LOMELLO, Ottone di
Figlio di Cuniberto, appartenne all'importante casata dei conti di Lomello e fu attivo nella prima parte dell'XI secolo.
Alla metà del X secolo risale la vera e propria creazione della contea di Lomello, ottenuta con la sottrazione di una porzione di territorio dal più antico comitato di Pavia, per volere forse di re Berengario I; la nuova contea, a ovest di Pavia tra Sesia e Ticino, ebbe un'estensione pari a circa la metà dell'odierna Lomellina e nel X secolo fu probabilmente amministrata da due diverse famiglie comitali.
Dopo l'eclissi nel territorio lombardo della prima casata comitale di origine franca (i cui discendenti si spostarono nella contea di Verona dando poi origine al gruppo comitale dei San Bonifacio), il primo, nel 996, a essere nuovamente denominato conte di Lomello fu Cuniberto, padre del L., proveniente dalle fila dei giudici pavesi, da una famiglia professante legge longobarda e in rapporti con il monastero di Nonantola. I legami con gli imperatori sassoni assicurarono posizioni di successo a vari esponenti di questo gruppo familiare. Pietro, fratello di Cuniberto, fu nominato nel 983 vescovo di Como e in seguito arcicancelliere prima di Ottone III, poi di Arduino; a causa, probabilmente, della fedeltà a quest'ultimo fu destituito dalla carica di vescovo da Enrico II, ma non abbandonò tuttavia l'ufficio di arcicancelliere, mantenuto fino alla morte (1005 circa). Degli altri figli di Cuniberto, Waldrada (o Gualdrada) fu badessa di S. Maria Teodote a Pavia; Pietro ricoprì la carica di vescovo, Aginolfo fondò il monastero pavese di S. Bartolomeo.
Il L. ereditò dal padre il titolo di conte di Lomello e presto vi unì, per volere di Ottone III, anche i titoli di conte di Pavia e di conte palatino. In questo modo l'imperatore, animato probabilmente dal desiderio di arginare attraverso un influente rivale la potenza della casata degli Obertenghi, riunificò all'inizio dell'XI secolo in una sola persona le contee di Lomello e Pavia, facendo del L. una delle figure più influenti gravitanti attorno alla sua corte. Il titolo onorifico di protospatarius (conte di palazzo) con il quale, attingendo dalla nomenclatura bizantina, veniva qualificato il L., dimostra la posizione di prestigio di cui egli godeva alla corte imperiale.
Gli stretti legami personali con Ottone III sono d'altronde attestati dalla famosa storia narrata dalla Cronaca di Novalesa, secondo la quale il L. accompagnò il sovrano all'interno della tomba di Carlomagno, al fine di procurarsi alcune reliquie e di rendere omaggio all'antico imperatore.
Non sono noti il luogo e la data di morte del Lomello.
I discendenti del L., mentre conservarono a lungo il titolo di conti di palazzo e di Lomello, smisero presto di usare quello di conti di Pavia, città con la quale giunsero a violenti contrasti nella prima parte del XII secolo. Stando all'avventuroso racconto del cronista Galvano Fiamma, i conti di Lomello, recatisi a Pavia in occasione della Pasqua, furono infatti chiusi nella città e assassinati, eccetto uno, dai Pavesi, che distrussero anche il loro castello. La seconda parte del racconto è senz'altro vera, dal momento che il castrum di Lomello fu effettivamente raso al suolo dai Pavesi tra il 1140 e il 1146, causando la dispersione della famiglia e la divisione in molti rami.
Un atto formale di spartizione del patrimonio immobiliare fu eseguito nel 1174, quando due membri del gruppo familiare, Goffredo e Rufino, si accordarono per l'attribuzione al primo di Sparvaria, Isolaria, dei beni concentrati nella bassa Lomellina, quelli situati oltre il Po e a Valenza, e altre proprietà disseminate tra Piacenza, Bobbio, Parma e Cremona; al secondo dei possessi nell'alta Lomellina, il castello di Langosco, i beni immobiliari a Pavia e a Milano, le proprietà nel territorio bresciano e altre ancora. In seguito a tali divisioni gli esponenti dei singoli rami familiari cominciarono ad assumere, al fianco del titolo di conti di Lomello, quello del luogo specifico di residenza.
La fedeltà agli imperatori germanici continuò a caratterizzare l'orientamento politico dei Lomello che nei secoli successivi si fregiarono di questo titolo. Nonostante la dispersione e le divisioni, l'appoggio agli Svevi permise infatti ad alcuni di essi di accedere a cariche elevate, e di assumere talvolta funzioni di importanza strategica per il partito imperiale. Il fenomeno risulta già visibile durante le permanenze in Italia di Federico Barbarossa, al fianco del quale i conti di Lomello compaiono sia in un documento del 1164 sia nella pace conclusa nel 1177 con le città della Lega lombarda. La rivalità con Pavia, potente alleata dell'imperatore, impedì però ai conti di essere adeguatamente ricompensati da Federico, il cui favore si esaurì, di fatto, in un generico riconoscimento di possessi e diritti.
Testimonianze più significative risalgono all'epoca di Federico II. In qualità di podestà di Vercelli, Rufino ed Enrico, conti di Lomello, gestirono infatti, nel corso della prima metà del Duecento, due momenti nevralgici della storia politica della città, che cercarono costantemente di orientare in senso filoimperiale. La podesteria di Rufino si situa a metà degli anni Trenta del XIII secolo, quando si verificò un inasprimento dei conflitti tra l'imperatore e le città lombarde, a causa dell'alleanza, nel 1234, tra la Lega ed Enrico, figlio ribelle di Federico II. Il rifiuto opposto da Vercelli, nel 1235, al podestà milanese Pozzobonelli eleggendo al suo posto Rufino, rappresentò un'esplicita dichiarazione di ostilità nei confronti di Milano, considerata la costante tendenza del capoluogo lombardo a garantire un orientamento politico antifedericiano delle città affiliate attraverso l'invio di propri funzionari. Nonostante i provvedimenti assunti da Milano, che minacciò di bando Rufino e i suoi seguaci promettendo l'impunità a chi li avesse offesi nella persona e negli averi, Rufino restò in carica per buona parte del 1236. La sua nomina aprì anzi la strada a una lunga serie di podestà imperiali che, con la sola eccezione del milanese Ottone da Mandello, ressero Vercelli fino al 1242. La podesteria di Rufino rappresentò anche una tappa importante nel processo di emancipazione delle istituzioni urbane dall'influenza vescovile. A Vercelli il conflitto tra Papato e Impero si sovrapponeva a quello più antico esistente tra Comune e vescovo, causa della precoce nascita di discordie civili e di due opposte fazioni nella città. Rufino incoraggiò apertamente i tentativi del Comune di acquisire le giurisdizioni ecclesiastiche attraverso una serie di atti che, nel 1236, sancirono la sottomissione alla città del borgo di Casale, fino a quel momento di pertinenza del vescovo. La sconfitta della Lega lombarda a Cortenuova (1237) e il passaggio ufficiale di Vercelli a Federico II aprirono in breve nuove prospettive per risolvere la questione: nel 1243 la giurisdizione del vescovo su molti territori del contado vercellese fu acquistata dal Comune per 9000 lire pavesi.
Nello stesso anno il rientro di Vercelli nell'alleanza guelfa seguì l'avvio della lunghissima podesteria del milanese Guglielmo da Soresina. Come in precedenza, l'orientamento ideologico della città risultò pesantemente condizionato dai rapporti con Milano, che grazie al ruolo dominante nella Lega riusciva costantemente a estendere la propria influenza politica sulle città alleate. L'anomala durata triennale della carica di Guglielmo contribuì ad aggravare le discordie tra le fazioni di Vercelli; nella seconda metà degli anni Quaranta la conflittualità giunse all'apice e la parte filoimperiale, guidata dal vercellese Pietro Bicchieri, fu espulsa dalla città. In questo clima di accesi scontri si colloca la podesteria di Enrico di Lomello alla guida della città a partire dall'inizio del 1249. Come rivela il titolo con cui compare nelle fonti vercellesi ("Enricus palatinus comes Laumelli imperiali mandato potestas"), la sua nomina fu ordinata da Federico II, che soggiornò a Vercelli alla fine del 1248. Nel corso di quell'anno la città si era decisamente riavvicinata all'imperatore, che consentì ai ghibellini esiliati di rientrare e si rifiutò di accogliere, ancora una volta, un funzionario milanese, al posto del quale fu insediato Enrico. Il podestà inviato da Milano nel 1248 era lo stesso Pozzobonelli respinto nel 1235 e sostituito con Rufino. L'elezione di Enrico rispose probabilmente a un progetto preciso, considerato che, a metà gennaio 1249, a poche settimane dalla sua nomina, la parte guelfa fu esiliata da Vercelli. Usando lo stesso documento con cui qualche anno prima la città aveva cacciato Pietro Bicchieri e la fazione ghibellina, Enrico si limitò a sostituire il proprio nome a quello del podestà e il nome degli Avogadri, capi della fazione guelfa, a quello di Bicchieri e seguaci. Per mettersi al riparo da vendette, Enrico riuscì inoltre, grazie forse all'appoggio imperiale, a far inserire negli statuti cittadini il permesso di essere esentato dal processo di sindacato, esame cui tutti gli ufficiali forestieri dovevano sottoporsi al termine del loro operato.
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