GENTILE (Gentile Oderico), Ottavio (Ottaviano)
Nacque a Genova nel 1499 da Nicolò Oderico e fu unito all'"albergo" dei Gentile con la riforma del 1528.
Nella nobiltà cittadina dei secoli XV-XVI gli Oderico, come i Senarega (anch'essi ascritti nel 1528 all'albergo Gentile), i Bracelli, i Foglietta, rappresentavano l'alta burocrazia; si trattava di uomini di cultura e di governo, spesso addottorati a Bologna o a Pavia. Famiglia di medici, farmacisti e giuristi, il casato del G. mantenne a lungo un alto livello culturale, ancora testimoniato, nel corso del Cinquecento, dal ricorrere del cognome d'origine, da solo o unito a quello dei Gentile, in varie raccolte poetiche e scritti d'occasione.
Se fama di filosofo e oratore ebbe anche il G., certo fu il padre a consacrare il ruolo pubblico della famiglia, con l'assunzione di responsabilità politiche in momenti anche particolarmente drammatici per Genova. Nicolò Oderico, dottore in utroque iure secondo alcuni, in medicina secondo altri (e celebre anche per la sua amicizia con Cristoforo Colombo), era stato impegnato più volte in operazioni diplomatiche o politico-militari (nel settembre 1499 nella grande ambasceria a Milano per la dedizione della città a Luigi XII; tra il 1501 e il 1502 alla corte spagnola; nell'autunno 1515 di nuovo a Milano, con Giovanni Doria e Battista Lomellini, per il re di Francia). Nel ruolo di uno dei tre sapienti del Comune aveva svolto un apprezzato lavoro di mediazione tra le fazioni cittadine, e tra queste e la Corona francese, in occasione della guerra civile del 1506-07. Proprio i non dimenticati meriti politico-diplomatici di Nicolò furono probabilmente alla base dell'elezione ducale di suo figlio.
In effetti il G., secondo la convenzione dell'alternanza di un nobile "vecchio" e di uno "nuovo" alla suprema carica, l'11 ott. 1565 fu eletto doge come esponente del secondo gruppo - succedendo a Giovanni Battista Lercari, uno dei più prestigiosi e intelligenti capi della nobiltà "vecchia" -, nel momento in cui si riacutizzavano le lotte tra i due settori della nobiltà. Di tali contrasti, destinati a precipitare dieci anni dopo nella guerra civile del 1575-76, proprio il Lercari pagò le prime conseguenze, poiché il piglio troppo deciso e il fasto di cui volle circondarsi durante l'espletamento della carica gli costarono un sindicato sfavorevole da parte dei Supremi e l'esclusione dal novero dei procuratori perpetui.
In quella situazione il G. era privo dei mezzi personali per una soluzione politica; come già il precedente doge Gentile, Benedetto, voluto da Andrea Doria nel 1547 per averne il sostegno dopo la congiura fieschina, questo secondo doge Gentile dovette essere eletto proprio per la sua innocuità e inesperienza, visto che non aveva precedentemente ricoperto alcun incarico pubblico e, come ipotizza il Levati, fino ad allora doveva essersi dedicato esclusivamente alla professione medica. È anche probabile che, pur appartenendo egli alla nobiltà "nuova", la sua elezione, con 193 voti, sia stata appoggiata invece dai "vecchi", e magari dallo stesso Giovanni Andrea Doria, che, dopo la morte del vecchio Andrea nel 1560, di questo aveva assunto l'eredità politica.
Il G. si trovò così non solo a dover ratificare il sindicato negativo nei confronti del doge Lercari, ma anche la condanna alla pena capitale del figlio di questo, Stefano, reo di attentato mortale ai due senatori Agostino Pinelli e Luca Spinola, che il giovane riteneva responsabili di quel sindicato negativo. Sembra che il G. si sia adoperato, nelle forme costituzionalmente consentitegli, a mitigare la situazione, evitando al condannato l'esecuzione pubblica e consentendo al Lercari di assistere il figlio fino alla fine.
A parte le vicende dei Lercari, pochi furono gli eventi di rilievo sotto il dogato del G.: primo fra tutti, il perdurare del problema corso, anche dopo la morte di Sampiero da Bastelica. L'invio nell'isola dell'intransigente commissario Francesco De Fornari contro il figlio di Sampiero, Alfonso d'Ornano, fece infatti slittare di qualche anno il processo di pacificazione, avviato nel 1569 dal più diplomatico Giorgio Doria. Al principio del 1566, l'elezione di Pio V fu l'occasione, per il G. e il governo genovese, per associare alla ambasceria di ossequio la trattazione di alcune vertenze con la Chiesa, aperte o riacutizzate dalla recente normativa tridentina: la salvaguardia della priorità del doge sull'arcivescovo nel protocollo, anche nelle cerimonie religiose ufficiali (in analogia alle procedure in vigore nella Repubblica di Venezia); la conduzione del vescovato di Sarzana sotto lo iuspatronato della Repubblica di Genova; la conferma di alcuni privilegi, tra cui interessante l'attivissima politica matrimoniale della classe dirigente genovese; l'esercizio giuridico della dispensa matrimoniale tra parenti, che era già stato concesso da Pio IV. Di queste richieste, universalmente condivise dalla classe politica genovese, con le quali Genova e Venezia anticipavano le rivendicazioni degli altri Stati cattolici, il G. si fece portavoce con una forte condivisione ideologica, riconducibile probabilmente alla sua storia familiare e alla sua formazione scientifica e filosofica. E un simile atteggiamento si può attribuire al G. nell'attenzione da lui rivolta a un progetto presentatogli dal padre domenicano e ingegnere Gaspare Vassori per l'ingrandimento, la sicurezza e la pulitura del porto.
Il Vassori, in un documento poco noto (pubblicato solo nel 1874 sul Giornale ligustico), polemizzando sulla gestione dei lavori portuali affidata a Galeazzo Alessi e dimostrandosi documentatissimo sull'evoluzione urbanistica di Genova tra le fortificazioni e il porto, nonché allegando informazioni e disegni a lui forniti da un non meglio definito ingegnere dei Corsi su alcuni progetti segreti francesi, proponeva una completa ristrutturazione dell'area portuale, partendo dalla reintegrazione del molo vecchio. La scadenza del mandato ducale del G. non consentì al progetto del Vassori di ottenere la considerazione né dei Padri del Comune - tenuti peraltro ai margini della questione, pur di loro competenza -, né del Senato della Repubblica, al quale, dopo essersi trasferito a Milano, il Vassori inviò un dettagliato memoriale nel maggio 1568, continuando a far riferimento all'interessamento dell'ex doge (citato sempre col solo cognome Oderico e col nome Ottaviano).
In seguito il G., entrato, secondo la prassi, tra i procuratori perpetui dopo la scadenza del mandato ducale, non assunse altre cariche pubbliche, confermando l'impressione di un doge prestato alla politica solo provvisoriamente. Nonostante il complessivo buon esito del dogato del G., pochi anni dopo, nella riforma costituzionale conseguente alla guerra civile del 1575-76, verrà sancita la norma che escludeva dal dogato coloro che esercitavano una libera professione.
Il G. fu il quarto e ultimo medico ad accedere alla carica suprema: lo avevano preceduto Oberto Cattaneo Lazzari nel 1528, Cristoforo Grimaldi Rosso nel 1535 e Andrea Centurione Pietrasanta nel 1542.
Celebrato negli ultimi anni come filosofo, oratore e poeta negli ambienti intellettuali cittadini, e membro di un cenacolo di cui facevano parte - oltre al suo predecessore Giovanni Battista Lercari - Benedetto Spinola, Scipione Doria, Giovanni Salvago, Stefano Gentile, la nobildonna Isabella Medici Orsini e Baldassare Trevigi, il G. compose anche versi latini in onore del cardinale Benedetto Lomellini e in occasione delle nozze di Giovanni Battista Doria con Maria Giovanna Gentile.
Il G. morì a Genova nel 1575 e fu sepolto probabilmente nella chiesa di S. Domenico. Lasciava un unico figlio maschio, Nicolò, che fu diplomatico della Repubblica e che aveva sposato il 9 luglio 1566, durante il dogato del padre, Virginia Giustiniani Moneglia; con lui, padre di un'unica figlia, coniugata a un nobile torinese, si chiuse questo ramo della famiglia.
Fonti e Bibl.: F. Casoni, Annali di Genova, Genova 1800, pp. 188, 198; G.B. Pescetto, Biografia medica ligure, Genova 1840, p. 144; L. Isnardi, Storia dell'Università di Genova, I, Genova 1864, p. 133; N. Giuliani - L.T. Belgrano, Notizie della tipografia ligure, in Atti della Soc. ligure di storia patria, IX (1870), p. 361; L.T. Belgrano - A. Neri, L'ingrandimento del porto di Genova, in Giornale ligustico, I (1874), pp. 188-192; A. Ceruti, Gabriele Salvago, patrizio genovese. Lettere, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIII (1880), p. 814; L.M. Levati, Dogi biennali di Genova, I, Genova 1930, pp. 123-127; A. Cappellini, Diz. biografico di genovesi illustri e notabili, Genova 1936, p. 82.