Sembène, Ousmane
Regista cinematografico e scrittore senegalese, nato a Ziguinchor il 1° gennaio 1923. Tra i principali esponenti della letteratura africana francofona, è stato spinto dal diffuso analfabetismo a estendere la sua attività al cinema, per la capacità di tale mezzo di coinvolgere molte più persone. Considerato il padre del cinema dell'Africa nera, nei film realizzati (talvolta tratti dalle sue opere narrative e spesso censurati o vietati) ha fatto ricorso agli idiomi africani accanto o al posto del francese, e ha affrontato questioni urgenti per il suo popolo, del quale ha saputo cogliere la disperazione. Noto a livello internazionale per la partecipazione con i film girati ai più importanti festival cinematografici e anche per l'attività di organizzatore culturale, ha ricevuto molti riconoscimenti, tra i quali nel 1988 il Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia per Camp de Thiaroye (1988; Campo Thiaroye) e nel 1992, sempre a Venezia, la Medaglia d'oro del Presidente del Senato per Guelwaar (1992).
Figlio di pescatori wolof, dopo aver lasciato gli studi a quattordici anni svolse ogni tipo di lavoro manuale. Nel 1942 fu arruolato nell'esercito coloniale francese e combatté in Francia e in Germania. Tornato in Senegal nel 1947 partecipò allo sciopero della ferrovia Dakar-Niger (poi narrato nel suo romanzo Les bouts de bois de Dieu, 1960). Nel 1948 si imbarcò clandestinamente per la Francia: dopo un breve periodo a Parigi dove fece l'operaio, si stabilì a Marsiglia lavorando come portuale e divenendo un sindacalista della categoria (fatto che avrebbe ispirato nel 1956 Le docker noir, il suo primo romanzo, poi seguito da molti altri). Dal 1950 al 1960 fece parte del Partito comunista francese. Recatosi nei primi anni Sessanta a Mosca per studiare cinema al VGIK, si formò con Sergej A. Gerasimov e Mark S. Donskoj. Rientrato in Senegal (ormai indipendente dal 1960), iniziò la professione di giornalista di cui restano i suoi reportage in Congo, sul leader Patrice Lumumba, incontrato a Léopoldville, e sulla situazione di quel Paese. Per S. iniziò una nuova fase creativa, approdando nel 1963 al cinema con la realizzazione a Dakar di Borom sarret, noto anche come Le charretier (Il carrettiere). Le prime opere di S. sono esemplari nel delineare il suo percorso artistico e politico. Il cortometraggio Borom sarret, il mediometraggio Niaye (1964, dalla sua raccolta di novelle Véhi-Ciosane dello stesso anno) e il lungometraggio d'esordio La noire de... (1966, tratto dal racconto contenuto in Voltaïque, 1961) evidenziano precise scelte stilistiche e tematiche, lo sguardo di un autore che sa filmare l'essenziale e cogliere la disperazione della società senegalese composta di individui dalle precarie condizioni di lavoro (il carrettiere di Borom sarret), duramente segnati dalla colonizzazione e dagli arruolamenti forzati nell'esercito francese (la comunità rurale di Niaye), attratti dal miraggio di una vita agiata in Francia (la giovane domestica di La noire de...). Questi tre film, girati in un nitido bianco e nero, sono espressione sia di un cinema delle origini (quello dell'Africa subsahariana che stava nascendo in quel periodo), e di un'appartenenza più ampia a movimenti quali il Neorealismo e le nouvelles vagues. S. ha fuso tali elementi e ha firmato opere importanti e di grande modernità.
Consapevole di poter affrontare con il cinema le urgenze per il suo popolo, nel 1968, in Mandabi (Il vaglia), suo primo film a colori ispirato al suo romanzo, S. è tornato a parlare di disoccupazione e, utilizzando il grottesco, delle conseguenze della burocrazia sulla vita quotidiana di un uomo; Emitaï (1971, Dio del tuono), ambientato durante la Seconda guerra mondiale in un villaggio senegalese della Casamance saccheggiato dall'esercito francese, è un film corale fatto di rituali e di una forte ribellione interiore e fisica. Gli orrori della guerra coloniale, accennati in Niaye, hanno trovato uno sviluppo significativo in Emitaï dove la durata delle scene è dilatata, a testimoniare un incubo senza fine. È un'altra caratteristica del cinema di S., già in Mandabi, dove il protagonista non riesce a uscire dai labirinti burocratici, e poi ripresa in Xala (noto anche come L'impuissance temporaire, 1975), satira del potere (tratta dal suo racconto) in cui un esponente della nuova borghesia africana è colto, in seguito a una maledizione (xala), da impotenza, metafora di quella della classe politica e sociale. Altri abusi di potere sono narrati in Ceddo (1977, Il popolo) proibito in Senegal, dove una comunità rurale con il suo spiritualismo, nel 17° sec., è minacciata dalla schiavitù, dall'Islam e dal cristianesimo, e in Camp de Thiaroye (coregia di Thierno Faty Sow), in cui S. filma l'attesa di un massacro in un campo di prigionia per soldati senegalesi alla fine del secondo conflitto mondiale. Guelwaar, è la rappresentazione di un'Africa che si confronta con la propria dignità e con la retorica degli aiuti umanitari; Fat Kiné (2000) è lo splendido ritratto di una donna di Dakar in lotta per la propria indipendenza. La donna è ancora protagonista in Moolaade (2004, Nascondersi), girato nel Burkina Faso e in lingua peul, dura critica alla diffusa pratica dell'escissione e film corale, politico e di grande respiro, che richiama il musical, la cultura orale, il rapporto con i segni della modernità. Durante la lavorazione, Yacouba Traoré ha realizzato il documentario Référence Sembène (2003).
P.S. Vieyra, Ousmane Sembène cinéaste, Paris 1972.
F. Pfaff, The cinema of Ousmane Sembene, Westport (CT)-London 1984.
Sembène Ousmane, éd. D. Serceau, "CinémAction", 1985, 34.
G. Gariazzo, Poetiche del cinema africano, Torino 1998, pp. 65-73 e passim.
La nascita del cinema in Africa, a cura di A. Speciale, Torino 1998, pp. 227-60.
D. Murphy, Sembene: imagining alternatives in film and fiction, Oxford-Trenton (NJ) 2001.