PAOLO da Salo
PAOLO da Salò (Antonio Bellintani). – Nacque intorno al 1530 a Gazzane, attualmente frazione del Comune di Roè Volciano presso Salò, da Bellintano Bellintani, mercante asceso alla nobiltà, e da Susanna Bonfecini, che lo battezzarono col nome di Antonio.
Primogenito di quattro figli diventati sacerdoti, di cui tre cappuccini, il più noto dei quali è Mattia (al secolo Paolo), ha lasciato di sé poche notizie, ricavabili da cenni autobiografici contenuti nel suo trattato sulla peste e in alcune lettere. Entrato giovane tra i cappuccini della provincia milanese con il nome del fratello, sono tuttora ignoti i luoghi del suo noviziato, degli studi fino al grado di predicatore, dell’ordinazione sacerdotale e dei conventi a cui fu assegnato. Tra il 1570 e il 1572 fu uno dei cappellani cappuccini inviati da Pio V sulle galee pontificie che presero parte alle campagne navali contro i turchi culminate nella battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571).
Non è certa la sua partecipazione a tutte e tre le spedizioni organizzate dalla Lega Santa. Stando alle sue parole, si trovava a Messina, al seguito dell’armata navale cristiana, quando tra gli equipaggi scoppiò un’epidemia, che secondo lui non era di peste. Questo avvenne tra la seconda e la terza spedizione e segnò l'inizio della sua attività di servizio ai malati. Dopo quell'esperienza rientrò nel convento di Lodi dove, il 21 agosto 1576, in risposta a un appello dei confratelli di Crema per inviare persone in soccorso dei malati di peste a Venezia, chiese al provinciale di svolgere questo servizio.
In quella data l'epidemia, iniziata nel 1575, era ormai dilagata in tutta l’Italia settentrionale, inducendo anche l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, a chiedere l’aiuto dei cappuccini: il 29 settembre Paolo da Salò entrò nel lazzaretto milanese, dapprima solo come cappellano e dopo un mese anche con la potestà di governo temporale, che mantenne per un anno. Tale incarico, conferitogli dal presidente della Sanità, Girolamo Monti, gli permetteva di far arrestare e torturare i trasgressori delle norme a tutela dei ricoverati. In forza di ciò egli, pur continuando a dedicarsi al servizio degli appestati, represse con severo rigore tutte quelle manifestazioni di malaffare che, nel contesto di generale crisi prodotto dall'epidemia, si sviluppavano nel lazzaretto: i furti, il traffico dei medicinali, la corruzione e la speculazione, gli imbrogli testamentari e la prostituzione. Si meritò così una fama di uomo duro e persino feroce, come lo qualificherà lo storico milanese Giuseppe Ripamonti, insieme con il riconoscimento del Tribunale della Sanità per aver consentito, con il suo governo, la diminuzione della mortalità.
Terminato l’incarico a Milano, il 24 agosto 1577 fu inviato nel lazzaretto di Brescia, dove i veneziani inizialmente rifiutarono di concedergli i poteri richiesti, salvo ricredersi in parte di fronte allo stato di necessità. Il 17 gennaio 1578 ebbe il permesso di rientrare a Milano, partecipando in aprile al capitolo provinciale. Nel 1580, con ogni probabilità invitato dal fratello Mattia, andò a Marsiglia, città colpita dalla peste e dalla carestia, nella quale i cappuccini si erano stabiliti da soli due anni proprio su impulso di padre Mattia, che stava introducendo l'ordine in Francia con l'aiuto di religiosi provenienti dalla provincia cappuccina di Milano. Paolo da Salò servì nel lazzaretto marsigliese con gli stessi metodi sperimentati in Lombardia, ottenendo il plauso delle autorità cittadine e una lettera di lode all'operato dei cappuccini da parte di re Enrico III, il 21 gennaio 1581.
In seguito tornò a Marsiglia e poi si recò a Lione, alla ricerca dei famigliari di uno degli otto medici francesi che, durante la peste a Milano, avevano suggerito delle terapie rivelatesi controproducenti.
Rientrato in Italia, nel 1587, al momento della separazione da Milano della nuova provincia cappuccina di Brescia, si stabilì, come il fratello, nella sua zona d'origine. In quell'epoca doveva aver già iniziato a raccogliere le sue esperienze in un manoscritto, il Dialogo della peste, che una nota al titolo riferisce composto dopo la morte di s. Carlo Borromeo (3 novembre 1584), il che, considerando l'anno di morte di Paolo da Salò, ne pone la datazione tra il 1584 e il 1590.
L'opera, che si conosce attraverso una copia seicentesca conservata nell'Ateneo di Salò preparata, in vista di una non avvenuta pubblicazione, dal terzo dei cappuccini Bellintani, Giovanni, probabilmente a ridosso della pestilenza del 1630, è composta da brevi capitoli ognuno aperto dalla domanda di un 'amico' cui segue la risposta di Paolo da Salò.
Scritto con lo scopo di insegnare a governare un lazzaretto nel forte spirito di servizio ai poveri e ai bisognosi tipico del francescanesimo cappuccino, il Dialogo reputa la peste un castigo di Dio da affrontare con la preghiera, il digiuno e la carità, accompagnati però dalla fiducia nella divina misericordia che può revocare il flagello se si opera bene per rimediarvi soccorrendo nel modo più appropriato i malati e reprimendo ogni manifestazione di avarizia – dal furto alla speculazione – e di lussuria, in cui individua un veicolo di contagio.
Paragonato da E. Paccagnini al più noto, ma posteriore di oltre un secolo, trattato sulla peste di Ludovico Antonio Muratori per il suo fine pratico pur diverso da quest'ultimo perché frutto di esperienza diretta e non di ricerche, il Dialogo, nonostante il suo valore storico, rimase all'epoca ignoto. Fu scoperto da Federico Odorici, nel 1846, che ne pubblicò una versione antologica nel 1857, precedentemente inviata ad Alessandro Manzoni (che la lesse ma non la utilizzò) per una eventuale nuova edizione dei Promessi Sposi. Una prima edizione integrale, a cura di P. Ildefonso Aliverti da Vacallo, in vari punti non fedele all'originale, apparve a puntate su L'Italia francescana tra il 1926 e il 1930, sostituita nel 2001 da quella, scientificamente pregevole e arricchita dell'epistolario, curata da E. Paccagnini e C. Boroni. Di rilievo, inoltre, la mostra I Bellintani, tre fratelli cappuccini nella Milano del '600, allestita nel Museo dei cappuccini di Milano dal 15 marzo al 31 dicembre 2001 e curata da L. Temolo Dall'Igna.
Paolo da Salò, divenuto guardiano nel convento di Treviglio, morì a Brescia il 6 maggio 1590 .
Fonti e Bibl.: F. Odorici, I due Bellintani da Salò e il Dialogo della peste, in G. Mueller, Raccolta di cronisti e documenti storici lombardi inediti, II, Milano 1857, pp. 251-306; I frati cappuccini: documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C. Cargnoni, I-III, V, Perugia 1988-1993, ad ind.; Paolo Bellintani, Dialogo della peste, a cura di E. Paccagnini - C. Boroni, Milano 2001; P. Guerrini, La peste di Brescia e Paolo Bellintani in un carteggio inedito di S. Carlo Borromeo, in L'Italia Francescana, XIII (1938), pp. 365-374, 424-436; XIV (1939), pp. 4-26, 306-309; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, p. 1302; E. Pontiggia, San Carlo Borromeo e fra Paolo Bellintani (lettere inedite), in Brixia sacra. Memorie storiche della Diocesi di Brescia, n.s., XI (1976), 3-4, pp. 39-53.