, non potrebbe avvenire con modalità direttamente individuate dal giudice, in quanto la Corte costituzionale ‒ con l’inciso, che compare nel dispositivo della pronuncia, «attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza» ‒avrebbe istituito una espressa riserva di legge per non vanificare la garanzia di segretezza sul parto riconosciuta dall’ordinamento. L’impossibilità di un’attuazione per via giudiziaria della sentenza della Corte costituzionale dipenderebbe dalla sua natura di pronuncia additiva di principio, con contestuale rinvio alla legge per la necessaria disciplina di dettaglio. L’intervento del giudice sarebbe in tal senso indebito e invasivo degli altri poteri dello Stato, in quanto volto a creare un procedimento non previsto dalla legge. Non sarebbe inoltre disciplinata l’ipotesi in cui vi sia l’indisponibilità, da parte della struttura che conserva i documenti, a comunicare le informazioni che consentano di risalire alla identità della madre. La disciplina del procedimento di interpello costituisce, secondo tale ricostruzione, il punto di equilibrio tra il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e quello della madre di mantenere l’anonimato. Ulteriori ostacoli, di natura processuale, discenderebbero dalla necessità di rendere compatibile il principio del contraddittorio, assicurato alle parti anche nei procedimenti in camera di consiglio, con quella di garantire la massima riservatezza di questo procedimento.
Altra parte della giurisprudenza8, facendo propri i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e per effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, ammette la possibilità di effettuare la richiesta alla madre anche in assenza di una disciplina specifica. Secondo questo orientamento, la norma dichiarata incostituzionale non potrebbe più essere applicata. Pur nell’inerzia del legislatore sulle modalità di interpello della madre biologica anonima, il giudice non potrebbe sottrarsi dal dare attuazione al diritto del figlio a conoscere la propria identità, nel rispetto del diritto all’anonimato della madre. Pertanto, al fine di conoscere la volontà della madre sulla scelta di mantenere o meno l’anonimato, si dovrebbe far ricorso alla disciplina generale di cui all’art. 28 l. n. 184/1983 e alla normativa in materia di procedimenti in camera di consiglio e di protezione dei dati personali.
La Cassazione ritiene che la pronuncia della Corte costituzionale, quale sentenza additiva di principio9, imponga al giudice di assicurare ai soggetti coinvolti l’esercizio dei propri diritti fondamentali anche nel periodo “transitorio” tra la sentenza della Consulta e l’intervento del legislatore. Se non lo facesse, impedendo al figlio di azionare l’interpello per verificare la permanenza del diniego a rendere nota l’identità della madre, il giudice finirebbe per applicare proprio la disciplina ritenuta incostituzionale. L’effettività dei diritti fondamentali coinvolti deve essere garantita attraverso il ricorso al procedimento di volontaria giurisdizione disciplinato dall’art. 2, co. 5 e 6, l. n. 184/1983, applicabile alla fattispecie con i necessari adattamenti allo scopo di garantire la riservatezza della madre. Si richiama, a tal fine, l’art. 93 d.lgs. n. 196/2003, che consente la comunicabilità delle informazioni “non identificative” ricavabili dal certificato di assistenza al parto o dalla cartella clinica, ancorandola all’osservanza delle opportune cautele per evitare che la madre sia identificabile, onde garantirne la riservatezza. Secondo la Cassazione, inoltre, il giudice dovrà tener conto anche del parametro contenuto nell’art. 28, co. 6, l. n. 184/1983, secondo cui l’accesso per l’adottato alle notizie sulla sua origine e l’identità dei genitori biologici deve avvenire con modalità tali da evitare «turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente». Tale indicazione è destinata a valere non solo per il figlio ma anche per la madre, imponendo che la ricerca e il contatto ai fini dell’interpello siano gestiti con la massima prudenza e il massimo rispetto, al fine di assicurare la libertà di autodeterminazione e la dignità della donna, tenendo conto della sua età, del suo stato di salute e della sua condizione personale e familiare. A sostegno di tale ricostruzione, la Corte richiama anche la necessità di tener conto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 CEDU per mancanza di bilanciamento tra gli interessi coinvolti. Sul piano del diritto vivente, inoltre, la sentenza, dopo aver esaminato alcuni dei protocolli seguiti dai tribunali per i minorenni che hanno ritenuto di consentire l’interpello della madre anche in assenza di una disciplina legislativa, dà atto di come l’applicazione diretta della pronuncia di incostituzionalità sia già intervenuta con due decisioni della I sezione civile della Corte, con cui è stato precisato che l’anonimato vale solo per la madre in vita e che, dopo la sua morte, il figlio adottato può conoscerne l’identità (Cass., 21.7.2016, n. 1502410; Cass., 9.11.2016, n. 2283811).
La sentenza delle Sezioni Unite è una decisione giusta, che ha di mira la tutela effettiva dei diritti fondamentali di tutti i soggetti coinvolti e che realizza un corretto bilanciamento tra interessi contrapposti. Per fare questo, la Corte non ha creato dal nulla delle regole per il caso concreto, come potrebbe fare il legislatore, ma, per non tradire gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale, finendo per applicare principi ritenuti incompatibili con l’ordinamento, ha adattato le norme vigenti in materia alla regola stabilita dalla Consulta. Ciò non a tempo indefinito ma nel periodo in cui perduri l’inerzia del legislatore. Non siamo quindi di fronte a un “giudice legislatore”12 ma a un giudice che adempie correttamente la funzione che gli è stata affidata dall’ordinamento, che è quella di tutelare i diritti, specie quelli fondamentali. Nella ricostruzione della disciplina applicabile, è interessante sottolineare come la Corte, dopo aver fatto riferimento al procedimento camerale di volontaria giurisdizione già previsto dalla disciplina vigente, integrato con la necessità di tutelare adeguatamente il diritto alla riservatezza della madre e la sua libertà di autodeterminazione, richiami la prassi emersa in alcuni tribunali per i minorenni al fine di dare concreta attuazione ai principi costituzionali. La pronuncia ripercorre così nel dettaglio le regole stabilite da alcuni protocolli e linee guida allo scopo di salvaguardare il delicato bilanciamento fra il diritto del nato a conoscere le proprie origini e quello della madre a mantenere il proprio anonimato. Resta sullo sfondo, in caso del decesso della madre, la questione della tutela dei suoi discendenti. Secondo Cass. n. 22838/2016, il trattamento delle informazioni relativo alle proprie origini deve essere eseguito in modo corretto e lecito senza cagionare danno anche non patrimoniale all’immagine, alla reputazione, e ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati, discendenti e/o familiari.
1 Cass., S.U., 25.1.2017, n. 1946, in Foro it., 2017, I, 477, con note di Amoroso, G., Pronunce additive di incostituzionalità e mancato intervento del legislatore, Lipari, N., Giudice legislatore, e Casaburi, G., Adozione e affidamento, madre biologica, dichiarazione di non voler essere nominata; in Guida dir., 2017, fasc. 8, 50, con nota di Finocchiaro, M., Se il diniego persiste il diritto dell’adottato non deve prevalere. Sul tema, oltre ai contributi citati nelle note successive, tra gli altri: Granelli, C., Il c.d. «parto anonimo» ed il diritto del figlio alla conoscenza delle proprie origini: un caso emblematico di «dialogo» fra corti, in personaemercato.it, 2017, fasc. 1; Ingenito, C., Il diritto del figlio alla conoscenza delle origini e il diritto della madre al parto anonimo alla luce della recente giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Giust. civ., 2013, 1608; Margaria, A., Parto anonimo e accesso alle origini: la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la legge italiana, in Minorigiustizia, 2013, 340; Palazzo, A., La filiazione, in Tratt. Cicu-Messineo-Schlesinger, Milano, 2013, 190; Carbone, V., Corte edu: conflitto tra il diritto della madre all’anonimato e il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, in Corr. giur., 2013, 940; Stefanelli, S., Parto anonimo e diritto a conoscere le proprie origini, in Dir. fam., 2010, 426; Bolondi, E., Il diritto della partoriente all’anonimato: l’ordinamento italiano nel contesto europeo, in Nuova giur. civ. comm., 2009, II, 283.
2 In Foro it., 2014, I, 4 con nota di Casaburi, G., Il parto anonimo dalla ruota degli esposti al diritto alla conoscenza delle origini; in Dir. fam., 2014, 13, con nota di Lisella, G., Volontà della madre biologica di non essere nominata nella dichiarazione di nascita e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini; in Fam. dir., 2014, 11, con nota di Carbone, V., Un passo avanti del diritto del figlio, abbandonato e adottato, di conoscere le sue origini rispetto all’anonimato materno. La questione di legittimità era stata sollevata da Trib. min. Catanzaro, 13.12.2012, in Fam. dir., 2013, 822, con nota di Gosso, P.G., Davvero incostituzionali le norme che tutelano il segreto del parto in anonimato?
3 Sui presupposti alla presenza dei quali l’art. 363 c.p.c. condiziona l’enunciazione del principio di diritto, Cass., S.U., 18.11.2016, n. 23469, in Foro it., 2016, I, 3753.
4 In Foro it. Rep., 2005, voce Adozione, n. 52.
5 C. eur. dir. uomo, 25.9.2012, Godelli c. Italia, in Foro it. Rep., 2013, voce Diritti politici e civili, n. 178 secondo cui vìola l’art. 8 CEDU la normativa italiana che, nel caso di donna che abbia scelto di partorire nell’anonimato, non dà alcuna possibilità al figlio adulto adottato da terzi di chiedere né l’accesso a informazioni non identificative sulle sue origini familiari né la verifica della persistenza della volontà della madre biologica di non voler essere identificata. È stato invece ritenuto compatibile con la Convenzione il sistema francese (C. eur. dir. uomo, 13.2.2003, O. c. Francia, in Foro it. Rep., 2004, voce Diritti politici e civili, n. 138) che: a) impedisce l’azione di ricerca della maternità naturale quando la madre biologica si sia valsa della normativa che le consente di richiedere l’anonimato; b) ammette la possibilità di accesso ai dati non identificativi sulla madre e sulla famiglia biologica, nel rispetto dei diritti dei terzi; c) consente, in casi eccezionali e con una particolare procedura amministrativa, di far cadere il segreto sull’identità della madre, sotto riserva del consenso di quest’ultima.
6 Carratta, A., Effettività del diritto alla ricerca della madre biologica e inerzia del legislatore, in Fam. dir., 2015, 830.
7 Trib. Milano, 14.10.2015, in Fam. dir., 2016, 476; Trib. min. Bologna, 9.7.2015; Trib. min. Brescia, 30.6.2015; Trib. min. Catania, 26.3.2015; Trib. min. Salerno, 28.5.2015; App. Milano, 10.3.2015; Trib. min. Catania, 15.9.2014, inedita.
8 App. Catania, 14.10.2015, in Foro it., 2016, I, 930; App. Catania, 5.12.2014, ivi, 2015, I, 697; Trib. min. Trieste, 5.3.2015, in Fam. dir., 2015, 830; App. Torino, 5.11.2014, inedita; Trib. min. Firenze, 7.5.2014, in Foro it. Rep., 2014, voce Adozione, n. 66; App. Venezia, 21.3.2014, inedita; App. Torino 5.11.2014, in Pluris; Trib. min. Firenze, 7.5.2014, in Fam. dir., 2014, 1003.
9 Cfr. C. cost., 15.3.1996, n. 74, in Foro it., 1996, I, 2657; C. cost., 26.6.1991, n. 295, in Foro it., 1992, I, 323.
10 In Foro it., 2016, I, 3114.
11 In Foro it., 2016, I, 3784.
12 Lipari, N., Giudice legislatore, cit.