GIOVANNI II, papa
Il suo nome di battesimo era Mercurio; poco si sa della sua nascita e dei suoi primi anni di vita, se non che era romano, e che suo padre si chiamava Proietto. La breve, scarna biografia di G. contenuta nel Liber pontificalis non offre, in sostanza, altre informazioni sul suo conto, limitandosi a fornire laconici riferimenti cronologici, accennando genericamente a doni avuti dall'imperatore d'Oriente e all'ordinazione avvenuta per sua cura di diversi preti e vescovi. Il Duchesne, in base ai dati raccolti analizzando alcune epigrafi conservate nella chiesa romana di S. Pietro in Vincoli, ha potuto stabilire con certezza che Mercurio era presbitero del titolo di S. Clemente. Sono note altre iscrizioni del VI secolo presso la basilica di S. Clemente, che si è accertato essere stata da lui abbellita e dotata. Meno nota alla storiografia è la probabile presenza di Mercurio alla seconda sessione del sinodo riunito da papa Bonifacio II a Roma "in consist. b. Andreae ap." il 9 dic. 531 per discutere ulteriormente circa la scomunica fulminata da Epifanio di Costantinopoli contro Stefano vescovo di Larissa.
Chiamato a succedere a Bonifacio II, Mercurio - mutando per la prima volta nella storia del Papato il suo nome di battesimo all'atto dell'elezione - divenne papa il 2 genn. 533, oltre due mesi dopo la morte del suo predecessore (ottobre 532), in un clima reso incandescente dai polemici dubbi degli antisimoniaci sulla sua elezione. E proprio contro la simonia pare sia stato uno dei primi atti di G. (una sua lettera dal contenuto teologico, indirizzata a un Valerio vescovo, è forse databile al 5 ag. 533, ma la collocazione cronologica è incerta): una missiva inviatagli dal re goto Atalarico e databile probabilmente alla fine del 533 è da taluni interpretata come l'esito di non documentabili pressioni papali sul sovrano goto. Cassiodoro, in una sua lettera del 533, anno in cui pervenne alla carica di prefetto del pretorio, devotamente auspica ottimi rapporti con Giovanni.
Ormai da alcuni anni, tuttavia, i rapporti del Papato con la monarchia ostrogota si erano gravemente inaspriti. Nel Liber pontificalis, proprio a partire dalla biografia di G., i riferimenti ai sovrani goti si riducono a freddi se non ostili cenni, fino a scomparire del tutto nella datazione delle successive vitae. Diversamente, i rapporti con la corte d'Oriente appaiono improntati alla collaborazione: ne è una testimonianza la missiva giustinianea a G. del marzo 534 (Jaffé - Wattenbach, n. 884; marzo 533 secondo Migne, LXVI, coll. 14-17) dalla quale sappiamo delle continue, complesse discussioni cristologiche allora in atto tra Roma e Costantinopoli. Giustiniano chiedeva a G. di confermare la sua condanna degli acemeti orientati allora, in aperta polemica con il credo ortodosso, verso posizioni dogmatiche nestoriane da tempo ritenute illecite. G. non mancò, in seguito, di rispondere all'imperatore lodandolo, tra l'altro, per il suo impegno antimonofisita.
Le ottime relazioni intercorrenti tra G. e la corte d'Oriente sono note grazie anche alla novella 9 del Codex giustinianeo, il cui contenuto appare decisamente encomiastico e deferente verso la Sede apostolica romana. È ancora del 534 la lettera di G. ad senatores, dove si ribadisce il credo della duplice natura, divina e umana, del Cristo, e si giustifica la condanna degli acemeti. L'impegno dogmatico di G. si valse, forse, dell'aiuto di Dionigi il Piccolo, per giungere a una soluzione della delicata questione teopaschita. Lo zelo pastorale di G. - che sarà ricordato con ammirazione, anni dopo, da papa Pelagio I tra il 555 e il 556 (Epistolae Arelatenses, n. 56, p. 83) - si esplicò anche in ambito occidentale, nei confronti dei vescovi della Gallia merovingia: con la lettera del 7 apr. 534 condannava le malefatte del vescovo Contumelioso, nel frattempo relegato in un monastero, che faceva seguito a quella del 6 aprile, ai preti e ai diaconi della diocesi Reiensis sottoposta al vescovo imprigionato, ai quali annunciava l'arrivo di Cesario di Arles in qualità di visitatore apostolico, incarico per il quale ci resta anche la lettera di nomina inviata da G., sempre dell'aprile 534.
Nella primavera del 535 (quando ormai l'ultimo re vandalo, Gelimero, era stato sconfitto dalle truppe bizantine di Belisario) i vescovi dell'Africa, riuniti in concilio a Cartagine, inviarono una lettera a G. chiedendo delucidazioni sul comportamento da tenere nei confronti dei vescovi ariani, ma G. morì ai primi di maggio del 535, quasi sicuramente l'8 (ma secondo alcuni potrebbe trattarsi del 18 o del 27), prima di poter dissipare i dubbi del clero africano. Venne sepolto a Roma, nella basilica di S. Pietro e ci è noto l'epitaffio che lo ricordava (Liber pontificalis, ed. Duchesne, p. 285; Inscriptiones christianae). Gli successe papa Agapito I.
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