CAMPELLO, Paolo
Nacque a Spoleto il 18 maggio del 1829 dal conte Pompeo e dalla principessa Giacinta Ruspoli. Dopo aver perduta la madre in tenerissima età (9 apr. 1830), rimase a Spoleto sino a dieci anni. Il padre, che ebbe una parte importante nei moti liberali del 1831, era malvisto presso le autorità dello Stato romano, tanto che nel 1835 lasciò Spoleto e si trasferì con il figlio a Firenze. Solamente nel 1841, grazie all'interessamento di monsignor Serafini, prefetto delle acque e strade nel governo pontificio, fu possibile ai Campello di tornare a Roma. Il C. frequentò dapprima il liceo della Pace, poi, nel 1848, si iscrisse alla facoltà di matematica presso l'università di Roma, entrando anche a far parte della guardia civica universitaria.
Partecipò con entusiasmo alle speranze che l'elezione e i primi atti di Pio IX suscitarono negli ambienti liberali italiani. Nel 1849 appoggiò la Repubblica romana, pur disapprovandone lo spirito eccessivamente anticlericale; militò dapprima nella milizia repubblicana e venne poi nominato ufficiale d'ordinanza del ministro della Guerra gen. Avezzana.
Il 2 marzo 1851 sposò Maria Bonaparte, figlia di Carlo Luciano principe di Canino e di Zenaide Bonaparte cugina di Napoleone III. Dal matrimonio nacquero due figli, Giacinta e Pompeo. Frequenti in questi anni furono i suoi viaggi a Parigi, ove era spesso ricevuto a corte. Manteneva anche contatti con i maggiori esponenti del liberalismo italiano e stretti rapporti con cattolico-liberali come Manzoni, Zanella, Tommaseo e Lampertico.
Nel 1867 decise di entrare nella vita politica, presentandosi candidato alle elezioni nel collegio di Spoleto, in rappresentanza del partito moderato, e in opposizione al progressista Luigi Pianciani. Il C. risultò eletto, entrò alla Camera dei deputati in Firenze, e si distinse durante la discussione sulla legge eversiva dei beni ecclesiastici, votando contro il provvedimento, assieme al gruppo cattolico guidato da V. d'Ondes Reggio.
Nell'ottobre 1867, durante il tentativo garibaldino di conquistare Roma, il Rattazzi (nel cui governo Pompeo Campello era ministro degli Esteri) incaricò il C. di recarsi a Roma, assieme al ministro Giovanola, per persuadere il papa a trattenere a Civitavecchia i Francesi, di cui era imminente lo sbarco, assicurandolo che il governo italiano avrebbe fatto il possibile per far retrocedere Garibaldi. Ma la missione fu sospesa dopo la battaglia di Mentana del 3 novembre.
Nell'aprile 1868, non condividendo la politica del governo italiano nei confronti della Chiesa, il C. rassegnò il mandato parlamentare. Il suo orientamento politico lo portava ad avvicinarsi sempre più a quel gruppo cattolico-liberale favorevole a una soluzione concordataria della questione romana, cui aderivano uomini come A. Conti, A. Rossi, G. Bortolucci, P. Salvago, M. Da Passano e C. Cantù. Una linea politica che raccoglieva simpatie anche presso alcuni esponenti delle gerarchie ecclesiastiche, come l'abate Tosti, mons. Bonomelli e mons. Scalabrini.
Dopo la presa di Roma del 1870, essendo precluso dal non expedit ai cattolici l'accesso alle urne politiche e la possibilità di essere eletti, il C. con altri esponenti del moderatismo cattolico romano, come il principe di Sulmona, il marchese di Baviera, E. Q. Visconti, F. Vespi e altri diede vita all'Unione romana per le elezioni amministrative (novembre del 1871), che ebbe il suo banco di prova nelle elezioni provinciali del 1871, ove riscosse - come scrisse lo stesso C. nei suoi Ricordi - un "trionfo inaspettato", che destò "le generali meraviglie".
I successi elettorali amministrativi conseguiti anche negli anni successivi dall'Unione romana (che rifuggì dai toni accesi e violenti contro il liberalismo, tipici del movimento cattolico intransigente) fecero nascere, dopo l'avvento di Leone XIII (1878), in alcuni esponenti del moderatismo l'idea di dar vita a un partito conservatore, che operasse attivamente nella vita politica del paese, portandovi il contributo di tutti coloro "che sentono il bisogno di rinforzare il principio di libertà col principio di autorità; tutti coloro che senza essere interamente religiosi, riconoscono però l'influenza sociale della religione" (A. Ferraioli, Del pensiero politico in Italia e di un partito conservatore, Roma 1879, p. 51).
L'iniziativa parve concretarsi nel 1879. Il C. e il principe Borghese convocarono a Roma i maggiori esponenti del movimento: dal Piemonte l'on. C. Valperga di Masino, dalla Toscana A. Conti, P. Bourbon del Monte, G. Falorsi e M. Da Passano; dalla Lombardia M. Melzi d'Eril e C. Cantù; da Napoli E. Cenni e il principe di Cellamare; dall'Umbria il conte C. Conestabile; da Roma C. Santucci, A. Ferraioli, il marchese A. di Baviera, direttore dell'Osservatore romano.
Le riunioni si svolsero dal febbraio all'aprile del 1879 nel palazzo del conte di Campello. Lunghe discussioni portarono alla formulazione dello statuto della costituenda Associazione conservatrice nazionale, in cui troviamo da un lato l'accettazione dei "fatti compiuti" e dall'altro il riconoscimento della necessità di una "vera, effettiva ed evidente" sovranità per il papa. A detta dei conservatori nazionali i due poteri avrebbero dovuto offrirsi "vicendevole sostegno" per il progresso civile del paese.
Dal Vaticano non venne però quel riconoscimento e quel consenso che i conservatori speravano e che era loro necessario: l'abolizione del non expedit era la pregiudiziale per il loro ingresso nella vita politica italiana. Oltre ai violenti attacchi rivolti dalla stampa cattolica intransigente, l'iniziativa venne più volte scoraggiata anche dalle gerarchie vaticane, nonostante un certo favore dimostrato in un primo tempo dal segretario di Stato, card. Nina. Sembra che lo stesso Leone XIII temesse che il nuovo partito, non avendo la necessaria forza per imporsi in forma autonoma, si sarebbe lasciato trascinare a fare da satellite al gruppo liberal-moderato. Anche uomini di parte liberale, quale R. Bonghi, non nascosero le loro perplessità.
Dopo il fallimento di questo tentativo il C. riprese la sua attività nella vita amministrativa romana. Più volte consigliere comunale fu anche vice presidente e poi presidente dell'Unione romana. Nel 1881 fu tra i promotori, assieme a Carlo Santucci, del Circolo di studi sociali in Roma, che mirava, assieme alla rivista Rassegna italiana, a preparare i cattolici alla vita pubblica.
Attiva fu anche la collaborazione del C. alla Rassegna nazionale, la nota rivista fiorentina diretta dal marchese Da Passano, che mirò a farsi interprete delle istanze del movimento cattolico-liberale e concibatorista. Tra gli articoli a carattere politico pubblicati dal C. sulla rivista fiorentina meritano di essere ricordati Un programma conservatore (1º giugno 1886) e soprattutto una lettera Al signor Eugenio Rendu (1º dic. 1888). In questi e altri articoli emergono chiaramente le sue prospettive politiche. Egli riteneva che se la grande maggioranza degli Italiani, con la caduta del non expedit, fosse entrata attivamente nella vita politica ne sarebbero uscite rafforzate le istituzioni, avrebbe avuto fine la guerra religiosa con il ritorno alla concordia sociale, su una base di moralità ispirata dal cattolicesimo.
Ma col passare degli anni il C. attenuò notevolmente il suo impegno politico, dedicandosi sempre con maggiore interesse agli studi storici e letterari. Numerosi furono i saggi a carattere storico che il C. pubblicò sulla Rassegna nazionale dedicati soprattutto alla storia della sua famiglia, successivamente raccolti e 2 pubblicati in due volumi, con il titolo Storia documentata aneddotica di una famiglia umbra (Città di Castello s. d.). La rivista fiorentina pubblicò anche alcuni romanzi, racconti e commedie del Campello.
Gli studi storici cui si dedicò negli ultimi anni della vita gli meritarono, nel 1901, la nomina a presidente della Deputazione di storia patria dell'Umbria, carica ricoperta in precedenza da Luigi Fumi.
Il 17 genn. 1908, mentre si trovava nella sua villa di Campello, venne colpito da paralisi che gli tolse il movimento di un braccio e di una gamba. Costretto all'immobilità, assistito dalla figlia Giacinta (dopo la morte della moglie avvenuta nel 1890), dettò le sue memorie, pubblicate nel 1910 con il titolo Ricordi di più che cinquant'anni. Esse rappresentano una importante fonte per la storia del movimento cattolico-liberale post-unitario, e soprattutto per le vicende di quel gruppo dei conservatori nazionali di cui il C. fu tra gli esponenti più rappresentativi.
Morì a Spoleto il 21 marzo 1917.
Fonti e Bibl.: Le carte private del C. sono conservate presso gli eredi in Spoleto. Tra le fonti a stampa sono da tener presenti soprattutto: P. Campello della Spina, Storia documentata aneddotica di una famiglia umbra, II, 2, Città di Castello s.d.; Id., Ricordi di più che cinquant'anni, Roma 1910; Brevi profili biografici si trovano in: B. Fabrizi, Pio IX nei ricordi di un suo figlioccio, s.l. né d.; M. Billia, P. C. e le sue memorie, Torino-Milano-Roma s.d.; P. Manassei, In affettuoso ricordo di P. C. d.S., Pistoia 1918; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, I, p. 364. Per il ruolo svolto dal C. nella vita politica italiana e nel movimento cattolico: E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, Milano 1932, II, pp. 20 s.; G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, Roma 1953, pp. 173-177; F. Fonzi, I cattolici e la società italiana dopo l'Unità, Roma 1953, pp. 34-50; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 56, pp. 134-136; F. Malgeri, Le riunioni del 1879 in casa Campello, in Rass. di polit. e di storia, VI (1960), 65, pp. 22-32; 68, pp. 6-19; G. De Rosa, Iconservatori naz., Brescia 1962, passim; P. Lopez, E. Cenni e i cattol. napol. dopo l'Unità, Roma 1962, passim;G. Spadolini, L'oppos. cattol. da Porta Pia al '98, Firenze 1966, pp. 168 s.; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Bari 1966, I, ad Ind.;R. Mori, Iltramonto del potere temporale, Roma 1967, passim;G. Licata, La "Rassegna nazionale", Roma 1968 (il volume contiene gli indici per tutti i numerosi articoli del C.); G. Ignesti, Il partito conservatore nazionale, in Civitas, XXII (1971), 7-8, pp. 3-35.