PAOLO DI BONAIUTO
– Non si conosce la data di nascita di questo scultore veneziano, la cui attività è limitata, allo stato attuale delle conoscenze, a tre rilievi (i Ss. Floriano, Domenico, Francesco) che ornano il basamento della basilica di S. Petronio a Bologna, commissionatigli nel 1393.
Il 4 marzo di quell’anno è nominato, senza patronimico, in un documento attestante il pagamento di 15 soldi bolognesi al pittore Jacopo di Paolo, incaricato di eseguire «in cartis caprinis» il disegno di «sex formas figurarum» dei santi che lo scultore («Paulo de Venetiis magister lapidum marmoreorum») avrebbe dovuto «facere [...] pro laborerio ecclesie San [sic] Petronii» (Filippini - Zucchini, 1947).
Il 24 settembre 1393, contattato dalla fabbriceria di S. Petronio a Bologna, risulta residente a Venezia in contrada San Pantaleone, dove è detto «magister Paulus de Bonasuti tayapiera de Veneciis in Sancto Pantaleone magister lapidum Istrianorum sive marmoreorum» (Bologna, Archivio della Fabbriceria di S. Petronio, Liber compoxicionum, vol. 372, ad annum, c. 35r, parzialmente pubblicato da Gatti, 1889, ma con data non corretta). Nell’occasione veniva incaricato, insieme a Giovanni di Riguzzo e al tedesco Giovanni Ferabech (Hans von Fernach), di eseguire sei polilobi in pietra d’Istria, contenenti i busti dei Ss. Petronio, Ambrogio, Francesco, Domenico, Paolo e Floriano, degli otto che dovevano adornare il basamento della facciata di S. Petronio, secondo quanto era stato previsto da Antonio di Vincenzo, «magister totius laboreri» della fabbrica di S. Petronio. Dei sei rilievi pattuiti, Paolo di Bonaiuto portò a termine soltanto i tre destinati ai pilastri divisori del basamento: il S. Floriano venne consegnato il 21 maggio 1394, quelli raffiguranti Domenico e Francesco il successivo 16 novembre: «et plures figuras non fecit» (Liber compoxicionum, c. 35r).
Dopo che, senza indicare la fonte documentaria, Giordani (1837) aveva esteso la sua attività fino al 1426, solo di recente Massaccesi (2011) ha proposto di identificarlo con un «Bennasutus» che il 14 giugno 1402, dettando il proprio testamento a Venezia, si definiva «taia piera de confinio Sancti Panthaleonis» e nominava eredi le due figlie in quanto «infirmitate corporea pergravatus» (Paoletti, 1893).
Quanto ai rilievi del basamento petroniano, è stato ipotizzato (Grandi, 1981, p. 181) che il disegno di Jacopo di Paolo riprendesse le «figur[as] et immagin[es] sanctorum» che già due anni prima, forse per mano dello stesso pittore, erano state dipinte come modello sulla facciata del prospiciente palazzo comunale, «in picturis et dessignatis iam factis et pictis in facie anteriori magnifici palatii residentiae dominorum Antianorum» (Liber compoxicionum, vol. 372, 24 luglio 1391, c. 22r; Gatti, 1889, p. 70).
L’invio dei disegni in marzo ha indotto a credere che lo scultore avesse preteso di visionare il progetto prima della presa in carico della commissione, avvenuta nel settembre successivo. Paolo di Bonaiuto non si trovava infatti a Bologna né a marzo né, fatto ancor più singolare, alla stipula della commissione il successivo 24 settembre, quando è detto che si sarebbe sommesso all’incarico «per litteras suas directas Antonio Vincencii» (Liber compoxicionum, vol. 372, 24 settembre 1393, c. 35r) stando a Venezia, impegnandosi altresì a trasportare a Bologna le sculture una volta terminate. Spicca tuttavia, dall’unico documento, la sua precedenza sugli altri due scultori, in quanto chiamato a eseguire la maggior parte dei rilievi, sei su otto. Le sue sculture avrebbero dovuto inoltre risultare normative per gli altri maestri collaboratori coinvolti nel progetto. Certamente vi si dovette attenere Giovanni di Riguzzo per il S. Pietro: «pulchram bonam et sufficientem prout et sicut erunt figurae quas fecit et facere debet magister Paulus de Veneciis» (Liber compoxicionum, vol. 372, 24 settembre 1393, c. 35r). Si tratta di un attestato di stima e considerazione nei confronti dello scultore veneziano, tanto da presupporne la notorietà e la fiducia acquisita nei confronti della fabbriceria petroniana e del suo architetto. A questo riguardo è stato ipotizzato (Grandi, 1981, p. 182) che Antonio di Vincenzo avesse scelto Paolo di Bonaiuto nel corso di uno dei suoi soggiorni fuori città per reperire lapicidi e maestri marmorari di cui Bologna era sprovvista. Tuttavia le dinamiche documentarie relative allo scultore lasciano anche campo all’ipotesi che egli fosse già stato a Bologna, forse come aiutante di Jacobello e Pierpaolo dalle Masegne.
Autore dei tre rilevi per S. Petronio, Paolo di Bonaiuto si staglia così nell’orizzonte culturale della Bologna della fine del XIV secolo, punto di approdo e raccordo di artisti di diversa estrazione geografica, in primis veneta. Sulla base di questa impresa, dalla quale si evince una cultura nobile e originale, si è tentato di specificarne una formazione al seguito di Pierpaolo e Jacobello dalle Masegne, autori a Bologna dell’altare marmoreo di S. Francesco (1388-92), sulla quale si innesterebbero suggestioni desunte da un altro veneziano, quel Jacopo Lanfrani al quale si deve l’arca di Giovanni di Andrea già in S. Domenico e ora nel Museo civico medievale di Bologna (Grandi, 1982). Non vanno sottaciuti altresì i debiti nei confronti della cultura ‘neogiottesca’ bolognese di fine secolo, giacché le «sex formas» fornite da Jacopo di Paolo, lette talora come una mera traccia iconografica (Cavazzini, 2004), sono state più correttamente intese dapprima da Arcangeli (1936-1937) e poi da Grandi (1981, p. 181) come una vera e propria guida utilizzata da Paolo di Bonaiuto come termine di paragone per il suo lavorare «bene et diligenter». In dipendenza dal repertorio figurativo di Jacopo di Paolo va posto, ad es., il S. Floriano, per la disposizione di tre quarti del busto, l’aggetto della mano, la dentellatura mistilinea della cornice e l’imposizione di un punto di vista specifico non coincidente con quello reale (Massaccesi, 2011).
Il catalogo dello scultore è stato ampliato per via di confronti stilistici con altre opere, non accettate in maniera pacifica dalla critica. L’ipotesi di attribuire a Paolo di Bonaiuto, in una fase anteriore alla commessa petroniana, i rilievi con figure allegoriche a mezzo busto già nella facciata del palazzo della Mercanzia di Bologna (Bologna, Museo civico medievale), è stata cautamente affacciata da Grandi (1987, pp. 154-155), in alternativa all’attribuzione a Pierpaolo dalle Masegne. Dopo i lavori per S. Petronio gli sono state riferite la tomba del dottore in legge Andrea de’ Bovi (1399), ora nel Museo civico medievale di Bologna (Venturi, 1906), e quella di Caterina dei Franceschi nella cappella di S. Giacomo al Santo di Padova (Wolters, 1976, pp. 66, 219-220). Rigettando tali ipotesi, Grandi ha preferito attribuirgli, sulla scia di Kosegarten (1968, p. 244) e Wolters (1976, pp. 77, 231), il gisant del generale servita Andrea da Faenza nella chiesa dei Servi di Bologna, da datare poco dopo la morte di questi nel 1396. Ai fini del riconoscimento dell’autografia di Paolo di Bonaiuto risulta persuasivo anche il confronto, istituito da Grandi (1981, pp. 184-185), tra il S. Domenico del basamento petroniano e il monumento funebre di Ostasio IV da Polenta (morto nel 1396) in S. Francesco a Ravenna, in passato letto in senso genericamente masegnesco (Pope-Hennessy, 1955, trad. it. 1963, p. 210; Krautheimer, 1956, p. 57), quando non posto incongruamente in dipendenza da Niccolò dell’Arca (Beck, 1965). Quanto al monumento funebre del lettore dello Studio bolognese Lorenzo del Pino, morto nel 1398, già in S. Pietro (Bologna, Museo civico medievale), il riferimento a Paolo di Bonaiuto, proposto ancora da Grandi (1983, p. 128), e accolto da Medica (1985), che pure ne ha sottolineato il naturalismo pungente di matrice borgognona, è stato lasciato cadere da Ferretti (1999). Da segnalare è infine il riconoscimento allo scultore della cassa del monumento funebre a Pietro Pileo da Prata nel duomo di Padova (Massaccesi, 2011), in cui già Wolters (1976, pp. 192-193, 229-231) aveva notato la presenza di un diverso scultore nel gisant, in linea con un morbido naturalismo di tradizione postmasegnesca, mentre i santi nei polilobi esibiscono la stessa fiera intenzione plastica espressa dai rilievi petroniani, di cui sembrano porsi come un accrescimento. Il cardinale era deceduto nel 1400, lasciando disposizioni testamentarie per la propria sepoltura nel testamento del 4 ottobre 1399 (Dondi dall’Orologio, 1795). È possibile quindi che la presenza di due mani si giustifichi in relazione alla sopraggiunta morte di Paolo di Bonaiuto.
Morì con ogni probabilità poco dopo aver fatto testamento a favore delle figlie nel 1402 a Venezia (Paoletti, 1893).
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio della Fabbriceria di S. Petronio, Liber compoxicionum, vol. 372, 1390-1405, cc. 22r, 35r-v.; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.123.I: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno… (ante 1787), c. 20r. C. Faleoni, Memorie historiche della chiesa bolognese e suoi pastori, libri VI..., Bologna 1649, p. 410; Notizie della basilica di S. Petronio tratte dagli originali ed autentici presso quella reverenda Fabbrica, Bologna 1782, pp. 9 s.; F.S. Dondi dall’Orologio, Sinodo inedito di Pilleo cardinal Parata vescovo di Padova, e notizie della di lui vita, Padova 1795, pp. 217-230; L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia sino al secolo di Napoleone, I, Venezia 1813, p. 247; G. Giordani, Notizie intorno al Foro de’ Mercanti di Bologna volgarmente detto la Mercanzia, Bologna 1837, pp. 6, 31; A. Gatti, La fabbrica di S. Petronio: indagini storiche, Bologna 1889, pp. 70, 74-76; P. 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