PARTECIPAZIONI STATALI
(App. III, II, p. 368; IV, II, p. 738)
Durante il periodo 1978-93 il sistema delle p.s., cioè di quelle imprese organizzate in forma di società di diritto privato, di cui lo stato detiene, attraverso enti di gestione (IRI, ENI, Ente Cinema, e, fino alla loro liquidazione, EGAM ed EFIM), la maggioranza del capitale o comunque una quota che ne assicuri il controllo, ha attraversato varie fasi di profondo travaglio, che hanno in ultimo dato luogo a modifiche nella configurazione organizzativa e nell'inquadramento giuridico tali da porre in questione la stessa specifica natura del sistema.
Durante gli anni Settanta il comportamento delle imprese a p.s. si discosta decisamente dal paradigma immaginato da P. Saraceno (1975), secondo cui esse, operando in piena autonomia dal potere politico, avrebbero privilegiato il fine dell'economicità della gestione, essendo coperti gli eventuali ''oneri impropri'', derivanti dal perseguimento di finalità extra-economiche, dai trasferimenti in conto capitale da parte dello stato, sotto forma di fondi di dotazione. Invece, nel corso degli anni Settanta il sistema viene sottoposto a un crescente controllo da parte di organismi di carattere politico-amministrativo, con il risultato di ridurne l'autonomia. Già nel 1967 l'attribuzione al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) del compito di emanare direttive e di approvare i programmi degli enti di gestione aveva dato luogo a un doppio livello di controllo, trovandosi già questi ultimi a dover rispondere anche al ministero delle Partecipazioni statali, nonché a inevitabili confusioni circa le funzioni dei due organi governativi. Nel 1977 la l. n. 675, che attribuiva una competenza in materia anche al Comitato Interministeriale per la Politica Industriale (CIPI), dava luogo a un ulteriore organo di controllo, di natura parlamentare, la Commissione bicamerale sulle partecipazioni statali, destinataria di vasti poteri conoscitivi per quanto riguarda non solo lo stato dei programmi predisposti dai singoli enti di gestione, ma anche la gestione delle singole società operative. Il moltiplicarsi dei referenti politici inevitabilmente conduce a una sempre maggiore amministrativizzazione della gestione e a una riduzione dell'autonomia delle imprese (Merusi, Iaria 1990). Attraverso livelli multipli di controllo le ragioni del ''socio occulto'', cioè il potere politico, tendono a prevalere sulle esigenze economiche di gestione. Esse non si concretizzano, però, al di là delle dichiarazioni, in un insieme coerente di obiettivi (Marzovilla 1992). Al contrario, l'intervento delle imprese a p.s. è guidato quasi esclusivamente da considerazioni contingenti e si risolve, generalmente, nel mantenimento di attività senza più prospettive, nell'acquisizione di imprese private in crisi, e nel coinvolgimento in progetti spesso di grande dimensione e impegno privi di adeguate prospettive di redditività. Gli impegni del sistema si estendono così senza seguire criteri economico-strategici; alla fine del decennio ciò finisce per ripercuotersi con estrema pesantezza sui risultati aziendali: le imprese subiscono pesanti perdite, che si riflettono sui risultati degli enti di gestione, mentre gli investimenti registrano una netta contrazione.
Agli inizi degli anni Ottanta questi risultati danno luogo a un ripensamento circa il ruolo e l'orientamento del sistema e i suoi rapporti con il potere politico. Già nel 1976 la Commissione Chiarelli aveva indicato la necessità che il sistema delle p.s. tornasse al rispetto del criterio dell'economicità, e che le decisioni di salvataggio di imprese, di carattere eccezionale, dovessero essere incorporate in atti normativi specifici. Nel Rapporto sulle partecipazioni statali, predisposto dal ministero delle Partecipazioni statali nel 1981, si richiama l'esigenza del ritorno delle imprese a condizioni di economicità, imponendo alle società operative e agli enti di gestione di remunerare i fondi di dotazione ottenuti dallo stato, e quindi rifiutando l'idea che essi siano destinati a coprire ''oneri impropri'' sopportati dalle imprese. Viene altresì auspicata l'introduzione di un maggior controllo sul perseguimento degli obiettivi di redditività. Dal punto di vista operativo si auspica la focalizzazione dell'attività nei settori prioritari e si propone, per la prima volta in sede programmatica, la possibilità di uscita da settori non ritenuti d'interesse prioritario. La contemporanea Commissione ministeriale Amato (1981), affrontando il tema delle strutture di governo del sistema, propone un allentamento del controllo ministeriale sugli aspetti gestionali e la concentrazione dell'attività d'indirizzo politico sull'indicazione degli obiettivi e sul controllo dei risultati: peraltro, si prevede che gli enti possano disegnare i propri piani discostandosi dagli obiettivi politici, qualora questi siano incompatibili con la redditività aziendale.
A questi orientamenti fanno seguito indirizzi concreti di risanamento, che prendono corpo in una sostanziale ricapitalizzazione degli enti per rinsaldarne la struttura finanziaria, e nel cambiamento dell'alta dirigenza: il processo, già in atto all'inizio del decennio, riceve la sua piena attuazione nel 1982 con la nomina ai vertici dell'IRI e dell'ENI di R. Prodi e F. Reviglio. L'indirizzo da questi enunciato, soprattutto dal primo, è quello di concentrare l'attività del sistema nei grandi settori infrastrutturali e ad ''alta tecnologia'' (IRI: 1986). Viene quindi accelerato il risanamento gestionale, attraverso ampi processi di ristrutturazione, aggiornamento tecnologico ed eliminazione di aree di perdita, in particolare nei settori siderurgico, meccanico, cantieristico e chimico, che conducono alla chiusura di impianti, a una razionalizzazione delle produzioni e a interventi miranti a elevare la produttività attraverso sia una riduzione della manodopera che un aumento e una migliore valorizzazione della produzione. Nel settore dei servizi, l'abbandono da parte del governo, agli inizi degli anni Ottanta, della politica tariffaria penalizzante per le imprese perseguita negli anni Settanta, consente una ripresa della redditività (CEEP 1986).
Come risultato del miglioramento della gestione e della più solida situazione finanziaria, i risultati economici delle imprese e degli enti di gestione iniziano a migliorare a partire dal 1983 e, grazie anche al favorevole andamento della congiuntura economica, continuano a migliorare per tutto il decennio; nel 1981 l'ENI registra nuovamente un utile, mentre nel 1988 l'IRI registra, dopo oltre 10 anni, un utile complessivo per l'insieme delle attività industriali. Nel quadro del risanamento gestionale e finanziario del sistema si pongono i tentativi di allargamento della presenza privata nell'azionariato delle imprese e, in alcuni casi, di cessione del controllo. Nel 1982 l'ENI cede la partecipazione di controllo nella Montedison, acquisita alla fine degli anni Sessanta: peraltro tale partecipazione non aveva mai condotto all'inclusione della società chimica nel sistema delle p.s., avendo essa continuato ad aderire alla Confindustria. A partire dal 1983, al fine di acquisire risorse finanziarie, vengono quotate in borsa numerose imprese facenti capo agli enti di gestione (Nuovo Pignone, SIRTI, Credito Fondiario, Selenia, ecc.) che continuano a detenerne il controllo, mentre la quota detenuta dagli enti di gestione nelle principali imprese (SIP, STET, Italcable, Banche d'interesse nazionale, Italgas, ecc.) diminuisce a volte fino al 50% del capitale.
In particolare da parte della dirigenza dell'IRI viene incoraggiata la cessione a privati del controllo di imprese non ritenute d'interesse centrale per la ''missione'' dell'ente di gestione. Tuttavia, tale disegno incontra forti resistenze e i progetti di privatizzazione non assumeranno mai, fino a tempi recentissimi, il carattere di strumenti centrali di riassetto del sistema delle imprese pubbliche, come invece avviene in quasi tutte le economie industriali (Pera 1989). Il tentativo di vendere l'azienda agricola Maccarese viene avversato dai dipendenti e dalle organizzazioni sindacali, e la vendita viene annullata in sede giudiziaria. Il caso che ha maggiori conseguenze è tuttavia la tentata vendita della SME, la finanziaria alimentare del gruppo. Nel 1986, un accordo preliminare con un gruppo privato per la vendita della finanziaria alimentare, pur autorizzato dal ministro delle Partecipazioni statali, viene contestato da alcuni membri del governo, che sostengono che la cessione della finanziaria non figurava nei programmi dell'ente approvati dal CIPI. L'accordo preliminare viene revocato. Successivamente, il CIPI autorizza l'IRI a cedere la SME, ma richiede che sia aperta una formale gara; di fatto la cessione è bloccata.
L'esito dell'operazione SME ripropone la questione dell'autonomia della dirigenza degli enti rispetto al potere politico e della relazione tra i diversi livelli del sistema di governo delle imprese pubbliche. La Commissione ministeriale sugli smobilizzi e acquisizioni (1986), appositamente costituita, chiarisce che all'organismo interministeriale spetta un compito d'indirizzo generale, attraverso l'approvazione dei programmi e di eventuali modifiche (quale la vendita della SME) proposti dagli enti. Al ministro spetta il controllo sulla modalità di attuazione dei programmi approvati. Di fatto, però, i rapporti tra i diversi livelli sono tutt'altro che limpidi, e in questo contesto si verifica una ripresa dell'iniziativa degli organi politici nell'impostazione delle politiche delle p. statali. Infatti, i successivi casi di privatizzazione di qualche rilievo, la cessione dell'Alfa Romeo (1987), la riorganizzazione del patto di sindacato di Mediobanca con la riduzione del 25% della quota delle banche IRI nel capitale dell'istituto di credito, e la vendita del Banco di Roma alla Cassa di Risparmio di Roma, vengono realizzati solo dopo aver ottenuto l'anticipato consenso delle parti politiche rappresentate negli organismi di vigilanza.
Emerge in queste occasioni la sostanziale ostilità delle forze politiche, al governo e fuori, verso la cessione di attività di proprietà pubblica. Alla sua radice appare essere un diffuso scetticismo circa il funzionamento del sistema di mercato basato su operatori privati e indipendenti; ciò genera riluttanza a privare l'amministrazione di uno strumento che si ritiene possa validamente influenzare gli esiti del mercato. Inoltre non appare del tutto abbandonata la convinzione che, nonostante gli elevati costi economici, non tutte le finalità generali attribuite in passato al sistema debbano essere abbandonate, almeno in assenza di altri strumenti per farvi fronte. Infine, è diffusa nell'ambiente politico la percezione della strumentalità del sistema delle imprese pubbliche alla formazione del consenso nei confronti del sistema politico-partitico esistente. Questa attitudine emerge con grande chiarezza quando, nel 1988, si discute sul riassetto della chimica pubblica, attraverso la costituzione di una società comune tra pubblico e privati, con conferimento degli impianti chimici dell'ENI e della Montedison nella società ENIMONT: la non prevalenza del socio privato nella gestione della società diventa infatti condizione per l'accordo. Quando questo acquisisce comunque il controllo attraverso operazioni sul mercato borsistico, il governo propone (1990) una soluzione da cui scaturisce la pubblicizzazione della società a un prezzo già allora giudicato esorbitante, attraverso procedure che sono successivamente state al centro di una clamorosa vicenda giudiziaria.
Il miglioramento della situazione contabile e quello apparente nella gestione delle principali imprese industriali conducono alla fine degli anni Ottanta a una riduzione della tensione per la razionalizzazione e il cambiamento. Di fatto, a parte il caso ENIMONT, sul finire del decennio l'industria pubblica registra fenomeni di espansione, anche come risultato di acquisizioni di imprese private, in particolare nel settore siderurgico e in quello metalmeccanico. Sullo scorcio degli anni Ottanta, in concomitanza con l'ampliarsi dell'influenza degli organi politici nel processo decisionale del ''sistema'', tende ad ampliarsi anche l'influenza diretta dei partiti; il rinnovo dei consigli di amministrazione degli enti di gestione porta alla nomina di personalità progressivamente sempre più legate ai partiti. Nel 1989, quando scade il secondo mandato di Prodi e Reviglio, essi vengono sostituiti da persone fortemente caratterizzate dal punto di vista politico.
Il peggioramento della congiuntura internazionale a partire dal 1990 mostra tuttavia che il miglioramento dei risultati economici non era fondato su solide basi: non solo entrano in crisi la maggioranza dei settori industriali ma la crisi si estende al settore impiantistico e a molti settori dei servizi, quali i trasporti aerei. In soli due anni i conti economici delle imprese a p.s. ritornano a registrare ingenti perdite, mentre la situazione debitoria appare nuovamente precipitare. Particolarmente critica appare la situazione dell'EFIM che, oltre a registrare risultati di gestione altamente negativi, si trova in una pesantissima situazione debitoria. Vari fattori impediscono però che, come alla fine del decennio precedente, s'intraprenda un processo di risanamento e rilancio. In primo luogo, la situazione critica complessiva della finanza pubblica che non consente di pensare ad aiuti o trasferimenti del tipo di quelli che avevano consentito il risanamento finanziario nei primi anni Ottanta. In secondo luogo, sia le azioni di sostegno sia le stesse prospettive di sviluppo del sistema appaiono condizionate dal contesto istituzionale gradualmente venuto a crearsi in seguito all'accelerazione del processo d'integrazione europea all'inizio degli anni Novanta. La Commissione e la Corte di Giustizia CEE vedono infatti con crescente diffidenza le imprese pubbliche, in quanto facili destinatarie di aiuti di stato, e tendono ad applicare più severamente la normativa sugli aiuti contenuta nell'art. 92 del Trattato di Roma nei confronti dei trasferimenti a loro favore. Ciò impedisce azioni di sostegno alle imprese non autorizzate dalla Commissione, e questo porta spesso alla liquidazione, al ridimensionamento, o alla privatizzazione delle imprese. In terzo luogo, la progressiva integrazione del mercato comunitario anche nei settori fino allora esclusi, attraverso l'armonizzazione delle normative, l'eliminazione degli ostacoli al libero stabilimento delle imprese, e la progressiva liberalizzazione dei settori protetti o in regime di riserva, modifica il contesto di mercato in cui operano molte imprese a p.s., soprattutto nel campo dei servizi pubblici e della gestione delle infrastrutture. L'esposizione alla concorrenza internazionale, attuale o potenziale (futura), limita ulteriormente i margini di discrezionalità per un intervento. Infine, il sistema delle imprese a p.s. viene coinvolto da parte dell'opinione pubblica nel clima di generale ostilità verso l'esistente sistema politico-partitico: in questo quadro si ripropone, in termini più radicali, la questione dell'autonomia e dello stesso assetto del sistema. In particolare, viene messo in questione il ruolo del ministero delle Partecipazioni statali, quale cinghia di trasmissione tra potere politico e imprese: già nel 1986, un'indagine conoscitiva condotta dalla Commissione industria del Senato ne aveva proposto la soppressione, con il trasferimento delle funzioni al ministero dell'Industria. La proposta è ripresa con successo dai promotori dei referendum nel 1991. In questo contesto, i governi che devono affrontare il problema della crisi delle p.s. sono costretti a riconsiderare la questione del ridimensionamento del sistema e della privatizzazione, che è affrontata, sulla spinta degli eventi, con una serie di provvedimenti normativi che, tra il 1991 e il 1993, hanno completamente modificato l'originaria struttura del ''sistema''.
Un primo tentativo in questa direzione è rappresentato, nel dicembre 1991, dal D.L. n. 386 che introduce la possibilità che gli enti di gestione e gli altri enti pubblici economici possano essere trasformati in società per azioni, e il loro capitale collocato, in tutto o in parte, sul mercato. Il decreto viene variamente interpretato: indubbiamente esso trova ispirazione nella speranza di utilizzare i proventi dei collocamenti per il finanziamento del disavanzo pubblico; rappresenta forse un tentativo di risolvere il problema finanziario delle imprese pubbliche attraverso adeguamenti contabili, che consentano di riflettere il (presunto) maggior valore economico dei cespiti; ha tuttavia anche l'ambizione di creare, attraverso l'assoggettamento alla disciplina privatistica, una maggiore autonomia del sistema rispetto al potere politico.
Il decreto non affronta il problema centrale di una razionalizzazione e riduzione della presenza delle imprese pubbliche nell'economia: tuttavia queste questioni si pongono in tutta la loro urgenza dopo le elezioni del 5 aprile 1992 e la costituzione del governo Amato, nel quale, significativamente, per la prima volta il ministro dell'Industria assume anche le funzioni di ministro delle Partecipazioni statali. Il 16 luglio l'EFIM, il più piccolo degli enti di gestione, gravato da oltre 4000 miliardi di debiti, valore pari al fatturato consolidato, viene posto in liquidazione; il provvedimento non è senza conseguenze anche per gli altri gruppi pubblici, poiché acuisce la preoccupazione, specie tra i creditori esteri, per le loro pessime condizioni economiche, rendendone così più precaria la situazione finanziaria.
Appare quindi urgente intraprendere misure di riordino: il D.L. 333 del luglio 1993, stabilisce la trasformazione in società per azioni dei residui enti di gestione, IRI ed ENI, nonché dell'INA e dell'ENEL, e dispone che il ministro del Tesoro predisponga entro tre mesi un programma di riordino delle p.s. che potrà comprendere cessioni di attività e di aziende e rami di aziende. Il programma, esaminato dalle Commissioni parlamentari e approvato dal CIPE, viene varato dal governo il 30 dicembre 1992. In esso, pur con alcune ambiguità, è comunque affrontato per la prima volta in modo complessivo l'insieme dei problemi posti da un piano di ridimensionamento delle p. statali. In particolare, è prevista la cessione, non solo parziale, delle partecipazioni dirette e indirette del Tesoro nelle imprese. Vengono precisate le procedure, volte ad assicurare trasparenza nella valutazione e nel collocamento, da seguire nelle vendite; sono infine suggerite modalità di diffusione dell'azionariato, in particolare per le società di servizi. Il programma predisposto dal ministro del Tesoro è accompagnato da un documento più esplicito preparato dall'amministrazione del ministero (il Libro Verde sulle partecipazioni statali) − in cui si tracciano le linee di un sostanziale ridimensionamento del sistema delle imprese a p.s., ponendo in particolare l'accento sull'opportunità dell'uscita dello stato dal settore dei servizi pubblici, anche attraverso l'apertura del mercato alla concorrenza. Accolto con grande scetticismo, specialmente nella discussione del programma da parte delle Commissioni parlamentari, il documento diviene invece progressivamente il riferimento della politica governativa, via via che il clima politico cambia.
Il governo di C.A. Ciampi, che subentra al governo di G. Amato dopo i referendum del marzo 1993, fa delle privatizzazioni non solo delle p.s., ma del sistema delle imprese pubbliche, uno dei punti centrali del proprio programma. Viene subito chiarito che le privatizzazioni devono essere perseguite non allo scopo di finanziare il bilancio o per raccogliere fondi al fine del risanamento del sistema delle imprese a p.s., ma perché rappresentano uno strumento essenziale di ammodernamento del sistema industriale e della sua apertura alla concorrenza. Alcuni atti segnano la volontà del governo di procedere celermente: nel maggio 1993 Prodi viene nominato, quattro anni dopo la sua uscita dall'Istituto, presidente dell'IRI, e gli è affidato esplicitamente l'incarico di perseguire la privatizzazione delle imprese del gruppo. La raccomandazione è formalizzata in una direttiva del presidente del Consiglio dei ministri che decreta l'accelerazione delle procedure di vendita delle principali imprese pubbliche: ENEL, INA, STET, AGIP, le banche d'interesse nazionale partecipate dall'IRI (Credito Italiano e Banca Commerciale) e l'IMI, e crea un Comitato per le privatizzazioni, composto dal direttore generale del Tesoro e da altri esperti, al fine di agevolare e rendere più trasparente il processo. Infine, nel giugno 1993 viene abolito il ministero delle Partecipazioni statali: non si tratta solo dell'adempimento dei risultati del relativo referendum, ma di un'indicazione politica. Viene così posta fine alla storica ''separatezza'' tra sistema delle imprese a p.s. e imprese private: le prime non godono più di un regime particolare di funzionamento. Come conseguenza, viene meno l'esigenza di una loro rappresentanza separata da quella delle imprese private: le organizzazioni delle imprese a p.s. confluiscono quindi nella Confindustria.
Con sentenza del 28 dicembre 1993 la Corte costituzionale dichiara che spetta alla Corte dei conti esercitare, nei confronti delle società per azioni costituite a seguito della trasformazione dell'IRI, dell'ENI, dell'INA e dell'ENEL, il potere di controllo di cui alla legge 259/1958, fino a quando permanga una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello stato al capitale azionario di tali società. Ciò nonostante, il quadro istituzionale risultante dai provvedimenti normativi e del governo è profondamente innovativo e tale da far venire meno le caratteristiche salienti che avevano differenziato il sistema delle imprese a p.s. sia dagli altri enti pubblici economici, sia dal sistema delle imprese private. Tali elementi consistevano, infatti, nella forma societaria (che distingueva le imprese a p.s., in quanto richiedeva ai dirigenti di perseguire in autonomia le finalità di imprese che avevano uno specifico interesse pubblico), nel controllo da parte di un organismo politico come il ministero delle Partecipazioni statali (nonché degli altri organi interministeriali e parlamentari) e nel contributo pubblico attraverso i fondi di dotazione (che implicavano le possibili finalizzazioni dell'azione delle imprese a obiettivi di carattere pubblico). Con la trasformazione degli altri enti pubblici economici in società per azioni, la finalità dell'equilibrio gestionale, in vista tra l'altro di una prossima privatizzazione, viene imposta anche a essi come alle imprese a p.s.; d'altronde, la scomparsa del ministero delle Partecipazioni statali fa venir meno lo strumento esplicito per l'indirizzo politico del sistema il quale, almeno negli intenti, dovrà sottoporsi in toto alle regole dei mercati dei beni e finanziari.
In queste condizioni, è dubbio che si possa ancora far riferimento alle imprese a ''partecipazione statale'', distinguendole dal più generale insieme delle imprese al cui capitale partecipa direttamente o indirettamente lo stato. Caratteristico di quello che veniva chiamato il ''sistema'' delle p.s., resta quindi solo l'aspetto organizzativo, basato su diversi livelli di controllo, con società operative, finanziarie di settore e società capogruppo. Peraltro, anche questo schema è soggetto a modificazioni, nella misura in cui vengono effettivamente perseguiti gli orientamenti governativi in materia di privatizzazioni.
Nel nuovo contesto acquisisce particolare rilievo la raccomandazione di Saraceno (1982) che "in un Paese a economia di mercato è il non smobilizzo che deve essere politicamente giustificato, non lo smobilizzo". Infatti, una volta che l'interesse pubblico non compaia più tra le finalità imposte all'impresa, cade ogni giustificazione per la proprietà pubblica, la quale anzi può divenire un limite per la gestione, in quanto non consente sufficiente flessibilità, o può dar luogo ad alterazione nelle condizioni concorrenziali del mercato, in quanto l'impresa pubblica gode di condizioni particolarmente favorevoli, per es. nella gestione del rischio finanziario, e quindi del costo del denaro. Di fatto, il processo di privatizzazione, già iniziato durante il governo Amato con la cessione di imprese nel contesto di programmi di razionalizzazione dell'attività, ha avuto nel 1993 e nei primi mesi del 1994 una notevole accelerazione. Oltre all'eliminazione di imprese anche di notevole dimensioni, tra le quali le attività manifatturiere facenti capo al gruppo SME e la SIV, importante società vetraria, è stato intrapreso alla fine del 1993 il processo di collocamento in borsa di partecipazioni di controllo di imprese pubbliche, dapprima con la cessione della quota di controllo del Credito Italiano in mano all'IRI, e quindi, nel marzo 1994, con la cessione della quota di controllo della Banca Commerciale. Il successo delle operazioni, a cui si è anche accompagnata la vendita di un'importante partecipazione dello stato nell'IMI, ha condotto alla fissazione di un calendario che prevede a scadenze rapide la privatizzazione di altre grandi imprese a controllo pubblico. Alla fine di giugno 1994 si è proceduto infatti alla privatizzazione dell'INA che ha messo sul mercato il 51% del suo capitale.
Bibl.: P. Saraceno, Il sistema delle imprese a partecipazione statale nell'economia italiana, Milano 1975; AA.VV., Rapporto sulle partecipazioni statali, ivi 1981; Relazione finale. Commissione di studio per il riordinamento delle strutture e delle funzioni del Ministero delle partecipazioni statali e per la revisione degli statuti degli enti di gestione, a cura di G. Amato, in Giur. comm. (1981), pp. 634 ss.; P. Saraceno, Partecipazioni statali, in Enciclopedia del diritto, 32, Milano 1982; CEEP, Risanamento delle partecipazioni statali, ivi 1986; IRI, Direzione Studi e Strategie, Andamenti e prospettive di gruppo, Roma 1986; Ministero delle Partecipazioni Statali, Commissione di studio per gli smobilizzi e le acquisizioni di imprese a partecipazione statale. Relazione finale, in Civiltà post-industriale, 10-11 (1986); Id., Schema di documento conclusivo dell'indagine sulle partecipazioni statali, V Commissione permanente del Senato, Roma 1986; A. Pera, Privatization and deregulation in an economy-wide context, in OECD Economic Studies, ottobre 1989; F. Merusi, D. Iaria, Partecipazioni pubbliche, in Enciclopedia Giuridica, Roma 1990; O. Marzovilla, Gli obiettivi delle partecipazioni statali: concretizzazione e compatibilità, in Crisi e ristrutturazione delle imprese a partecipazione statale, a cura di A. Marzano, Milano 1992; Ministero del Tesoro, Libro verde sulla dismissione delle partecipazioni dello Stato, Roma 1992; AA.VV., I nodi da sciogliere nel processo di privatizzazione delle imprese a partecipazione statale, in Economia e politica industriale, 78 (1993).