FALCONE, Pandolfo
Originario di Augusta (odierna provincia di Siracusa), ottenne tra il 1270 e il 1280 il permesso di stabilirsi come cavaliere a Messina, dove si trasferì anche Federico Falcone di cui il F. era verosimilmente il fratello più giovane. Come Federico il F. si trovò dalla prima ora tra i sostenitori della Communitas messinese. Il suo nome figura nella lista dei testimoni dell'atto notarile con cui, nella primavera del 1282, gli abitanti della città restituirono all'arcivescovo Rinaldo da Messina i castelli di Caltabiano e di Magno Viridario, che Carlo I d'Angiò aveva in passato sottratto al governo della città. Evidentemente non riuscì però a stabilire un rapporto con Pietro III d'Aragona con la stessa facilità di Federico, perché negli anni successivi scompare dalla scena politica. Sembra che solo con l'ascesa al potere del figlio di Pietro, Giacomo II, nel 1286, il F. acquistasse influenza politica, sebbene anche nei confronti del nuovo re egli si presentasse come difensore degli interessi "nazionali siciliani".
Quando nell'autunno 1289 papa Niccolò IV, di concerto con Carlo Il d'Angiò, spedì nell'isola il monaco Raimondo ed esortò Giacomo a una crociata in Terrasanta, garantendo in premio l'assoluzione da tutte le pene canoniche in cui era incorso, fu innanzi tutti il F. a mettere in guardia il re da questo progetto. Egli ricordò l'esempio dell'imperatore Federico II, la cui crociata papa Gregorio IX aveva usato senza scrupoli per penetrare manu militari nel Regno di Sicilia. Anche in questa occasione l'intento del papa sarebbe stato solo quello di bloccare Giacomo con il suo esercito fuori dalla Sicilia per potere facilmente riconquistare l'isola rimasta sguarnita. Le obiezioni del F. contro la proposta di Niccolò IV contribuirono in maniera decisiva al rifiuto che Giacomo oppose al progetto e che Giovanni da Procida nel marzo 1290 trasmise alla Curia. L'intervento del F. a favore degli interessi siciliani, ma anche la condotta leale verso Giacomo II, che dal 1291 riunì nelle sue mani le corone di Sicilia e d'Aragona, fecero sì che nella primavera 1293 i Siciliani gli conferirono un incarico particolarmente delicato.
Dall'inverno 1292-93 nell'isola si era sparsa la voce che Giacomo II, pressato dalla coalizione di Napoli, Francia e Curia, progettasse di restituire la Sicilia a Carlo II d'Angiò. Nella primavera 1293 il F. fu perciò posto a capo di una legazione composta da tre messinesi (oltre al F., il cavaliere Federigo Rosso e il giureconsulto Ruggerio Geremia) e da tre palermitani (Giovanni di Caltagirone, Tommaso Grillo, il cavaliere Ugo Talac). Obiettivo della legazione era quello di convincere il re d'Aragona a palesare una volta per tutte le sue reali intenzioni circa il destino della Sicilia. Il F. e gli altri emissari giunsero a Barcellona il 5 luglio e chiesero al re di pronunciarsi chiaramente. Sebbene in un primo incontro a Lerida questi assicurasse che non era sua intenzione abbandonare la Sicilia, gli ambasciatori rimasero poco persuasi. Il F. fece intendere senza equivoci che, se il re d'Aragona fosse realmente intenzionato di restituire l'isola a Carlo II d'Angiò, i Siciliani non avrebbero esitato a proclamare re il suo fratello più giovane, Federico, il quale dal 1291 governava l'isola in qualità di reggente.
Dopo il risultato, nel complesso insoddisfacente, del primo incontro con Giacomo II, gli inviati siciliani non rientrarono subito in patria, ma vollero aspettare di vedere il risultato delle trattative che il re stava conducendo con Carlo II ed emissari francesi nella prima metà di agosto 1293 a Logroño. Sebbene durante questi colloqui Giacomo assicurasse effettivamente all'Angioino la restituzione della Sicilia entro un termine stabilito, in un successivo incontro il re confermò al F. che non avrebbe in nessun modo reso l'isola a Carlo. Nonostante le apparenze non si trattava di un abile doppio gioco ai danni dei Siciliani: il re aveva già allora segretamente maturato il disegno di assicurare l'isola alla dinastia aragonese come appannaggio della discendenza del fratello Federico, ma in considerazione dell'isolamento in cui si trovava sul piano internazionale aveva dovuto rassegnarsi a una rinuncia, seppure soltanto formale, all'isola.
A dimostrazione delle sue buone intenzioni, il 25 settembre, poco prima della partenza dei legati dall'Aragona, Giacomo concesse al F. di poter esportare dalla Sicilia 700 salme (140tonnellate) di grano senza pagare il dazio. Fu concordato che i legati entro due mesi sarebbero tornati in Aragona, dopo aver conferito con le autorità isolane. Il F. ricevette inoltre l'incarico particolare di restituire le 383 once d'oro che erano state prestate al re da Bernardo Riccardo.
Alla fine di settembre 1293 gli inviati ritornarono in Sicilia accompagnati da Tommaso da Procida, Guglielmo da Caltagirone e Riccardo di Lauria. Il F. dovette morire poco dopo il rientro perché da allora non viene più menzionato nelle fonti; nel novembre 1293 Tommaso da Procida tornò in Aragona da solo.
Oltre che sul F. e su Federico Falcone possediamo notizie sparse su altri membri della famiglia: Gualtieri, investito nel 1282 del titolo di comitus (capitano delle galere) di Augusta (De rebus Regni Siciliae. Documenti inediti estratti dall'Archivio della Corona d'Aragona, a cura di I. Carini-G. Silvestri, Palermo 1882-92, pp. 49 n. 45, 417 n. 454; Codice diplomatico dei re aragonesi di Sicilia, I, a cura di G. La Mantia, Palermo 1918, pp. 59 s. n. 21) e Andriolo, all'inizio del 1289 consul marinarium a Messina (ibid., pp. 441 s., n. 189).
Fonti e Bibl.: Barcellona, Archivo de la Corona d'Aragón, Cancilleria, reg. 261, f. 154; Bartholomaei de Neocastro Historia Sicula, a cura di G. Paladino, in Rerum Ital. Scriptores, 2 ediz., XIII, 3, pp. 83, 163; I diplomi della cattedrale di Messina, a cura di A. Amico - R. Starrabba, Palermo 1888, p. 126 n. 111; Acta Siculo-Aragonensia, I, 1, Documenti sulla luogotenenza di Federico d'Aragona, a cura di F. Giunta-N. Giordano-M. Scarlata-L. Sciascia, Palermo 1972, pp. 150 s. n. 169, 181 n. 207; H.E. Rohde, Der Kampf um Sizilien in den Jahren 1291-1302, Berlin-Leipzig 1913, pp. 83, 163; M. Amari, La guerra del Vespro siciliano, I, a cura di F. Giunta, Palermo 1969, pp. 439, 454 n., 468 s.; G. Zurita, Anales de la Corona de Aragón, a cura di A. Canellas Lopez, II, Zaragoza 1972, p. 445; E. Pispisa, Messina nel Trecento. Politica, economia, società, Messina 1980, pp. 25, 54.