PALEOGRAFIA
(XXVI, p. 34; App. III, II, p. 352; IV, II, p. 724)
Paleografia greca. − Prima di questi ultimi decenni, a parte rare eccezioni, la storia della scrittura greca antica e medievale, fino all'epoca dell'invenzione della stampa, è stata considerata non quale fenomeno d'insieme e autonomo ma piuttosto come elemento di studio e di verifica sussidiario di altre discipline: l'epigrafia che, mirando prevalentemente al carattere contenutistico delle iscrizioni, non poteva comunque prescindere dalle tecniche di esecuzione e dal percorso evolutivo dei segni grafici; la papirologia, interessata alla decifrazione e alla datazione non sempre agevole di molteplici scritture; la bizantinistica, per lungo tempo assai più attenta agli aspetti tecnico-librari e testuali, quindi codicologici e filologici, della produzione scritta che al fenomeno grafico.
Solo di recente la p. greca, intesa come visione globale del processo storico-evolutivo della scrittura, ha acquistato una propria autonomia assimilando, sia pur sovente in maniera faticosa o parziale, la metodologia assai più avanzata della p. latina, disciplina già da tempo autonoma, scaltrita dalla sperimentazione di indirizzi nuovi e rinsaldata da risultati validi. In questa prospettiva la p. greca, pur privilegiando lo studio della scrittura su papiro, pergamena e carta, non tralascia altre manifestazioni grafiche come quelle monumentali o numismatiche, in modo da attingere una conoscenza storica e critica, e critica perché storica, dell'evoluzione delle forme grafiche. D'altro canto la stessa p. greca tende, a ragione, sempre più ad abbandonare − pur continuando a servirsene come strumenti di sostegno ulteriore e di verifica − interessi pertinenti la codicologia, la storia e la critica dei testi, la decorazione del libro, i quali tuttavia vengono talvolta inglobati (non senza confusione) nella ricerca paleografica ancora oggi.
Come documentano collezioni di codici datati, raccolte di facsimili di scritture, repertori di copisti, atti di congressi, saggi e contributi numerosi, la ricerca nel campo della p. greca è stata in questi ultimi decenni assai estesa per interessi e ricca di risultati, alcuni dei quali tuttavia restano da sistemare o ridefinire. In particolare, la nomenclatura delle tipologie grafiche individuate si avvale di regola di denominazioni non proprie di ciascuna lingua moderna, ma quali sono state formulate nella lingua originale degli studi in cui il relativo fenomeno grafico è stato descritto.
Premesso che qualsiasi indagine sulla scrittura greca nella sua fase maiuscola − dal 4° secolo a.C., ove si parta dalle più antiche testimonianze su papiro, fino all'8°-9° secolo d.C. − si fonda su reperti greco-egizi, gli unici a essersi conservati in abbondanza, integrati solo in minima parte da materiali di altra origine, si è potuto constatare per l'età più antica che da una scrittura indistintamente a uso librario e documentario, quale tra i secoli 4°-3° a.C., si passa a forme che vengono, da una parte, ad acquisire caratteri di compostezza e talora eleganza formale (si tratta delle scritture adoperate in prevalenza nelle pratiche librarie), dall'altra a evolversi in tracciati corsivi o semicorsivi, talora ricomposti in linguaggi grafici stilizzati a uso cancelleresco (si tratta delle scritture adoperate in prevalenza nella prassi documentale, pubblica e privata). Questo processo si trova già concluso nel 2° secolo a.C., epoca dalla quale si dipartono i due grandi filoni della scrittura greca maiuscola, calligrafica e corsiva, pur se con forme intermedie e meccanismi di scambio.
All'interno delle molte, mutevoli e tipologicamente varie scritture maiuscole d'uso e funzione libraria sono stati enucleati stili grafici di breve durata (assai caratteristici lo stile ''epsilon-theta'' fiorito tra 1° secolo a.C. e 1° d.C., e la ''maiuscola rotonda'' testimoniata nel tardo 2° secolo d.C. e forse fino ai primi del 3°), canoni che, una volta definitisi, continuano per più secoli (sono la ''maiuscola biblica'', la ''maiuscola alessandrina'', la ''maiuscola ogivale diritta'', la ''maiuscola ogivale inclinata'', tutte in uso dall'ultimo scorcio del 2° secolo e rimaste in vita fino al 9° circa), tipologie grafico-mimetiche e arcaizzanti (la ''maiuscola bacchilidea'' di tarda età antoniniana, o la ''maiuscola rotonda'' ripresa nel secolo 5°-6° da modelli del 2°-3°), qualche manifestazione grafica speciale e artificiosa (la ''maiuscola liturgica'' creata nel 9° secolo e che resiste per qualche tempo). Nonostante alcuni contributi, resta da fare uno studio su uso e sopravvivenza della maiuscola come scrittura ''distintiva'' in codici in minuscola, a partire perciò dal secolo 9°.
Per quanto concerne le scritture della prassi documentale, nel campo della documentazione pubblica l'età dioclezianea (3°-4° secolo) segna la formazione di una koiné scrittoria greco-latina dovuta all'interagire dei due sistemi grafici al livello di mani che, in ambito burocratico, praticavano le due scritture, greca e latina, laddove invece nella documentazione privata continua il filone della maiuscola corsiva tradizionale. Sempre in ambito burocratico vengono a caratterizzarsi alcuni stili cancellereschi (dalla cosiddetta ''scrittura alta e stretta'' in uso tra i secoli 2°-4° d.C., alle forme arrotondate e occhiellate, nate sul terreno della koiné, in uso fino all'8°-9° secolo, in continua evoluzione verso strutture minuscole).
Nessun dubbio ormai sussiste che la minuscola libraria, comunemente adoperata a partire dal secolo 9°, si è formata sul terreno della scrittura documentaria di estrazione burocratica e di carattere più posato, mentre tentativi di trasposizione di forme grafiche fortemente corsive nella pratica libraria furono presto abbandonati (esemplare il caso di quella che P. Maas chiamava "minuscola damascena", testimoniata tra 8° e 9° secolo, ora correttamente indicata con il nome di "minuscola agiopolita"). Resta valida l'ipotesi che la minuscola libraria abbia avuto il suo centro di formazione e irradiazione in Costantinopoli, purché si tenga conto di suggestioni e apporti che possono essere venuti da altri centri e territori greco-orientali − l'Egitto, la Siria, soprattutto la Palestina −, nei quali la scrittura greca rimase in certi usi anche dopo che essi, a partire dal secolo 7°, furono sottratti all'impero bizantino da Persiani e Arabi.
Nell'arco di tempo in cui la minuscola libraria manoscritta fu (o rimase accanto alla stampa) in uso − secoli 9°-16° e in certi casi anche oltre − sono i periodi al tornante tra 11° e 12° secolo e tra 13° e 14° a segnare le svolte fondamentali nel processo di evoluzione della scrittura, il primo in quanto l'equilibrio grafico esistente viene a rompersi, mentre si manifestano squilibri (o scarti) modulari tra le lettere, talora complicati da uso di svolazzi e di abbreviazioni (cosiddetta Fettaugenmode); l'altro perché segnato, da una parte, da una ''restaurazione'' calligrafica fondata su filoni di scritture tradizionali posate rimasti in vita e confortati dall'imitazione di manifestazioni grafiche più antiche (il risultato più esemplare è costituito dalle "scritture mimetiche dell'età dei Paleologi"), e dall'altra da tendenze che sfoceranno in scritture individuali, prevalenti poi nei secoli 15° e 16°.
Una distinzione di tipi e stili grafici all'interno della minuscola libraria (mentre non è stato individuato alcun canone) è resa difficile dalla sostanziale mancanza nel mondo bizantino di scriptoria che pratichino un indirizzo grafico peculiare, dato anche il carattere fortemente unitario della civiltà di Bisanzio. Si possono grosso modo distinguere certe maniere di scrittura metropolitane, proprie di Costantinopoli, da altre provinciali, ma non sempre senza esitazioni, giacché numerose e continue furono le influenze tra centro e periferia, e così pure tra le stesse aree periferiche. Meglio di altre si conoscono le scritture italo-greche, proprie della produzione libraria testimoniata nel Medioevo e fino all'inizio dell'età moderna nell'Italia meridionale e nella Sicilia di cultura greca.
Nel complesso della minuscola libraria − orientale e occidentale − si è potuto giungere, così, all'individuazione di alcuni linguaggi grafici che pur correntemente qualificati come tipi o stili mostrano in realtà una gamma di soluzioni assai diversificata, caratterizzandosi talora in tipologie precise, ma presentandosi altre volte in forme stilisticamente fluide (si hanno la ''minuscola della collezione filosofica'' tra il tardo 9° e i primi anni del secolo 10°, la minuscule bouletée nel 10° secolo, la ''minuscola di tipo Anastasio'' tra l'ultimo scorcio del 9° e i decenni centrali del 10° secolo, e ancora − ritenute concordemente peculiari dell'Italia meridionale − la ''minuscola ad asso di picche'' e la ''minuscola della scuola niliana'' del 10°-11° secolo, lo ''stile rossanese'' e lo ''stile di Reggio'' del 12° secolo, e infine la ''barocca otrantina'', fiorita tra la prima metà del 13° e gli inizi del 14° secolo, la quale tuttavia non è stata finora oggetto di alcuno studio serio per quanto ne concerne origine grafica e diffusione). Altri linguaggi grafici (quali, per es., la Perlschrift, la ''minuscola Efrem'', l'Angeloi-stil, il Metochitesstil), non sembrano avere connotazioni tali da poter essere circoscritti in un tipo o stile di scrittura determinato. A parte le scritture italo-greche, in altre aree provinciali di Bisanzio − Asia Minore, Grecia, Creta, Cipro − si è cercato di distinguere, ma più volte invano, forme grafiche specifiche o scritture particolari (più connotate di altre si dimostrano le scritture di Cipro dette ''cipriota-palestinese'' del secolo 12°-13° e ''cipriota-bouclée'' del 14°). Per l'età più tarda, assai indagate risultano le scritture umanistiche e rinascimentali, sulle quali furono modellati i caratteri a stampa dell'editoria greca, attiva in Italia tra gli ultimi decenni del secolo 15° e i primi decenni del 16°. Particolare attenzione hanno ricevuto, per quest'epoca, le scritture individuali di singoli copisti o copisti-filologi.
Ove si passi a considerare la minuscola nell'uso documentario, ne sono stati indagati i rapporti con la minuscola libraria, ma solo al fine di datare o localizzare meglio quest'ultima, non invece nell'ambito del fenomeno grafico nel suo complesso. Resta dunque tutta da proporre una riflessione che, tenendo conto delle lontane origini della minuscola nella prassi documentale già di età tardoantica e di ambito burocratico, ne segua l'ulteriore storia evolutiva in epoca medio e tardo-bizantina, con particolare riguardo al momento in cui la minuscola stessa − sul fondamento delle sottoscrizioni presenti nei documenti − risulta insegnata come scrittura elementare di base, ai diversi ambienti in cui fu adoperata, alle maniere di caratterizzarsi nella documentazione pubblica e privata.
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Paleografia latina. - La denominazione della disciplina appare sempre più inadeguata a comprendere e significare il complesso di ricerche sperimentato dagli studiosi del filone latino. La denominazione Storia della scrittura latina risponderebbe meglio sia alle esigenze, avvertite da vari decenni, di comporre in una visione unica tutte le manifestazioni della scrittura latina a mano (J. Mallon) in modo da seguirne le vicende anche oltre i limiti dell'introduzione della stampa (G. Cencetti), sia alle finalità delle più recenti metodologie, volte a conoscere, attraverso l'indagine tecnica delle forme grafiche, gradi di alfabetizzazione, funzione e diffusione della scrittura nelle società dall'età antica a quella moderna (A. Petrucci).
Tra il 1979 e il 1989 gli studi di storia della scrittura latina hanno trovato una sistemazione concettuale e metodologica diversa in due manuali: il più recente, con ampio corredo bibliografico aggiornato e notevole attenzione agli ambienti socio-culturali produttori e destinatari di scrittura, è di A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina (Roma 1989; nuova ed., riveduta e aggiornata, ivi 1992), mentre del 1979 è la Paläographie des römischen Altertums und des abendländischen Mittelalters di B. Bischoff (1991), poi tradotta in francese nel 1985 da H. Atsma e J. Vezin, in inglese nel 1990 da D. O'Croínín e D. Ganz, in italiano nel 1992 da G.P. Mantovani e S. Zamponi. La Paläographie, che certamente non ignora alcuni risultati di studi improntati a metodologie nuove, rispecchia la concezione di L. Traube e P. Lehmann di una p. e di una scienza del manoscritto come discipline prevalentemente ancillari della filologia e della storia della tradizione dei testi, una p. incentrata quindi sullo studio delle scritture librarie, con esclusione pressoché totale di altre espressioni grafiche. Tale indirizzo di studi è oggi praticato in forme eccellenti dalla scuola monacense e si concreta ancora una volta nell'imponente affresco portato a termine da Bischoff stesso, Die südostdeutschen Schreibschulen und Bibliotheken in der Karolingerzeit (i, Lipsia 1940; ii, Wiesbaden 1980).
Quanto ai due grandi censimenti di materiale documentario e librario databile entro l'anno 800, le Chartae latinae antiquiores, sotto la direzione unica di R. Marichal − dopo la scomparsa nel 1985 di A. Bruckner − si avviano al completamento, con il solo materiale spagnolo ancora interamente da pubblicare; i Codices latini antiquiores di E.A. Lowe si sono nel frattempo arricchiti di Addenda, a cura di B. Bischoff, V. Brown e J.J. John (in Mediaeval Studies, 47 [1985], pp. 317-67, e ibid., 54 [1992], pp. 286-307). Negli Addenda (n. 1817), compaiono i frammenti papiracei rinvenuti nel 1978 nella Nubia, oggi conservati al Museo di antichità egiziane del Cairo, recanti epigrammi di Cornelio Gallo in una capitale rustica datata fra 50 a.C. e 25 d.C.: ma l'autenticità di questa testimonianza, che sarebbe la più antica pervenutaci di tale scrittura, è da respingere secondo F. Brunhölzl (Der sogenannte Galluspapyrus von Kaṣr Ibrîm, in Codices manuscripti, 10 [1984], pp. 33-40) e resta incerta nonostante le successive argomentazioni di J. Blänsdorf (Der Gallus-Papyrus eine Fälschung?, in Zeitschrift für Papirologie und Epigraphik, 67 [1987], pp. 43-50) e di G. Ballaira (Per l'autenticità del papiro di Cornelio Gallo di Caṣsr Ibrîm, in Paideia, 42 [1987], pp. 47-54). Negli stessi Addenda (n. 1867) è registrato il ritrovamento di frammenti membranacei in onciale del secolo 5°, oggi al Museo copto del Cairo, pubblicati da B. Bravo e M. Griffin (Un frammento del libro XI di Tito Livio?, in Athenaeum, n.s., 66 [1988], pp. 447-521). Dal 1980 la collana "Armarium codicum insignium" di Turnhout si è autorevolmente affiancata ad altre già note collane di codici riprodotti.
Se la p. latina (ma quasi esclusivamente dei codici) sembra aver assunto una sua rilevanza nell'ambito degli studi umanistici dell'Europa centro-orientale e dell'America del Nord, se le ricerche comparate di p. greca e latina paiono a una battuta d'arresto, è sempre vivace l'indagine sui grandi momenti e problemi della storia della scrittura latina: datazione della capitale libraria, passaggio dalla maiuscola alla minuscola, origini della carolina.
Negli anni Ottanta sono venute a mancare personalità di rilievo per la disciplina: C. Samaran (1982), J. Mallon (1982), N.R. Ker (1982) e J. Brown (1987). Di Samaran restano vitali alcune iniziative, risalenti al Colloque international de paléographie, da lui organizzato a Parigi nel 1953: da un lato il Comité international de paléographie (dal 1985 Comité international de paléographie latine), promotore di ricerche e di proficui incontri internazionali di studio, dall'altro la pubblicazione del catalogo dei manoscritti datati, alla cui realizzazione −avviatasi per la Francia nel 1959, sotto la direzione dello stesso Samaran e di R. Marichal − hanno da tempo aderito quasi tutti i paesi europei (Paesi Bassi, Belgio, Austria, Svizzera, Italia, Gran Bretagna, Svezia, Germania), sia pure con disomogeneità, quanto ai criteri e ai tempi di pubblicazione. L'impresa dei ''manoscritti datati'', sottesa da esigenze euristiche ampiamente espresse e praticate da Samaran, ha influito in misura notevole sull'indirizzo di un ampio settore di studi francesi di p. latina: la conoscenza di scriptoria medievali si è ampliata quantitativamente e qualitativamente, l'attività di molti copisti è sfuggita all'anonimato, alcuni autografi d'autore sono stati per la prima volta individuati, le indicazioni di datazione e localizzazione rilevabili dai manoscritti sono state vagliate e sfrondate di molte insidie (J. Vezin, M.C. Garand, J. Dufour, G. Ouy), la terminologia paleografica ha offerto ancora una volta materia di riflessione (F. Gasparri), così come, ancor più, quella codicologica (D. Muzerelle).
Quanto a Mallon, la sua rivoluzionaria visione della p., la sua scoperta del ductus (è noto che il termine fu usato dallo studioso, come tuttora da paleografi francesi e belgi, col significato di ''tratteggio'') quale elemento essenziale della morfologia e dell'evoluzione delle forme grafiche, la sua storia dinamica e senza cesure della scrittura latina costituiscono ormai un patrimonio acquisito. Di Mallon, che condivise parte delle sue esperienze di ricerca con Marichal e C. Perrat, sono stati interlocutori principali, nel merito del metodo e delle soluzioni proposte per i grandi problemi di storia della scrittura latina, G. Cencetti, Petrucci e J.-O. Tjäder; la sua p. ''romana'' non sembra però aver dato luogo a un filone di studi particolare né in Francia, né altrove. D'altra parte, se nessuno studioso di storia della scrittura (e comunque di testimonianze scritte) può prescindere dall'opera di Mallon, va constatato come lo sviluppo più diretto della metodologia malloniana si sia avuto da un lato in alcuni aspetti degli studi di L. Gilissen (per quanto riguarda la sua "paleografia analitica" e in particolare l'analisi del ''ductus completo'' che, rispetto a quello malloniano, definito "essenziale", comporta la ricostruzione del movimento necessario per tracciare le lettere anche quando il movimento stesso non si sia concretato nell'esecuzione di tratti), dall'altro nel tentativo compiuto nei primi anni Settanta da C. Sirat di studiare la scrittura medievale ebraica con tecniche di laboratorio, e, dalla stessa studiosa, di avviare un'indagine globale e interdisciplinare della scrittura, nel Colloquio promosso nel 1988 − insieme con J. Irigoin ed E. Paulle − su L'écriture: le cerveau l'oeil et la main, Turnhout, 1990 ("Bibliologia", 10). M. Palma e G. Cavallo, inoltre, hanno portato critiche determinanti (rispettivamente in Scrittura e civiltà, 2 [1978], pp. 263-73, e 4 [1980], pp. 337-44) al principio di "angolo di scrittura" come formulato da Mallon.
Quanto ai due illustri studiosi inglesi, si deve soprattutto a N.R. Ker un enorme progresso nella conoscenza di biblioteche, manoscritti, centri scrittori e scribi anglosassoni di epoca medievale, a J. Brown nuove indagini sull'origine e lo sviluppo delle scritture insulari e sui rapporti fra Irlanda e Inghilterra durante il periodo del particolarismo grafico. Nell'ambito degli studi inglesi di p. latina occorre ricordare inoltre le raffinate ricerche sulla scrittura di grandi letterati e di importanti copisti dell'umanesimo italiano, dovute ad A.C. de la Mare, nonché la pubblicazione, a cura di A.K. Bowman e J.D. Thomas, delle tavolette di Vindolanda (Northumberland), un ritrovamento dell'inizio degli anni Settanta, certamente il più importante degli ultimi decenni per la sua antichità (1° e 2° secolo d.C.), la sua consistenza, l'inconsueta fattura del supporto scrittorio e dell'impaginazione (su questo e altri tipi di tavolette: Les tablettes à écrire de l'antiquité à l'époque moderne, a cura di E. Lalou, Turnhout 1992 [Atti del Colloquio internazionale del CNRS, Parigi, Institut de France, 10-11 ottobre 1990; "Bibliologia", 12]). Quanto ai problemi dell'impaginazione, quelli inerenti al libro scolastico dei secoli 11°-13° sono stati brillantemente affrontati da M.B. Parkes (The influence of the concepts of ''ordinatio'' and ''compilatio'' in the development of the book, in Mediaeval learning and literature. Essays presented to R.W. Hunt, a cura di J.J.G. Alexander e M.T. Gibbson, Oxford 1976, pp. 115-41); da R.H. Rouse e M.A. Rouse (Statim invenire. Schools, preachers and new attitudes to the page, in Renaissance and renewal in the twelfth century, a cura di R.L. Benson e G. Constable, Cambridge [Mass.] 1982, pp. 201-25); da C. de Hamel (Glossed books of the Bible and the origins of the Paris booktrade, Woodbridge-Suffolk 1984). A M.B. Parkes si deve inoltre uno dei contributi più complessi sull'uso dell'interpunzione nei libri antichi e medievali: Pause and effects. An introduction to the history of punctuation in the West, Cambridge 1992.
In Italia, infine, l'obiettivo di una ricerca che collegasse direttamente la scrittura alla società che l'ha prodotta e studiasse i problemi dell'alfabetismo (v., in questa Appendice) − non nuovo per sociologi, linguisti, storici dell'età moderna di area francese e anglossassone − è stato perseguito, senza alcuna restrizione cronologica e con un metodo del tutto originale − quello paleografico − da Petrucci, secondo una proposta formulata e praticata già negli anni Sessanta, ulteriormente approfondita alla fine degli anni Settanta. La nuova serie di Alfabetismo e cultura scritta (i, 1988, direttori A. Petrucci e A. Bartoli Langeli) suggella lo sviluppo di tale indirizzo di studi, sperimentatosi per circa un decennio e in ambito soprattutto italiano, nel Seminario permanente di alfabetismo e cultura scritta di Perugia e nella stampa delle relative Notizie. Nuovo è apparso anche il programma di Scrittura e civiltà, fondata nel 1977 da Petrucci come "punto d'incontro, di confronto e di rendiconto critico che abbracci il campo della storia delle scritture adoperate nel mondo europeo e mediterraneo...", "come luogo di incontro e di confronto di nuove ricerche promosse da studiosi appartenenti a diverse nazioni e provenienti da differenti discipline". La rivista ha sostanzialmente tenuto fede al programma. Il primo numero esordiva infatti con un importante saggio di E. Casamassima (in collaborazione con E. Staraz), Varianti e cambio grafico nella scrittura dei papiri latini, dalla metodologia del tutto nuova: l'applicazione dell'indagine strutturalista allo studio del rapporto maiuscola-minuscola, riproposta più tardi dallo stesso Casamassima nella non meno impegnativa ricerca sulla Tradizione corsiva e tradizione libraria nella scrittura latina del Medioevo (Roma 1987), pubblicata pochi mesi prima della sua scomparsa. Nel primo numero di Scrittura e civiltà iniziava inoltre − con un intervento di G. Cardona, Sull'''etnografia della scrittura''- una discussione improntata all'interdisciplinarietà, proseguita nelle annate successive con contributi di epigrafisti, codicologi, papirologi e studiosi di scritture diverse dalla latina − la greca, soprattutto, ma anche l'etrusca, l'araba, l'ebraica. La "Biblioteca di Scrittura e civiltà" diretta da A. Petrucci, A. Pratesi e G. Cavallo, dal 1987 si è affiancata alla rivista per la pubblicazione di monografie, atti di convegni, ecc. Il primo volume della collana, di P. Supino Martini, Roma e l'area grafica romanesca (secoli X-XII), Alessandria 1987, è dedicato alla ricostruzione della fisionomia grafico-culturale della zona di diffusione di una stilizzazione libraria della carolina italiana, la ''romanesca''.
Bibl.: Gli studi sulla capitale libraria si devono soprattutto ad A. Pratesi, Appunti per la datazione del Terenzio Bembino, in Paleographica, diplomatica et archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, i, Roma 1979, pp. 71-84; Id., Nuove divagazioni per lo studio della scrittura capitale. I ''codices Vergiliani antiquiores'', in Scrittura e civiltà, 9 (1985), pp. 5-33; Id., Aufbau, Schrift und Text des Vergilius Romanus, in Vergilius Romanus, Codex Vaticanus latinus 3867. Beiträge, Zurigo 1985 ("Codices e Vaticanis selecti", lxvi), pp. 32-65. Sul passaggio dalla maiuscola alla minuscola, oltre al citato studio di E. Casamassima ed E. Staraz, si veda J.-O. Tjäder, Considerazioni e proposte sulla scrittura latina nell'età romana, in Palaeographica, diplomatica et archivistica, cit., i, pp. 31-60; Id., Later Roman (Common) script, in Calames et cahiers. Mélanges de codicologie et de paléographie offerts à Léon Gilissen, Bruxelles 1985, pp. 187-97. Per le origini della carolina si ricordano A. Pratesi, Le ambizioni di una cultura unitaria; la riforma della scrittura, in Nascita dell'Europa ed Europa carolingia: un'equazione da verificare, Spoleto 1981, pp. 507-23 (XXVII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo) e D. Ganz, The preconditions for caroline minuscule, in Viator, 18 (1987), pp. 23-43. Un utilissimo strumento di lavoro si deve a L.E. Boyle, Mediaeval Latin palaeography. A bibliographical introduction, Toronto-Buffalo-Londra 1984. In coincidenza con la scomparsa di J. Mallon vedeva la luce la raccolta critica dei suoi studi, curata dallo stesso autore, De l'écriture. Recueil d'études publiées de 1937 à 1981, Parigi 1982. Per la p. analitica e in particolare per il ductus "essentiel" e "complet", si vedano le pp. 13-14 di L. Gilissen, in R. Gryson, L. Gilissen, Les scolies ariennes du Parisinus latinus 8907. Un échantillonage d'écritures latines du Ve siècle, Turnhout 1980, ("Armarium codicum insignium", 1). Per la bibliografia di N.R. Ker fino al 1978 si veda la nota di J. Gibbs, in Medieval scribes, manuscripts and libraries. Essays presented to N.R. Ker, a cura di M.B. Parkes e A.G. Watson, Londra 1978, pp. 371-79; quindi Supplementary bibliography of N.R. Ker, in N.R. Ker, Books, collectors and libraries. Studies in the medieval heritage, a cura di A.G. Watson, ivi 1984, pp. xiii-xiv. Una nota bibliografica di T.J. Brown è stata pubblicata da M.P. Brown, in Scrittura e civiltà, 12 (1988), pp. 305-16; è inoltre utilissima la raccolta A paleographer's view: selected writings of J. Brown, a cura di J. Bately, M. Brown, J. Roberts, Londra 1993 (con bibliografia alle pp. 293-95). L'amplissima e più recente bibliografia di A. Petrucci è recuperabile, fino al 1986, in P. Supino Martini, La paleografia latina in Italia da Giorgio Cencetti ai giorni nostri, in Un secolo di paleografia e diplomatica (1887-1986). Per il centenario dell'Istituto di Paleografia dell'Università di Roma, a cura di A. Petrucci e A. Pratesi, Roma 1988, pp. 64-76 [nello stesso volume compaiono rassegne sugli studi di p. latina nell'ultimo secolo della Scuola Vaticana (G. Battelli), della scuola di Monaco (J. Autenrieth), nonché di Francia (D. Muzerelle), Spagna (F.M. Gimeno Blay), Europa centrale e orientale (P. Spunar), Belgio (L. Gilissen), Svezia (J.-O. Tjäder), Nord America (R.H. Rouse)]. Ancora di Petrucci, specificamente attinenti alla storia della scrittura latina e successivi al 1986, gli studi: Pouvoir de l'écriture, pouvoir sur l'écriture dans la Renaissance italienne, in Annales. Economies Sociétés Civilisations, 4 (1988), pp. 823-47; ''L'antiche e le moderne carte'': imitatio e renovatio nella riforma grafica umanistica, in Renaissance- und Humanistenhandschriften, a cura di J. Autenrieth, Oldenbourg 1988 (Schriften des historischen Kollegs. Kolloquien, 13), pp. 1-12; Storia e geografia delle culture scritte (dal secolo XI al secolo XVIII), in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Storia e geografia, ii/2, L'età moderna, Torino 1988, pp. 1193-292; Mille anni di forme grafiche nell'area milanese, in Il Millennio Ambrosiano. La nuova città dal Comune alla Signoria, a cura di C. Bertelli, Milano 1989, pp. 140-63; Prospettive di ricerca e problemi di metodo per una storia qualitativa dell'alfabetismo, in Sulle vie della scrittura. Alfabetizzazione, cultura scritta e istituzioni in età moderna. Atti del Convegno di Studi, Salerno 10-12 marzo 1987, a cura di M.R. Pelizzari, Napoli 1989, pp. 21-37; Scrivere ''in iudicio''. Modi, soggetti e funzioni di scrittura nei placiti del ''regnum Italiae'' (secc. IX-XI), in collaborazione con C. Romeo, in Scrittura e civiltà, 13 (1989), pp. 5-48; Mille anni di forme grafiche nell'area milanese, in Il millennio ambrosiano. La nuova città dal Comune alla Signoria, a cura di C. Bertelli, Milano 1989, pp. 140-63; Sullo scrivere in viaggio, in L'uomo. Società tradizione sviluppo, iii, n.s., 2 (1990), pp. 253-58; Scrittura e alfabetismo nella Bergamo altomedievale. Note e osservazioni, in Bergamo e il suo territorio nei documenti altomedievali. Atti del Convegno, Bergamo 7-8 aprile 1989, a cura di M.C. Cortesi, Bergamo 1991, pp. 123-30; L'écriture manuscrite et l'imprimerie: rupture ou continuité?, in L'écriture: le cerveau l'oeil et la main, Turnhout 1990, nota 9 e contesto, pp. 411-21; La scrittura descritta, in Scrittura e civiltà, 15 (1991), pp. 5-20; Paleografia greca e paleografia latina: significato e limiti di un confronto, in Paleografia e codicologia greca: Atti del II colloquio internazionale (Berlino-Wolfenbüttel, 17-21 ottobre 1983), i, Alessandria 1991 ("Biblioteca di Scrittura e civiltà", iii), pp. 463-84; Storia della scrittura e storia della società, in Anuario de estudios medievales, 21 (1991), pp. 309-22; Storia della scrittura come storia di strutture: originalità e tradizione nell'opera di Emanuele Casamassima paleografo, in Medioevo e Rinascimento, 5, n.s. 2 (1991), pp. 105-18; Scrivere nel Cinquecento: la norma e l'uso fra Italia e Spagna, in El libro antiguo español. Actas del segundo Coloquio Internacional, Madrid 1992, pp. 355-65; Medioevo da leggere. Guida allo studio delle testimonianze scritte del Medioevo italiano, Torino 1992 ("Piccola Biblioteca Einaudi", 571); ''Scriptores in urbibus''. Alfabetismo e cultura scritta nell'Italia altomedievale, in collaborazione con C. Romeo, Bologna 1992; A. Petrucci, Scrittura e figura nella memoria funeraria, in Testo e immagine nell'Alto Medioevo, Spoleto 1994 (Settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto medioevo, XLI), pp. 277-96.
Paleografia ebraica. - Oggetto di questa disciplina, sviluppatasi soprattutto nell'ultimo trentennio, è lo studio delle forme che ha assunto la scrittura ebraica, in prevalenza su membrana e su carta, dal 9° secolo d.C. − età a cui risalgono i più antichi manoscritti a noi pervenuti − fino alla metà del 16° secolo, quando la stampa standardizzò e limitò la varietà delle grafie. L'identificazione del tipo di scrittura, al fine della datazione e della localizzazione dei manoscritti senza colophon, e la sua lettura sono, ovviamente, i principali obiettivi della p. ebraica. Sono stati classificati sei tipi di scrittura in conformità alla diffusione geografica degli ebrei nel corso del Medioevo: orientale, yemenita, bizantino, sefardita, italiano, ashkenazita.
Essi sono riconoscibili secondo la forma che hanno preso nei secoli 14° e 15°, periodo cui appartiene il maggior numero di manoscritti. Il tipo orientale, caratterizzato da una grande varietà di forme, fu usato nel Vicino Oriente, cioè in Asia Minore orientale, ῾Irāq, Persia, Siria, Palestina ed Egitto. Il tipo yemenita, quello meglio definito anche per il relativo isolamento culturale degli ebrei di quella regione, ha conservato fino al 19° secolo le caratteristiche grafiche dei secoli 14° e 15°. Il tipo bizantino, chiamato anche greco, nelle sue più antiche espressioni ha risentito del tipo orientale, ma dal secolo 15° in poi ha subito l'influsso ora del tipo italiano ora di quello sefardita. Esso fu impiegato nelle isole greche, nell'Asia Minore occidentale, in Crimea, a Creta e nelle regioni dell'Italia meridionale sottoposte al dominio bizantino. Il tipo sefardita, fra tutti quello più articolato, fu adottato nella penisola iberica, in Provenza, nella Linguadoca meridionale, nel Maghreb (Algeria, Tunisia, Marocco), in Sicilia e perfino nell'Italia meridionale. Questa grande diffusione favorì la formazione di sottotipi e varianti regionali (iberico, provenzale, nordafricano) negli stili semicorsivi e corsivi. Il tipo italiano cominciò a distinguersi a partire dal 12° secolo; alla fine del 13° lo stile quadrato ha subito l'influsso di quello ashkenazita. Quest'ultimo tipo fu usato nella Germania medievale, nella Francia centrale e settentrionale, in Inghilterra e in altre regioni dell'Europa settentrionale. Il tipo orientale e quello sefardita, in particolare negli stili corsivi, hanno subito in modo assai evidente l'influsso della scrittura araba. Quello ashkenazita, invece, è stato influenzato, soprattutto nel ductus, dalla scrittura gotica.
Ognuno di questi sei tipi si articola a sua volta in tre stili: quadrato, semicorsivo (o semiquadrato) e corsivo. Tuttavia in alcune scritture, per es. nei tipi italiano e ashkenazita, lo stile semicorsivo non è sempre facilmente identificabile. Nella cultura ebraica quasi a ogni testo corrispondeva uno stile: così per la Bibbia, il Talmud e i manuali per la liturgia dei giorni festivi si usava di preferenza la scrittura quadrata, grande e piccola. Per i commenti biblici e talmudici, le raccolte omiletiche, i manuali per la liturgia dei giorni feriali e per i compendi giuridici s'impiegava il semicorsivo. La scrittura corsiva era riservata, in genere, per opere di contenuto profano e per la stesura di documenti. Caratteristico è diventato, anche per la palese influenza esercitata su di esso dalla scrittura araba, il corsivo sefardita impiegato nei testi scientifici. In questo stile, più che in ogni altro, si affermò la consuetudine, assai rara per il quadrato, di legare fra loro alcune lettere. La scarsità della documentazione (tranne che per il tipo orientale, i più antichi manoscritti datati risalgono per lo più ai secoli 12° e 13°) non consente di delineare lo sviluppo storico delle varietà della scrittura ebraica. La tipologia descritta rimase valida fino all'espulsione degli ebrei dalla penisola iberica. Nel 16° secolo, con la dispersione degli ebrei sefarditi nel bacino del Mediterraneo e, soprattutto, in Grecia, in Turchia e nel Vicino Oriente, il tipo sefardita s'impose su altri, influenzandone o arrestandone lo sviluppo.
I manoscritti ebraici furono copiati − rare sono le opere autografe e quasi tutte dei secoli 15° e 16° − da ebrei che li trascrivevano per proprio uso o su richiesta di studiosi, medici, banchieri, prestatori, bibliofili, ecc. Pochi manoscritti sembrano essere stati copiati in qualche accademia talmudica nella Spagna medievale. Numerosi erano invece gli amanuensi che si spostavano da una comunità all'altra per soddisfare le domande dei committenti i quali, oltre al testo da trascrivere, spesso indicavano anche lo stile della scrittura. Dall'Italia dei secoli 13°-15° proviene il maggior numero di manoscritti con colophon: sono stati identificati oltre 500 amanuensi, molti dei quali hanno trascritto più di un libro, rispetto ai circa 150 della penisola iberica e ai circa 250 della Germania. In Italia furono attivi, dal 13° secolo in poi, numerosi copisti provenienti dalla Spagna, dalla Francia e dalla Germania: quindi un manoscritto vergato con scrittura ashkenazita e senza indicazione di luogo può esser stato copiato sia in Francia-Germania sia in Italia da un amanuense itinerante. L'Italia, inoltre, fu il paese in cui, grazie anche all'ininterrotta permanenza degli ebrei, i manoscritti si conservarono con minor difficoltà. Anzi, a causa delle espulsioni e delle emigrazioni degli ebrei da altre nazioni, in Italia confluirono anche moltissimi volumi copiati altrove.
Bibl.: A. Neubauer, Facsimiles of Hebrew Mss. illustrating the various forms of Rabbinical characters in the Bodleian Library, Oxford 1886; M. Steinschneider, Vorlesungen über die Kunde hebräischer Handschriften deren Sammlungen und Verzeichnisse, Lipsia 1897 (riprod. anast. Amsterdam 1963); A. Freimann, Deutsche Abschreiber und Punktatoren des Mittelalters, in Zeitschrift für hebräische Bibliographie, 11 (1907), pp. 86-96; Id., Kopisten hebräischer Handschriften in Spanien und Portugal, ibid., 14 (1910), pp. 105-12; E. Tisserant, Specimina Codicum Orientalium, Bonn 1914, nn. 3-19; C. Bernheimer, Paleografia ebraica, Firenze 1924; A. Freimann, Jewish scribes in medieval Italy, in A. Marx jubilee volume, English section, New York 1950, pp. 231-342; S. A. Birnbaum, The Hebrew scripts, 2 voll., Londra-Leida 1954-71; G. Sed-Rajna, Manuscrits hébreux de Lisbonne. Un atelier de copistes et d'enlumineurs au XVe siècle, Parigi 1970; A. Diez Macho, Manuscritos hebreos y arameos de la Biblia, Roma 1971, pp. 125-45; G. Tamani, Repertorio delle biblioteche e dei cataloghi dei manoscritti ebraici esistenti in Italia, in Annali di Ca' Foscari, 12, 3 (1973), pp. 1-30; La paléographie hébraïque médiévale (Colloques internationaux du CNRS), Parigi 1974; C. Sirat, Ecriture et civilisations, ivi 1976; M. Beit-Arié, Hebrew codicology, ivi 1976 (19812)); Id., Joel ben Simeon's manuscripts: a codicologer's view, in Journal of Jewish Art, 3-4 (1977), pp. 25-39; Id., Stereotypes and individuality in mediaeval handwritings (in ebraico), in ῾Ale sefer, 5 (1978), pp. 54-72; C. Sirat, Manuscrits hébreux, paléographie hébraïque?, in Revue des études juives, 139 (1980), pp. 57-67; G. Tamani, Forme e funzioni decorative nella cultura ebraica scritta. A proposito del ms. ebraico 697 della Biblioteca Palatina di Parma, in Scrittura e civiltà, 7 (1983), pp. 177-91; C. Sirat, Les papyrus en caractères hébraïques trouvés en Egypte, Parigi 1985; Id., Les moyens d'investigation scientifiques et les manuscrits hébreux au Moyen Age, in Scriptorium, 40 (1986), pp. 278-96; Id., Les manuscrits en caractères hébraïques. Réalité d'hier et histoire d'aujourd'hui, in Scrittura e civiltà, 10 (1986), pp. 239-88; M. Beit-Arié, Palaeographical identification of Hebrew manuscripts: methodology and practice, in Jewish Art, 12-13 (1986-87), pp. 15-44; Id., Specimens of mediaeval Hebrew scripts. i: Oriental and Yemenite scripts, Gerusalemme 1987; Le livre au Moyen Age, a cura di J. Glenisson, Parigi 1988, pp. 57-63, 138-43, 181-85; C. Sirat, Dalla scrittura al libro. Uno sguardo sul mondo dei manoscritti ebraici medievali (in ebraico), Gerusalemme 1992; M. Beit-Arié, The makings of the medieval Hebrew book. Studies in palaeography and codicology, ivi 1993. Per le collezioni di manoscritti e per i loro cataloghi, cfr. J. D. Pearson, Oriental manuscripts in Europe and North America. A survey, Zug 1971; e le aggiunte fatte da B. Richler in Revue des études juives, 132 (1973), pp. 153-65; B. Richler, Hebrew manuscripts: a treasured legacy, Cleveland-Gerusalemme 1990. Per facsimili di manoscritti datati, cfr. Manuscrits médiévaux en caractères hébraïques portant des indications de date jusqu'à 1540, voll. i-iii, Bibliothèques de France et d'Israël, a cura di C. Sirat, M. Beit-Arié, Parigi-Gerusalemme 1972, 1979, 1986.
Paleografia araba. - Al pari della codicologia corrispettiva, la p. araba non ha ancora trovato impulsi, strumenti e metodi d'indagine adeguati per svilupparsi e costituirsi quale disciplina. Tra i molti fattori che le comportano problemi di elaborazione e di assetto e che sono stati affrontati negli studi più recenti, hanno un'incidenza preminente: a) la scarsità di fonti documentarie inerenti le tecniche scrittorie e librarie, che sono particolarmente oscure in quanto concerne le età delle origini, formative e normative, rientranti nell'arco cronologico di alto e basso Medioevo; b) la vastità spaziale e temporale della produzione libraria manoscritta araba che, in virtù della diffusione del credo islamico, si è estesa su tre continenti (Asia, Africa, Europa), e che, per le resistenze incontrate dall'introduzione della stampa meccanica in territori musulmani, si è prolungata fino al principio del 20° secolo; c) la sommarietà di criteri e l'insufficienza di portata delle catalogazioni relative alle raccolte di manoscritti arabi, la cui consistenza globale si calcola oltrepassi i tre milioni di esemplari; d) le varietà diacroniche e regionali riguardanti tipi di supporti, procedimenti tecnici e ornamentali, conformazioni di codici, scuole scrittorie e stili calligrafici; e) l'intersecazione dell'ambito specifico di pertinenza di questa p. con quelli propri di grandi aree, quali la persiana e la turca per eccellenza, dove si è data un'ampia e prestigiosa produzione libraria e letteraria in scrittura araba ma in lingue autoctone e secondo tendenze autonome, e dove nel contempo si è avuta una produzione di testi arabi, prima di tutto il Corano e opere correlate; f) la sottovalutazione della fattualità scrittoria presso i prevalenti indirizzi storico-filologico e ideologico-dottrinale di arabistica e islamistica europee.
Nel periodo recente, in particolare durante gli anni Ottanta, diverse linee preparatorie di una configurazione più determinata della p. araba sono state segnate tramite gli apporti di studi specifici, di ricerche ausiliarie e di iniziative destinate a smuovere il campo, con nuove scoperte e catalogazioni di manoscritti, mostre librarie e, per la prima volta, varo di convegni (Istanbul 1986, Dublino 1988) e di qualche rivista sul tema. Si distinguono così ora, grosso modo, terminologie, tecniche, cronologie e aree relative a materiali e processi scrittori, legature, pergamena: il cui uso fino al 14° secolo per Corani di formato orizzontale, tipo album, delimita la regione maghrebino-spagnola rispetto a quella orientale o asiatica, dove dall'8° secolo si afferma il Corano cartaceo di formato verticale, tipo codice; e la carta: il cui soppianto della pergamena in area maghrebina avviene per effetto dell'importazione di carta italiana ed europea, quindi estesasi verso le regioni orientali (sintesi in G. Bosch e altri). Si precisa l'uso egiziano del papiro per atti amministrativi (N. Abbott, G. Levi Della Vida) e anche testi letterari (R.G. Khoury), di cui il più antico, datato 229 H./884 d.C., si conserva in Heidelberg. Si riformulano le classificazioni delle prime scritture coraniche (F. Déroche).
Matura una prospettiva che considera la funzione centrale svolta dalla scrittura e dal libro come fulcro e raccordo delle varie manifestazioni della civiltà islamica in quanto fondata sulla divulgazione del testo divino in lingua e scrittura araba, il Corano, sia come rotolo e codice, sia come elemento simbolico e sacro su manufatti e monumenti. Qui brani del testo sacro e composizioni profane assumono forme epigrafiche che sono interconnesse con le arti librarie, i ritrovati calligrafici, le astuzie alfabetiche (A. Schimmell, A.M. Piemontese). Stanno delineandosi anche premesse riguardanti l'emergenza di discipline limitrofe o collaterali come la p. persiana e la p. turca.
Bibl.: Dati introduttivi su vari aspetti della materia, con bibliografie riassuntive di fonti e studi: A. Grohmann, Arabische Paläographie, 2 voll., Vienna 1967-71; R. Sellheim, Materialen zur Arabischen Literatur-Geschichte, Wiesbaden 1976; Grundriss der Arabischen Philologie, Band i, Sprachwissenschaft, a cura di W. Fischer, ivi 1982 (contributi di G. Endress e R.G. Khoury, pp. 165-314); J. Pedersen, The Arabic book, a cura di R. Hillenbrand, Princeton (New Jersey) 1984; P. Orsatti, Gli studi di paleografia araba oggi, Problemi e metodi, in Scrittura e Civiltà, 14 (1990), pp. 281-331. Sulle scritture coraniche antiche: F. Déroche, Les écritures coraniques anciennes: bilan et perspectives, in Revue des Etudes Islamiques, 48 (1982), pp. 207-24; Id., Les manuscrits du Coran. Aux origines de la calligraphie arabe, Parigi 1983, pp. 13-53 (catalogo dei più antichi manoscritti coranici della Biblioteca Nazionale di Parigi). Sui processi di fabbricazione di calamo, inchiostro, tintura, legatura, carta, sulla base di un trattato arabo dell'11° secolo, fondamentale M. Levey, Medieval Arabic bookmaking and its relation to early chemistry and pharmacology, in Transactions of the American Philosophical Society, n.s., 52 (1962), part 4. Documentate analisi di materiali e processi scrittori in G. Bosch, J. Carswell e G. Petherbridge, Islamic bindings and bookmaking, Chicago 1981 (catalogo di mostra).
Sui papiri: N. Abbott, Studies in Arabic literary papyri, 3 voll., Chicago 1955-72; G. Levi Della Vida, Arabic papyri in the University Museum in Philadelphia, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie, sc. mor., s. viii, 25 (1981-82); R.G. Khoury, Wahb b. Munabbih, Teil i, Der Heidelberger Papyrus P5R Heid Arab 23, Wiesbaden 1972; Id., Abd Allah Ibn Lahi'a (97-174/715-790) Juge et grand maître de l'Ecole Egyptienne, ivi 1986. Sono stati pubblicati gli Atti del colloquio di Istanbul (1986): Les manuscrits du Moyen-orient. Essais de codicologie et de paléographie, a cura di F. Déroche, Istanbul-Parigi 1989; mentre si attende ancora l'uscita degli Atti del congresso su The role of the book in the civilisations of the Near East (Dublino 29 giugno-1° luglio 1988). Edizioni in facsimile di manoscritti arabi sono curate dall'Institut für Geschichte der Arabisch-Islamischen Wissenschaften, Francoforte. Dal 1986 compare la rivista Manuscripts of the Middle East.
Studi ausiliari: A.M. Piemontese, Arte persiana del libro e scrittura araba, in Scrittura e Civiltà, 4 (1980), pp. 103-56; G. Vajda, La transmission du savoir en Islam (VIIe−XVIIIe siècles), Londra 1983; A. Schimmel, Calligraphy and Islamic culture, New York-Londra 1984; A.M. Piemontese, Mondo Islamico, in Charta. Dal papiro al computer, a cura di G.R. Cardona, Milano 1988, pp. 80-91, 126-28, 219 (catalogo di mostra).