RANIERI, Paolo
RANIERI, Paolo (Paolino). – Nacque a Sarzana il 5 settembre 1912. Il padre, manovale, morì che lui non aveva ancora due anni e la madre tornò ad abitare presso i genitori. Il nonno era socio fondatore della Società di mutuo soccorso e si può quindi presumere che fosse di orientamento socialista. Ranieri ricorda che da piccolo amava ascoltare il nonno che cantava brani operistici che «avevano spesso un significato di carattere sociale».
Ancora bambino, nel luglio del 1921, assisté ai ‘fatti di Sarzana’: una spedizione punitiva fascista si scontrò con i carabinieri, i quali uccisero alcuni squadristi. I superstiti fuggirono poi disperdendosi nelle campagne, e altri fascisti furono uccisi a furor di popolo dai contadini e dagli Arditi del popolo. Si tratta di un evento insolito, che fece di Sarzana uno dei rari luoghi dove lo squadrismo fascista era stato sconfitto duramente sul campo.
Dopo le scuole elementari la madre cercò per lui un lavoro adatto alla sua costituzione «piuttosto delicata» e decise di mandarlo presso uno zio che, tornato dalla Francia, aveva aperto un salone da barbiere. A undici anni, quindi, iniziò a lavorare «in questo negozio, dove – magari perché lo zio era venuto dalla Francia – sentivo fare dei discorsi che erano un po’ contrari al fascismo». Ranieri esercitò la professione di barbiere per venti anni, diventando il proprietario della più conosciuta e moderna barberia di Sarzana.
Partendo da un background socialista/anarchico (da ragazzo ricorda di aver cantato di nascosto canti anarchici e di solidarietà con i mezzadri) provò una crescente avversione per il comportamento arrogante e aggressivo dei fascisti che bastonavano e somministravano l’olio di ricino a suoi conoscenti e cacciavano dagli impieghi pubblici chi si rifiutava di prendere la tessera. In un primo tempo fu membro dell’Azione cattolica perché, per alcuni anni, si trattava dell’unica associazione non fascista ancora legale; raccontò poi che continuò a portare il distintivo dell’associazione anche dopo il suo scioglimento e che, quando i fascisti glielo strapparono dal vestito, si chinò a raccoglierlo in segno di sfida. Nel 1932 si iscrisse al Partito comunista d’Italia (PCd’I).
La sua barberia, che aveva una vasta clientela anche tra i fascisti, divenne un punto di smistamento della stampa clandestina e un centro organizzativo; per il reclutamento Ranieri si basava sulle opinioni della famiglia di provenienza del candidato prediligendo chi proveniva da famiglie antifasciste. Per lungo tempo, tuttavia, il reclutamento fu lento e le azioni si limitarono a colpi propagandistici, come quando venne collocata nottetempo una bandiera rossa sul campanile di una chiesa. Il consenso al fascismo era infatti diffuso e crescente, e anche alcuni amici, raccontò Ranieri, che «con me facevano delle discussioni antifasciste, poi a un certo momento li ho visti con la camicia nera».
Con la guerra di Spagna l’isolamento degli antifascisti diminuì e il reclutamento divenne più facile. Ranieri ricordò che a Sarzana tutti i giovani comunisti avrebbero voluto combattere nelle brigate internazionali (due, come prima tappa, cercarono di raggiungere la Corsica in barca, ma senza successo). Tuttavia presto compresero di essere più utili nello spezzino che al fronte perché potevano svolgere opera di informazione relativamente agli aerei che partivano per la Spagna dall’aeroporto di Luni e alle navi che partivano dal porto di La Spezia, camuffate per non essere riconosciute. Paolo Ranieri e i suoi compagni riuscirono, dietro richiesta del centro parigino del PCd’I, a impadronirsi della cartolina di un precettato per la Spagna, rendendo possibile confutare presso la Società delle nazioni quanto il governo fascista affermava, cioè che i combattenti fascisti sarebbero stati volontari al pari dei combattenti delle brigate internazionali.
Quando il PCd’I decise che era necessario uscire da un atteggiamento unicamente cospirativo e che bisognava iniziare un lavoro legale all’interno delle organizzazioni di massa fasciste, in un primo momento Ranieri e i suoi compagni rimasero assai perplessi. Raccontò di aver incontrato a Pisa Egle Gualdi, funzionario di partito che arrivava dal centro parigino per spiegargli la nuova linea, la quale, nel corso del colloquio, osservò ironicamente: «[…] in Unione Sovietica voi comunisti italiani vi chiamiamo carbonari perché lavorate come una setta, vi riunite di notte di nascosto». Poi spiegò che dovevano far rispettare la Carta del lavoro fascista, entrare nel sindacato fascista, nel premilitare, se possibile nella milizia e nel Partito nazionale fascista.
Su questa linea Ranieri e i suoi compagni ottennero lusinghieri successi, ma proprio la maggior facilità di reclutamento favorì l’entrata di spie nell’organizzazione. Così la notte del 20 aprile 1937, con grande sorpresa dei sarzanesi dal momento che Ranieri conduceva una vita brillante ed era uomo di notevole successo economico, venne arrestato con altri suoi compagni: Anelito Barontini, Dario Montaresi, Alfio Forcieri, Guglielmo Vesco e altre decine di antifascisti. Condannato nel 1938 a quattro anni dal tribunale speciale (durante il processo rivendicò la sua militanza comunista), fu poi recluso nel carcere di Fossano, dove conobbe quell’acculturazione politica accelerata da parte dei compagni di partito più anziani (tra gli altri Luigi Leris, che scontava una condanna a 15 anni) che era un’esperienza normale per i detenuti politici comunisti. Si trattò di un periodo molto importante e Ranieri lo ricordò come la sua università.
Uscito nel 1940 in occasione di un’amnistia tornò a Sarzana in regime di libertà vigilata. Non furono anni facili, non solo per le umilianti limitazioni che la libertà vigilata comportava, ma anche per la tragica situazione economica: la barberia non aveva più abbonati (prima dell’arresto ne contava 125).
Il 25 luglio insieme a Barontini organizzò una grande manifestazione antifascista a Sarzana; dopo l’8 settembre rappresentò il Partito comunista italiano nel Comitato di liberazione nazionale (CLN) della città, organizzando nello stesso tempo piccoli gruppi di giovani che si erano nascosti sulle colline prospicienti Sarzana. Dal momento che il CLN si mostrava poco propenso all’azione armata Ranieri e gli altri comunisti sarzanesi, seguendo le direttive nazionali del partito, iniziarono una serie di azioni terroristiche contro esponenti del fascismo locale, che avevano come principale obiettivo quello di rompere l’attendismo del CLN.
Con il nome di battaglia ‘Andrea’ partecipò come commissario politico alla Resistenza in una formazione che prima si stabilì sulle colline vicino alla città, poi decise di spostarsi verso l’interno arrivando a operare fin nel territorio di Parma. La formazione, nel giugno del 1944, liberò il paese di Bardi, in anticipo di alcuni giorni sulla liberazione della Val di Taro, dove si costituì, dal 15 giugno al 15 luglio, una repubblica partigiana.
Successivamente Ranieri svolse il ruolo di ispettore di zona per conto della Federazione comunista. Durante questo incarico si occupò di uno dei più oscuri episodi della Resistenza nella sua zona, l’omicidio di un valido comandante partigiano garibaldino, Dante Castellucci ‘Facio’, da parte di altri partigiani comunisti, che lo avevano ucciso per mera brama di potere. Ranieri raccontò che nel corso dell’inchiesta su quella morte, quando si era recato a interrogare gli uccisori, temette per la sua vita più di quando si era trovato impegnato negli scontri con il nemico.
Divenne poi commissario politico nella brigata Garibaldi «Ugo Muccini» (ligure), che contò, nell’estate del 1944, circa mille combattenti e si distinse in molte azioni di guerra. Il 14 dicembre dello stesso anno, dopo che gran parte della formazione era stata costretta dai rastrellamenti a traversare la linea gotica per mettersi al sicuro nei territori già in mano agli Alleati, Ranieri, insieme al comandante Flavio Bertone ‘Walter’ e a pochi partigiani, rimase a combattere nella zona occupata dai tedeschi. Ma presto venne catturato e, durante un tentativo di fuga, venne ferito gravemente alle gambe.
Incarcerato a La Spezia, rischiò la morte per una terribile cancrena che i fascisti non vollero far curare, ma dalla quale riuscì a guarire per una remissione spontanea che ebbe del miracoloso. Difficile dire perché, data la sua importanza politica, venne conservato in vita; probabilmente il comandante tedesco dal quale dipendeva la prigione nella quale era recluso pensava che potesse testimoniare a suo favore quando la guerra fosse finita. Venne scarcerato poco prima della Liberazione.
Dopo la guerra fu sindaco di Sarzana dal 1946 al 1971. Successivamente continuò a far parte del consiglio comunale e fu presidente delle sezioni locali dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) e dell’ANPPIA (Associazione Nazionale dei Perseguitati Politici Italiani Antifascisti). Negli ultimi anni della sua vita riuscì a realizzare a Fosdinovo un museo della Resistenza, realizzato dal gruppo artistico Studio Azzurro e inaugurato nel 1999, molto innovativo dal punto di vista scientifico e tecnologico. Il museo utilizza videointerviste con i protagonisti della Resistenza, mostrandole insieme a materiale video coevo ai fatti.
Morì a Sarzana il 3 giugno 2010.
Fonti e Bibl.: Paolo Ranieri è stato intervistato da Giovanni Contini e da Paolo Pezzino durante i lavori che hanno preceduto l’apertura del museo di Fosdinovo. Successivamente l’associazione Archivi della Resistenza è tornata a intervistarlo. Oggi sono consultabili presso l’archivio del museo della Resistenza di Fosdinovo decine di ore di videoregistrazioni di conversazioni con lui (dalle quali sono tratte le citazioni presenti nel testo).
G. Ricci, Storia della brigata garibaldina Ugo Muccini, La Spezia 1978; L. Galletto, La lunga estate, Massa 1995; P. Meneghini, Paolino Ranieri, Santo Stefano Magra, 2008; M. Fiorillo, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Bari 2010.
È in preparazione, a cura di A. Giannanti e S. Mussini, un libro autobiografico. Ne è uscita un’anticipazione sulla rivista dell’istituto Ernesto De Martino Il De Martino, con il titolo Memorie di un barbiere (antifascista) (2014, n. 24, pp. 131-136).