DOTTI (Dottius, Doctus, Dotus, de Doctis, de Dotis, de Dottis), Paolo
Di questo giurista patavino del sec. XV non è possibile ricostruire con esattezza il profilo biografico, allo stato attuale delle ricerche, anche se le notizie raccolte da più studiosi nel corso degli ultimi decenni consentono di gettare maggior luce almeno su alcune tappe fondamentali della sua vita.
Nacque quasi certamente nel 1392, il 16 novembre o il 16 febbraio: è ciò che si ricava dai testamenti fatti dal padre Francesco il 26 luglio 1405 e l'8 novembre dello stesso anno. In tali atti infatti Francesco Dotti dichiarava, con la discrepanza prima rilevata riguardo al mese, la data di nascita del D. e dell'altro figlio, minore, Dotto, istituendoli suoi eredi universali. Padova appare il suo luogo d'origine: come "patavinus" o "de Padua" è costantemente indicato nelle fonti, anche se nella descrizione, fatta dal Valentinelli ed edita dal Gloria, della raccolta di consilia conservata nel cod. Marc. lat., cI. V,2 (= 2324) della Biblioteca Marciana di Venezia è detto "castrofrancanus", cioè di Castelfranco (probabilmente l'odierna Castelfranco Veneto vicino a Treviso).
La famiglia Dotti aveva comunque buone radici padovane: all'epoca, i primi del Trecento, in cui Giovanni da Nono scriveva il De generatione aliquorum civium urbis Padue, tam nobilium quam ignobilium, i Dotti erano già una ricca famiglia con tradizione cavalleresca e radici cittadine, ma non reputata nobile a Padova: l'ammissione del cronista può essere considerata decisiva se si pensi che il Da Nono aveva sposato Dota Dotti, figlia di Paolo, cavaliere e podestà di Vicenza nel 1302-1303. Nel corso del XIV secolo la loro posizione sociale si elevava, come conseguenza del possesso combinato del titolo di milites, di una solida ricchezza e di una buona fama sì che finiva per avere successo la loro aspirazione ad essere considerati nobili. L'antichità e la tradizione della famiglia potrebbe forse anche giustificare il possesso da parte del D. di una buona collezione di manoscritti storici locali (tra cui alcuni di opere di Giovanni da Nono), come affermava Giovan Francesco Capodilista, collega del D. a Padova, in un elenco di fonti storiche patavine (Padova, Bibl. d. Museo civico, cod. B.P. 954, c. 4, ed. V. Lazzarini), compilato nel 1434 durante la sua permanenza a Basilea come oratore della Signoria veneta al celebre concilio tenutosi nella città.
Il D. era figlio di Francesco, qualificato "miles" sia nei testamenti che di lui si sono conservati sia negli Acta graduum patavini. Dapprima conseguiva il canonicato (14 nov. 1403) prestando le sue funzioni nella cattedrale di Padova, come è attestato dal Dondi Dall'Orologio, ma dopo non molto abbandonava tale ufficio per rivolgersi allo studio del diritto civile. Si licenziava e laureava il 28 ag. 1415 avendo a promotori illustri giuristi come Raffaele Fulgosio e Raffaele Raimondi, nonché Giovanni Francesco Capodilista. Negli anni immediatamente precedenti era stato presente come studente a svariati esami di licenza e dottorato in diritto civile svoltisi nello Studio patavino: così il 18 luglio 1410, il 26 ag. 1411, il 15 marzo 1413, il 27 sett. 1414 in qualità di scolaris iuris civilis, l'11 luglio e il 26 ag. 1415 come iuris civilis peritus; due giorni dopo conseguiva, come si è detto, il dottorato. L'11 settembre dello stesso anno vi presenziava, ormai come legum doctor.
Di lui si perdono le tracce fino al 1422 quando risulta inserito nel rotulo dello Studio patavino per l'anno accademico 1422-1423 come "deputatus ad lecturam Sexti et Clementinarum, cum salario ducatorum 60"; alla medesima lettura era preposto nello stesso anno pure Bartolomeo Zabarella, con uno stipendio, inferiore, di 40 ducati. La conoscenza giuridica del D. si doveva essere nel frattempo allargata dal diritto civile al canonico se gli veniva affidata una cattedra specifica in questo campo. Comunque, dal 1429 in poi, la qualifica con cui compare tra i promotori agli esami di licenza e dottorato è quella di doctor utriusque iuris, segno di un avvenuto conseguimento del titolo anche in diritto canonico, conferitogli in data incerta: la mancanza di notizie precise in proposito può forse essere spiegata se si ponga mente alla circostanza che gli Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini non registrano dalla fine del 1419 al maggio 1429 licenze e dottorati in diritto.
Il D. ricompare poi in un elenco di docenti iuristae per il 1424 e si può supporre che continuasse a svolgere il suo precedente insegnamento, proseguendolo probabilmente per qualche anno ancora e supplendo forse talvolta, secondo l'ipotesi formulata dalla Belloni, Giovanni Francesco Capodilista, assente da Padova per pubblici incarichi, sulla cattedra di diritto canonico de sero. Questa fu poi affidata definitivamente nel 1427 al solo D. (probabilmente senza concorrente), quando il Capodilista passò alla lectura ordinaria de mane di diritto civile, lasciata libera dal Fulgosio, morto in quello stesso anno a causa della peste che aveva sconvolto Padova.
Il 3 genn. 1428 il Senato veneto ammetteva per il D., come per lo stesso Capodilista e per Prosdocimo Conti, altro docente padovano allora titolare della lectura ordinaria Decretalium, la possibilità di un aumento di stipendio se ai tre giuristi locali fosse stato dato un concorrente: costui dovette essere probabilmente Giacomo Zocchi, che nel rotulo del 22 ott. 1430, relativo al 1430-31, era assegnatario insieme con il D. della lectura extraordinaria Decretalium, ma con uno stipendio (250 ducati) quasi doppio di quello del D., che ne doveva percepire solo 130. Questi erano tuttavia destinati ad aumentare a 180 tre anni dopo, stando alle affermazioni dei Facciolati, ed ancora a 300 nel 1438 quando il D. si trasferiva sulla cattedra della lectura ordinaria Decretalium, lasciata vacante dal Conti: in quell'anno fu suo concorrente Antonio Roselli, canonista e civilista di vaglia.
Dal 30 maggio 1429 all'agosto del 1439 (ma in quest'ultimo mese, pur risultando sempre nominato tra i promotori di due licenze in diritto canonico, era registrato come assente alle cerimonie relative) partecipava a numerosissimi esami di licenza e dottorato, in diritto canonico, in civile o in utroque, in qualità di promotore, conferendo egli stesso a volte le insegne di dottorato, soprattutto per la laurea in diritto canonico.
Questa intensa attività accademica non gli impediva tuttavia di partecipare attivamente alla vita pubblica, sulla scia di un'antica tradizione familiare che aveva visto i suoi antenati svolgere, accanto alla professione legale, funzioni pubbliche di un certo peso, specialmente nell'epoca del Comune. Membro del Consiglio comunale, costituito dagli esponenti delle famiglie più autorevoli della società padovana soprattutto per ricchezza" e nobiltà, non mancava di recare il suo incisivo contributo alle sedute, essendo presente anche nelle occasioni in cui quasi tutti gli altri consiglieri si astenevano dal parteciparvi, nonché sollecitando dapprima nel 1424 un'elevazione del numero dei membri dell'organo da 48 a 60 per accrescerne l'importanza (l'aumento divenne definitivo nel 1425), poi, nel 1436, sostituzioni e castighi per gli assenti. Svolgeva anche, per vario tempo, la funzione di deputatus ad utilia, considerata il più importante ufficio comunale per la vastità delle sue attribuzioni che riguardavano tutti i settori della vita cittadina: il suo apporto doveva essere certo stimato se il podestà gli prorogava nel 1436 la carica, ad onta della sua richiesta di essere esonerato propter lecturam. Nel 1433 era eletto per la riforma degli estimi come rappresentante dei cittadini de maiori extimo del quartiere di Ponte Altinate: secondo il criterio fiscale in uso nel Comune padovano erano tali coloro che erano allibrati per cifre da £. 10 in su corrispondenti a beni e capitali valutati almeno £ 9.000. L'ufficio che andava a ricoprire non poteva che essere esercitato da un cittadino di notevoli ricchezze. Il D. lo era certamente già allora e continuò ad esserlo negli anni successivi: nel 1455, insieme con i fratelli, denunciò nella polizza d'estimo più di un migliaio di "campi", case, livelli e altri beni per un capitale di oltre 46.000 lire (dichiarazione probabilmente inferiore al valore effettivo del patrimonio poiché anche in quell'epoca era diffusa l'abitudine di presentare denunce non del tutto veritiere e il valore di stima divergeva per lo più da quello commerciale effettivo, sempre superiore al primo).
Il 4 genn. 1439, su incarico del Consiglio di Padova, egli, deputatus ad utilia, sollecitava l'intervento del governo veneziano presso il vescovo patavino per appoggiare la petizione rivolta a conseguire il finanziamento, con fonti di reddito provenienti da benefici ecclesiastici, di sei cattedre di nuova istituzione: esse avrebbero dovuto essere assegnate esclusivamente a padovani da poco dottorati, reputati degni di ricoprirle da una commissione costituita dal vescovo, dai rettori della città, dai deputati ad utilia e dai riformatori dello Studio. Dai documenti a noi giunti non è possibile conoscere l'esito dell'incarico poiché la risposta veneziana non è stata reperita: secondo una parte della storiografia (De Sandre e la Dupuigrenet Desroussilles) la proposta della costituzione di una commissione composta nel modo sopra indicato non dovette essere accolta; altri studiosi (Belloni) propendono, invece, per il buon esito della richiesta (complessiva) del D. basandosi sul fatto che i tertii loci, letture di minor conto riservate ai cittadini padovani soprattutto giovani che dovevano imparare ad insegnare, risultano esistenti nello Studio nel 1460 quando furono provvisoriamente eliminati.
Non molto tempo dopo, nello stesso 1439, il D., per un reale o supposto coinvolgimento nella congiura di Giacomo Scrovegni rivolta a dare la città ai Visconti per sottrarla alla dominazione veneziana, veniva condannato alla relegazione perpetua in Creta. Nell'anno successivo il suo nome non compare più negli Acta graduum academicorum, sostituito con quello di Paolo d'Arezzo; egli comunque risulta ancora presente a Padova nel 1441. In proposito si deve precisare che non appare attendibile la notizia riportata dal Tiraboschi, secondo la quale il D. sarebbe stato professore di gran nome a Padova dal 1442 al 1448: quest'ultima data sembra infatti desunta dal Tiraboschi dalle affermazioni del Facciolati, il quale, dopo aver fissato al 1422 l'anno d'insegnamento (iniziale?) del D., dichiarava, sulla scorta di quanto prima di lui avevano detto gli altri storici come il Portenari, il Panciroli e il Papadopoli, che il D. "docuit per annos sex et viginti".
Del periodo vissuto dal D. in esilio a Candia vi è più di una testimonianza. La prima è offerta da Lauro Quirini, umanista veneziano legato all'isola, che, amico del D., gli rivolgeva in data imprecisata una lunghissima lettera consolatoria, conservata in una miscellanea della Biblioteca Ambrosiana (ms. D. 93 sup., ff. 148r-149v) e in un manoscritto viennese (Österreichische Nationalbibliothek, Lat. 3330, ff. 290r-292r). In essa il Quirini, per lenire il dolore del D. per l'esilio, da una parte lo esortava a riflettere sulla precarietà della sorte umana facendo ricorso ad illustri esempi storici, da Attilio Regolo a Scipione, a Crasso, a Cesare e a Serse, nonché a massime di grandi autori antichi; dall'altra, incitandolo a dedicarsi alla vita contemplativa, reputata sommo bene, esaltava le bellezze dell'isola in cui dimorava. Un'altra, meno sicura, è costituita da una dichiarazione dell'arcivescovo Fantino Valaresso (Vallaresso), legato pontificio a Candia, che, nella prefazione al suo trattato De ordine generalium conciliorum et unione Florentina, successivo al concilio fiorentino del 1439, teso a sanzionare l'unione della Chiesa orientale con la latina, scriveva di essere stato sollecitato a comporre l'opera da parecchi, tanto greci come latini, e particolarmente dal D. e da Marin Faliero, patrizio veneziano: l'occasione d'incontro potrebbe essere sorta proprio per la comune residenza nell'isola.
Infine è nota una missiva, scritta dal D. intorno al 1453 da Candia e più volte pubblicata: ivi egli narrava del crollo dell'Impero bizantino culminato nell'espugnazione di Costantinopoli ad opera dei Turchi con l'entrata vittoriosa nella capitale imperiale del sultano ottomano Maometto II, riuscendo a porre in cruda evidenza il contrasto tra l'immensa forza turca e quella cristiana, nonché la miserrima condizione degli abitanti della città vinta, che affluivano in cerca di protezione nell'isola di Candia. Il suo era uno dei non rari racconti di prima mano, condotti con vigorosa drammaticità, capaci di suscitare una vasta eco nel mondo, come, ad esempio, quello del già citato Lauro Quirini, che scriveva una lettera a Nicolò V per eccitarlo alla riscossa a protezione della Cristianità fortemente minacciata.
Il Quirini non era il solo amico letterato del D.; almeno un altro sicuramente ne aveva in Antonio Baratella, poeta loreggese, scolaro di leggi e professore di grammatica, che nei suoi carmi ricorda il D. a più riprese: così nelle raccolte dell'Ecatometrologia (Oxford, Bodleian Library, Canonic. lat. 115, f. 105v, Padova, Bibl. d. Museo civico, B.P. 881, f. 46v), scritta intorno al 1405; nell'Antonia (Oxford, Bodleian Library, Canonic. lat. 115, ff. 79v, 80r); ancora nella Laureia, scritta nel 1430-31 e conservata in un manoscritto della Biblioteca Marciana (Marc. lat., cl. XII, 1741 [= 3955]). Quest'ultima opera è addirittura dedicata al D. poiché il poeta racconta di aver tratto lo stimolo a scriverla dall'apparizione di Daulo (compagno di Antenore fondatore di Loreggia, dalla quale viene il nome alla raccolta, e di Padova), eroe troiano capostipite della famiglia dei Dotti. Nella Laureia, tra l'altro, sono compresi pure due carmi (ff. 35v, 36r), in cui si parla del matrimonio, celebrato verso l'ottobre del 1430, tra la figlia del D. e Giacomo Scrovegni, futura mente della congiura antiveneziana del 1439, causa per il D. dell'esilio.
Dopo il 1455 del D. si perdono le tracce: il suo nome compare tra quei docenti legati allo Studio patavino, che, con il sorgere delle prime officine tipografiche a Padova, si interessavano attivamente alla pubblicazione delle opere di diritto, pronti a cogliere le opportunità offerte dal nuovo strumento di diffusione della scienza giuridica. Non si conosce la data della sua morte.
Se abbiamo larghe prove della sua attività didattica, non conosciamo molto della sua produzione scientifica. Esistono due consilia da lui sottoscritti nella raccolta dei Consilia sive Responsa acutissimorum iuris interpretum Raphaelis Cumani nempe et Fulgosii, Venetiis 1575, ff. 33rv, 53v-54r: il primo, il n. 65, del Raimondi, in materia di riscatto di beni ceduti in enfiteusi dal compratore al primitivo proprietario, che aveva stipulato contestualmente alla vendita un pactum de retrovendendo, è sottoscritto dal D. e da Raffaele Fulgosio in un'epoca non posteriore quindi al 1427, data della morte di quest'ultimo; il secondo, il n. 105, dello stesso Raimondi, in materia di beni pervenuti alla moglie in costanza di matrimonio, da considerarsi o meno parafernali, è sottoscritto dal D., da Prosdocimo Conti e da Giovan Francesco Capodilista, altri noti docenti locali, a cui si aggiungevano, esprimendo il loro parere sulla questione controversa, Giovanni da Imola, Paolo di Castro e Floriano di Castel San Pietro.
Altre tracce della sua attività di consulente si ritrovano in diversi volumi della raccolta di consilia conservata nel nis. 485 della Biblioteca Classense a Ravenna. Nel vol. III (pp. 274-278, spec. p. 278) un consilium su questioni testamentarie di Paolo di Castro, che si qualifica in quel momento professore padovano (post 1429), è sottoscritto dal D. insieme con Daniele Dottori ed Uberto Trapolini; nel vol. V (p. 274) un consilium di Giacomo Zocchi è sottoscritto da Paolo di Castro, dal D. e da Prosdocimo Conti (ma sulla stessa causa in tema di contratto pignoratizio, simulazione e usure, emettono pareri altri dottori dello Studio patavino, da Antonio Roselli ad Angelo di Castro, nel 1444, a Giovanni da Prato, a Lauro Palazzolo, a Francesco Alvarotti, pp. 275-281). Inoltre si trova lì un consilium del D. in materia di actio iniuriarum e taxatio iudicis, molto ben articolato, a cui si aggiungono sottoscrizioni di Francesco Capodilista, Angelo Perigli, Paolo di Castro e Uberto Trapolini (pp. 382-386, 392: alle sottoscrizioni, solo menzionate, segue il consilium in tema del Capodilista). Infine il vol. VII contiene un consilium di Raffaele Fulgosio, sottoscritto dal D., su compravendita e patto di riscatto (p. 180) e lo stesso sottoscrive poi un consilium di Paolo di Castro in tema di investitura nei feudi ecclesiastici, apportando valide argomentazioni per la soluzione del caso (p. 272); emette un parere a conferma di un altro, sempre di Paolo di Castro, sui rapporti tra soci aventi un muro in comune (p. 304); ne redige un altro riguardo al mutuo ed alla relativa quietanza liberatoria (pp. 333 s.); un altro, per incarico dell'autorità giurisdizionale, in sede di appello, in una causa vertente su un contratto simulato e usure (pp. 339-342); sottoscrive ancora un altro consilium dello stesso Paolo di Castro su devoluzione dei fondi e fellonia, datato 8 dic. 1429 (p. 351). In un'altra raccolta di consilia di dottori dello Studio patavino posseduta dalla Biblioteca Marciana di Venezia il consilium citato sopra in materia di contratto simulato ed usure, con larghi ricorsi alla letteratura canonistica e non privo di riflessioni moraleggianti, come si addiceva al tema, è riprodotto e datato al 15 luglio 1435 (Marc. Lat., cl. V, 2, ff. 157v-158v).
Ma le opere sue maggiori a noi tramandate, allo stater attuale delle conoscenze, sono una Lectura al secondo libro del Liber Extra di Gregorio IX, in particolare ai primi tre titoli De iudiciis, De foro competenti, De libelli oblatione, in cui il D. rivela una non mediocre capacità di trattazione dei profili principali del processo romano-canonico, buona cultura giuridica senza che ciò comporti un largo ricorso alle autorità dottrinali parcamente citate e una repetitio. La Lectura, che porta all'inizio la data del 10 nov. 1438 e poi date successive fino all'inizio del 1439, è conservata nel ms. 486 dell'Universitätsbibliothek di Eichstätt (ff. 41-165), ove si trova pure la repetitio dello stesso D. ai c. Raynutius e Raynaldus del titolo De testamentis del terzo libro del Liber Extra (c. 16 e 18, X, 2, 26), dedicata ad assai intricate questioni testamentarie (ff. 171-192). Soprattutto queste opere danno ragione della fama da cui doveva essere circondato il D., secondo le affermazioni degli studiosi di cose padovane. "Iurisconsultus magni nominis" lo qualifica Marco Mantua Benavides, illustre docente della facoltà giuridica patavina tra la prima e la seconda metà del Cinquecento: da lui sappiamo anche della probabile assenza di edizioni a stampa delle opere del D., che altrimenti non avrebbero potuto sfuggire alla sua attenzione di solerte studioso. Giudizi altamente elogiativi espressero sul D. anche il Portenari e il Tiraboschi.
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti manoscritte ricordate nel testo, cfr. Padova, Arch. antico universitario, vol. 648, f. 41 v; Arch. di Stato di Padova, Atti del Consiglio, vol. I, ff. 107, 306, 312, 313, 319, 321, 436-437; Ibid., Estimi 1418, vol. go, pol. 46 (21 nov. 1455); Ibid., Ducali, reg. 4, f. 33 (28 dic. 1424); Ibid., Archivio notarile, vol. 534, f. 87; vol. 566, f. 521; reg. 101, ff. 315v-318 (26 luglio 1405), 319-321 (8 nov. 1405); Ibid., Seminario, n. 11: Giovanni Da Nono, De generatione aliquorum civium urbis Padue, tam nobilium quam ignobilium, f. 39; B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii, Basileae 1560, pp. 301 s.; I. Salomonio, Urbis Patavinae inscriptiones, Patavii 1701, pp. 232 s.; Monumenti della Universìtà di Padova (1318-1405), a cura di A. Gloria, II, Padova 1888, n. 1118; G. L. Andrich, Glosse di A. Porcellini ai nomi di alcuni giureconsulti..., Padova 1892, p. 16; V. Lazzarini, Un antico elenco di fonti stor. padovane, in Archivio muratoriano, VI (1908), pp. 290-293; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, a cura di G. Zonta-G. Brotto, Padova 1922, ad Indicem; F. Vallaresso, Libellus de ordine generalium conciliorum et unione Florentina, a cura di B. Schultze, in Concilium Florentinum. Documenta et scriptores, II, 2, Roma 1944, p. 4; Missiva domini Pauli de Dotis ... De expugnatione civitatis ... Costantinopolitanae, in La caduta di Costantinopoli, a cura di A. Pertusi, II, Milano 1976, p. 429; M. Mantua Benavides, Epitoma virorum illustrium, Patavii 1555, p. 53; A. Riccobono, De Gymnasio Patavino commentariorum libri sex, Patavii 1598, p. 17; A. Portenari, Della felicità di Padova libri nove…, Padova 1623, pp. 131, 178 s., 213, 247, 284; G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quattuor, Venetiis 1637, pp. 448, 462; G. F. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 236; N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Venetiis 1726, p. 216; G. degli Agostini, Notizie istoricocritiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 46, 224, 276; J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, II, pp. 29 s., 32; F. S. Dondi Dall'Orologio, Serie cronologico-istorica dei canonici di Padova, Padova 1805, p. 71; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., III, Milano 1833, p. 65; N. Dalle Laste, Brano storico postumo dello Studio di Padova dall'anno 1405 al 1433, Padova 1844, p. 58, 61 s., 68, 74; J. F. Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, II, Stuttgart 1875, pp. 304, 400 s.; A. Segarizzi, La Catinia, le orazioni e le epistole di Sicco Polenton, umanista trentino del secolo XV, Bergamo 1899, pp. 72, 135; Id., Lauro Quirini umanista ven. del secolo XV, in Mem. della R. Acc. d. scienze di Torino, classe di scienze mor. stor. e filolog., s. 2, LIV (1904), p. 12; Id., Antonio Baratella e i suoi corrispondenti, in Miscell. di storia veneta ed. per cura della R. Deput. veneta di st. patria, s. 3, X, Venezia 1916, p. 42, 100; Id., Contributo alla storia delle congiure padovane, in Nuovo Arch. veneto, n.s., XXXI (1916), pp. 56 s., 60 s.; L. Rizzoli iunior, Paulo Dotto de' Dauli, in Boll. d. Museo civico di Padova, XIV (1919), pp. 3 ss.; E. Besta, Fonti, in Storia del diritto ital., diretta da P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, p. 881; M. A. Zorzi, L'ordinamento comunale padovano nella seconda metà del sec. XIII, in Miscell. di storia veneta, V, Venezia 1931, p. 50; E. Rigoni, Stampatori del sec. XV a Padova, in Atti e mem. d. R. Acc. di scienze lettere ed arti in Padova, n.s., L (1933-34), pp. 278-283, 302, 310 s.; P. Gothein, Paolo Veneto e Prosdocimo de' Conti, maestri padovani di Lodovico Foscarini, in La Rinascita, V (1942), p. 241; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari 1964, pp. 65, 69, 76 n. 82, 84; J. K. Hyde, Padua in the age of Dante, Manchester 1966, pp. 64, 99 s., 316; G. De Sandre, Dottori, università, Comune a Padova nel Quattrocento, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, I (1968), pp. 24-27; G. Dolezalek, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1500, III, Frankfurt a.M. 1972, sub voce Paulus de Doctis; La caduta di Costantinopoli, a cura di A. Pertusi, II, Milano 1976, pp. 11-17, 492 s.; F. Dupuigrenet Desroussilles, L'Università di Padova dal 1405 al concilio di Trento, in Storia della cultura veneta, III, 2, Vicenza 1980, pp. 613 ss.; A. Belloni, Professori giuristi a Padova nel sec. XV, Frankfurt a.M. 1986, ad Indicem.