PAOLA Malatesta Gonzaga, prima marchesa di Mantova
PAOLA Malatesta Gonzaga (Paola Agnese), prima marchesa di Mantova.– Nacque da Malatesta di Pandolfo Malatesta di Pesaro e da Elisabetta di Rodolfo da Varano di Camerino in un anno incerto tra il 1384 e il 1393. All’atto del matrimonio con Gianfrancesco Gonzaga, nell’agosto 1409, era infatti detta, secondo la ricorrente formula notarile, maggiore di quattordici anni e minore di venticinque: la storiografia ha dunque preso per buona l’età minore, ponendo tradizionalmente l’atto di nascita di Paola al 1393.
Si tratta, considerato anche che Gian Francesco Gonzaga era nato nel 1395, di una data di nascita verosimile e accettabile, anche se vale la pena di ricordare che non esistono dati più certi per suffragarla.
In seno alla dinastia malatestiana, che dominava in quegli anni le maggiori città romagnole, Paola nacque dunque all’interno del ramo dei signori di Pesaro. Non abbiamo notizie della sua infanzia: ebbe tre fratelli, Galeazzo, Carlo e Pandolfo, più tardi arcivescovo di Patrasso, e due sorelle, Cleofe, che nelle lettere di Paola e dei suoi congiunti veniva chiamata sovente B(V)asilissa giacché era andata sposa a Teodoro di Manuele II Paleologo, imperatore di Costantinopoli, e Taddea, poi moglie di Ludovico Migliorati, signore di Fermo. I rapporti con il padre Malatesta, detto Malatesta dei sonetti, furono affettuosi e frequenti: si può supporre che questo signore, al tempo stesso soldato come voleva la tradizione familiare, e poeta per scelta personale, abbia influito profondamente sull’educazione di una figlia per cui trovava nelle lettere accenti di profonda e vera affezione. Paola ebbe in generale rapporti stretti e duraturi con i suoi parenti, anche nei momenti di maggiore difficoltà del ramo pesarese della famiglia, interponendo il marito Gonzaga ogni volta fosse possibile e necessario rafforzare soprattutto la posizione di Galeazzo, succeduto al padre nel vicariato di Pesaro nel 1429. In particolare intrattenne una ricca corrispondenza con la cognata Battista da Montefeltro, moglie di Galeazzo, cui la univa probabilmente un’analoga sensibilità religiosa.
Il matrimonio con Gianfrancesco Gonzaga giungeva a coronare una consuetudine fra le due dinastie nata nei decenni finali del Trecento e cementata da due precedenti unioni incrociate, quelle di Francesco Gonzaga, padre dello sposo, con Margherita di Galeotto Malatesta di Rimini, e di Carlo di Galeotto Malatesta di Rimini con Elisabetta di Ludovico Gonzaga, sorella di Francesco. Carlo Malatesta, nominato dal testamento di Francesco IV capitano tutore del giovane Gianfrancesco insieme alla Repubblica di Venezia, consolidò la propria influenza sul Gonzaga portando a buon fine il matrimonio, già concordato da Francesco Gonzaga, con la consanguinea Paola. Il giovane Gianfrancesco lasciò Mantova nel luglio del 1409: il 22 agosto venne stipulato a Pesaro l’atto notarile in cui Paola compiva formale rinuncia a qualunque pretesa per sé e per i propri eredi all’eredità paterna e materna, fatta salva la dote fissata in 5000 fiorini d’oro. I giovani sposi fecero ritorno a Mantova soltanto ai primi di gennaio dell’anno successivo: la festa di nozze in città venne celebrata il 18 gennaio del 1410, come risulta da un elenco di doni ricevuti dalla sposa in quell’occasione (ASMn, AG, b. 397).
Il fatto che si trattasse del secondo matrimonio malatestiano dei signori di Mantova fece sì che Paola potesse godere di numerosi beni, gioielli, cassoni ed effetti personali diversi già appartenuti alla defunta suocera Margherita e contrassegnati dal doppio stemma Gonzaga Malatesta, che le furono consegnati nel febbraio 1410 (ASMn, ibidem). Per contro, il problema della dote si trascinò per molti anni, nonostante uno strumento notarile venisse rogato a Mantova il 23 aprile 1410 al fine di testimoniarne lo sperato pagamento: alcune lacune nel testo hanno indotto Francesco Tarducci a ritenere infatti che l’atto fosse stato preparato in precedenza, ma non avesse avuto in realtà luogo. Il testamento di Malatesta Malatesta, redatto il 4 aprile 1422, recava d’altronde l’esortazione ai figli di pagare a Paola quanto le era dovuto jure institutionis per la sua dote, oltre a un legato paterno di 2000 ducati che doveva sanare un debito contratto da Malatesta con la figlia, somme che, considerate le condizioni di profondo indebitamento del testatore e a maggior ragione dei suoi eredi, è assai dubbio siano mai state pagate.
Il 5 giugno 1412 Paola diede alla luce il primo figlio, Ludovico, cui fece seguito probabilmente l’anno dopo il secondogenito Carlo (Paola, infatti, nel 1414, secondo Bonamente Aliprandi, era madre di due bimbi; B. Aliprandi, 1910, p. 180). Gli anni tra il 1409 e il 1414 furono gli anni del progressivo affrancamento di Gianfrancesco, sempre più adulto, dalle influenze esterne: si trattò dapprima del tutore Carlo Malatesta, poi dei potenti consiglieri Albertini, cresciuti alla sua ombra. La storiografia riconosce a Paola in questo contesto un ruolo significativo, in linea con il più generale ritratto che ne viene tramandato di donna responsabile, attenta, talora più salda e presente del marito. Nel conflitto che contrappose tra il 1413 e il 1414 il partito malatestiano di Carlo e del fratello Pandolfo, signore di Brescia, all’imperatore Sigismondo, cui si appoggiavano al contrario Carlo Albertini da Prato, consigliere del Gonzaga, e i fratelli, dapprima per ottenere al Gonzaga il titolo marchionale, poi per sostituirglisi, Paola prese naturalmente le parti dei congiunti Malatesta, al tempo stesso subodorando il pericolo che al dominio gonzaghesco poteva venire da quella che sembrò configurarsi, nel 1414, come una vera e propria congiura del partito degli Albertini. Come dimostra efficacemente una recente ricerca di Evelyn Welch, i due giovani signori mantovani erano tra l’altro pesantemente indebitati con gli Albertini, cresciuti in influenza e in potere in città: la congiura, scoperta e stroncata nella primavera del 1414, ebbe come risultato politico immediato il riallineamento del Gonzaga allo schieramento veneziano e come effetto duraturo una diffidenza definitiva di Gianfrancesco verso la creazione e il mantenimento all’interno dello Stato di figure predominanti di favoriti, oltre all’incameramento di un patrimonio di tale consistenza (nelle case degli Albertini il Gonzaga avrebbe trovato ben 120.000 ducati d’oro) da risanare per qualche tempo i dissesti delle proprie finanze. Paola dal canto suo vide probabilmente rafforzata la propria autorità personale, oltre che la sua autonomia finanziaria: dai suoi libri contabili risulta infatti che dalle sostanze confiscate agli Albertini ella ricevette da Gianfrancesco nell’estate del 1414 la somma non indifferente di 38.444 ducati.
La figura di Paola emerge dalle fonti secondo una significativa oscillazione: da un lato, la sincera religiosità e più in generale un’attenzione continua alla spiritualità, punteggiano la sua biografia di episodi che disegnano di lei il ritratto di una educatrice sensibile e attenta e di una donna di intenso e coerente sentire religioso. La sopravvivenza dei suoi libri contabili personali, evento archivistico decisamente raro per quest’epoca, rivela d’altro canto i lati più puntigliosi e prudenti della sua figura pubblica di signora e marchesa, quella figura che dovette essere di peso politico considerevole se nel 1429 il Senato veneziano disponeva di renderle particolare onore durante una sua visita a Padova: «quod ipsa domina quodammodo gubernat ipsum dominum et statum suum» (Archivio di Stato di Venezia, Senato Misti, reg. 57, c. 103v, 6 maggio 1429). I carteggi superstiti mostrano infatti come Paola in assenza del marito, impegnato in questi anni come condottiero della Serenissima, gestisse tutti gli affari dello Stato, in particolare quelli finanziari. Gianfrancesco era ben consapevole del valore della moglie: tra le numerosissime lettere indirizzate a Paola non sono rari accenti come quelli che ritroviamo al termine di una missiva del 1437, in cui il Gonzaga terminava una lunga serie di istruzioni politiche con la seguente ammissione: «che tractandove noi male ogni dì come faciamo, voi tanto mazormente studiati di farne cosa ne sia grata e da piacer continuamente, per questo venemo ad esser vinto da voi de gratitudine» [ASMn, AG, b. 2094, Gianfrancesco Gonzaga a Paola, 22.07.1437].
I rapporti dei Gonzaga con i massimi poteri ecclesiastici, i pontefici, e le visite di questi ultimi nella città virgiliana (Giovanni XXIII vi passò tra il gennaio e il febbraio del 1414, Martino V vi si fermò tra il novembre 1418 e il febbraio del 1419), nonché gli stretti legami fra la dinastia e l’Ordine francescano facilitarono l’esplicarsi della devozione di Paola, che aderì con entusiasmo alla riforma dell’Osservanza, introducendola in tutte le case dell’Ordine francescano di Mantova. Alla metà di maggio del 1418 si celebrò a Mantova, nel convento di S. Francesco, il capitolo generale dei frati minori: in quell’occasione Paola ebbe modo di conoscere Bernardino da Siena, con cui ebbe rapporti duraturi e significativi e alla cui influenza si dovette la volontà di Paola di installare le clarisse nel convento femminile del Corpo di Cristo. Durante il soggiorno di Martino V a Mantova, Paola ottenne dal pontefice sei bolle che probabilmente riguardavano proprio l’introduzione delle clarisse: accanto al convento del Corpus Domini, Paola volle fare edificare in questi anni (1416-19) una chiesa dedicata a s. Paola Romana, con il cui nome talora venne più tardi identificato il monastero stesso. Nel 1420 Bernardino da Siena tornò a Mantova su preghiera di Paola per predicare durante la quaresima: alle parole del santo e alla commozione che prese l’intera comunità cittadina si dovrebbero, secondo la tradizione, altre otto bolle pontifice ottenute da Paola per la fondazione di 3 monasteri di clarisse e di 4 di osservanti nelle diocesi di Mantova, Milano, Piacenza o altrove a suo piacere, e per il passaggio di alcuni noti monasteri cittadini o suburbani come S. Spirito e S. Maria delle Grazie all’Osservanza francescana.
Nel 1423 Gianfrancesco e Paola riuscirono a convincere Vittorino Rambaldoni da Feltre a trasferirsi a Mantova per occuparsi dell’educazione dei figli della coppia: a Ludovico e a Carlo si aggiunsero infatti tra il 1415 e il 1425 Margherita, poi moglie di Leonello d’Este, Giovan Lucido, Alessandro e Cecilia. I rapporti fra l’umanista e Paola furono stretti e quotidiani, come testimoniano le poche lettere rimaste di Rambaldoni. In almeno due occasioni la marchesa e l’educatore si trovarono poi fianco a fianco nel difendere i giovani Gonzaga nel corso di aspri scontri con il padre. Nel 1436 il passaggio del primogenito Ludovico dal fronte veneziano allo schieramento milanese – passaggio avvenuto pare all’insaputa di Gianfrancesco, allora capitano generale della Serenissima – provocò una decisa rottura dei rapporti fra padre e figlio. I due ricomposero questa frattura soltanto nel 1440 grazie all’opera di mediazione di Paola e di Rambaldoni. In quel periodo, mentre Ludovico era bandito dal mantovano, da una lettera di Federico di Hohenzollern a lei destinata (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 514, 25.02.1439) sappiamo che Paola non fece mancare il suo affetto alla giovane nuora, Barbara di Hohenzollern, cui alla corte di Mantova veniva ostentatamente preferita dal suocero Rengarda Manfredi, la moglie del secondogenito Carlo in quegli anni divenuto per volontà del padre erede del marchesato al posto di Ludovico.
Questione altrettanto aspra sorse in seno alla famiglia Gonzaga allorché l’ultimogenita Cecilia, nata nel 1425 e cresciuta alla scuola di Rambaldoni, rifiutò di contrarre il pattuito matrimonio con Oddantonio di Guidantonio di Montefeltro, futuro signore di Urbino, votandosi viceversa a Dio. Paola difese vigorosamente la scelta della figlia, in questo spalleggiata da Vittorino: il matrimonio non si fece, ma Cecilia dovette attendere la morte del padre nel 1444 per prendere finalmente i voti proprio nel monastero di clarisse fondato dalla madre.
Le vicende dei congiunti Malatesta, in particolare le vicissitudini di Galeazzo, signore di Pesaro, furono ben presenti a Paola, dal 1432-33 marchesa di Mantova: dalle lettere scambiate con la cognata Battista e con i fratelli emerge come Paola partecipasse con viva preoccupazione alle vicende che condussero Galeazzo, Carlo e Pandolfo a perdere il controllo di Pesaro tra il 1431 e il 1445, anno in cui Galeazzo abdicò definitivamente ai propri diritti su Pesaro in favore di Alessandro Sforza, sia cercando di rafforzare grazie all’appoggio gonzaghesco la posizione dei fratelli, presi in una morsa fra i parenti signori di Rimini e i conti di Montefeltro, sia sovvenendoli di denaro proprio. Gli interessi dei nipoti Elisabetta, signora di Camerino, e Cosimo (allievo di Vittorino da Feltre) e Jacopa di Ludovico Migliorati, signore di Fermo, le stettero a cuore tanto da farsene, in qualche caso, tutrice diretta, come in merito all’eredità del vescovo Pandolfo, fratello di Paola morto nel 1441.
I registri di entrate e uscite di Paola, conservati per un cospicuo torno d’anni (dal 1414 al 1438, con qualche interruzione), testimoniano la sua attività come signora di Mantova: dalle spese per la costruzione della chiesa di S. Paola alle quotidiane elemosine, ai salari dei suoi cortigiani, alle spese derivate dal mantenimento di rappporti vitali e continui con una rete assai vasta di parenti e correlati, le tracce contabili ci narrano la storia di una calibrata e attenta gestione di risorse non illimitate ma raramente ridotte (in questo Paola si dimostrò più oculata amministratrice del marito Gianfrancesco).
Alla morte del marito Gianfrancesco, nel settembre 1444, Paola si ritirò in una casa adiacente il convento del Corpus Domini in cui aveva preso il velo la figlia Cecilia: riceveva dal figlio, il marchese Ludovico, una provvisione mensile che le consentiva di vivere con una certa autonomia e in un decoro confacente al suo status. La salute, da sempre precaria (sin dal 1416 andava ai bagni di Petriolo: la tradizione fa risalire proprio a Paola la malformazione della colonna vertebrale poi ereditaria nella famiglia), le consigliò di recarsi ai bagni anche nella primavera del 1452: dalla stazione termale di Santa Maria chiedeva al maestro delle entrate Filippino Grossi che le mandasse 25 ducati dalla sua provvisione mensile (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2095, 30.05.1452). Si tratta dell’ultima notizia diretta che abbiamo di lei: la data esatta della sua morte non è nota, ma dall’inventario dei beni che si trovavano nella sua casa, redatto il 15 luglio 1453, si deduce che dovette morire presumibilmente nei primi mesi del 1453. Sepolta nella chiesa di S. Paola, fu dichiarata beata nel Martirologio francescano.
Fonti e Bibl.: Le fonti gonzaghesche principali per la ricostruzione della biografia di Paola sono, Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, Sponsali b. 197, Testamenti b. 332, Inventari di beni bb. 397, 399, Affari economici bb. 409-411, Corrispondenza Estera, Corti Elettorali b. 514, Corrispondenza Estera da Rimini bb. 1080-1083, Lettere originali dei Gonzaga bb. 2094-2095, Corrispondenza interna da Mantova e Paesi 2390-2391; M. Equicola d’Alveto, Dell’Istoria di Mantova libri cinque, Mantova 1610, p. 138; I. Donesmondi, Dell’Istoria ecclesiastica di Mantova, Mantova 1613, V, pp. 356, 360, 364 s., 382 s.; A. Possevino jr., Gonzaga. Calci operis addita genealogia totius familiae, Mantova 1622, pp. 497, 501, 535; S. Agnello Maffei, Gli annali di Mantova, Tortona 1675, pp. 762 s.; L.C. Volta, Compendio cronologico-critico della storia di Mantova dalla sua fondazione sino ai nostri tempi, Mantova 1827, t. II. pp. 94, 100; V. da Bisticci, Notizie di alcune illustri donne del secolo XV, in Archivio storico italiano, IV (1843), p. 444; C. de Rosmini, Idea dell’ottimo precettore nella vita e nella disciplina di Vittorino da Feltre e dei suoi discepoli, Milano 1845, p. 104; G. Mancini, Vita di Leon Battista Alberti, Firenze 1882, p. 429; A. Luzio, Cinque lettere di Vittorino da Feltre, in Archivio Veneto, XXVI (1888), pp. 329-341; A. Luzio-R. Renier, I Filelfo e l’umanesimo alla corte dei Gonzaga, in Giornale Storico della Letteratura Italiana, XVI (1890), p. 123; F. Tarducci, Cecilia Gonzaga e Oddantonio da Montefeltro. Narrazione e documenti, Mantova 1897; Id., Gianfrancesco Gonzaga signore di Mantova (1407-1420). Studi e ricerche, in Archivio Storico Lombardo, XVII (1902), pp. 321-333, XVIII (1903), pp. 36, 38, 46, 52 s., 61-66, 70-81; B. Aliprandi, Aliprandina o cronica de Mantua per B. A., a cura di A. Orsini Begani, in RIS, t. XXIV, Città di Castello 1910, pp. 175 s., 180; A. Fattori-B. Feliciangeli, Lettere inedite di Battista da Montefeltro, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, XXVI (1917), pp. 3-22; F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di G. Amadei - E. Marani - G. Praticò, Mantova 1955, I, pp. 728, 733 s., 743, 745, 750; II, pp. 18, 61; E. Faccioli, Mantova. Le lettere, Mantova 1955, II, pp. 13, 27; G. Coniglio, Mantova. La storia, Mantova 1958, I, pp. 445-451; F. Prendilacqua, De vita Victorini Feltrensis dialogus nell’edizione di E. Garin, Il pensiero pedagogico: l’Umanesimo, Firenze 1958, pp. 608 s., 616 s., 648 s.; Francesco da Castiglione, Vita Victorini Feltrensis, ibid., pp. 538 s.; C. Cenci, Antonio da Pereto, ministro generale O.F.M. e i capitoli di Roma (1411) e di Mantova (1418), in Archivum Francescanum Historicum, LV (1962), pp. 480-483; Id., I Gonzaga e i frati minori dal 1365 al 1430, ibid., LVIII (1965), pp. 5, 9, 27, 79, 81-84, 88, 92-94, 104, 108-113, 116-122; G. Coniglio, I Gonzaga, Milano 1967, pp. 43-45, 47 s., 51; R.M. Letts, Paola Malatesta and the court of Mantua, 1393-1453, MPhil. thesis Warburg Institute, London 1980; R. Signorini, Opus hoc tenue: la Camera dipinta di Andrea Mantegna, Mantova 1985, pp. 23, 189, 197, 204; I. Lazzarini, Tra continuità e innovazione: trasformazioni e persistenze istituzionali a Mantova nel Quattrocento, in Società e Storia, LXII (1993), pp. 719 s.; Ead., Fra un principe e altri stati. Relazioni di potere e forme di servizio a Mantova nell’età di Ludovico Gonzaga, Roma 1996, pp. 65, 68, 70 n., 223 n., 228, 266 n., 289 n., 290 n., 320 n., 356, 362 n., 371 n., 375, 401; Ead., Prime osservazioni su finanze e fiscalità in una signoria cittadina: i bilanci gonzagheschi tra Tre e Quattrocento, in Politiche finanziarie e fiscali nell’Italia settentrionale (secoli XIII-XV), a cura di P. Mainoni, Milano 2001, p. 119; E. Welch, The art of expenditure: the court of Paola Malatesta Gonzaga in fifteenth-century Mantua, in Renaissance Studies, XVI (2002), pp. 306-317.