OTTAVIO Farnese, duca di Parma
OTTAVIO Farnese, duca di Parma. – Nacque il 9 ottobre 1524 a Valentano, nel Lazio settentrionale (area nella quale diversi centri erano infeudati ai Farnese sin dal XIV secolo), terzogenito di Girolama di Ludovico Orsini, conte di Pitigliano, e di Pier Luigi, figlio del cardinale Alessandro Farnese.
Già prima di compiere dieci anni, fu inviato a Bologna presso il collegio Ancarano di cui era protettore lo stesso cardinale Farnese. Qui apprese i primi rudimenti degli studi umanistici. L’ascesa al soglio pontificio del nonno (Paolo III), il 13 ottobre 1534, determinò il suo ritorno a Roma e il suo ingresso a corte.
Nel dicembre 1535, il papa gli fece dono di una spada e di due esemplari di liuto, strumento che Ottavio studiava sotto la guida del maestro Francesco da Milano; nel contempo, con il vescovo di Viterbo Gian Pietro de’ Grassi, iniziava a studiare la matematica e la geometria. Nel febbraio 1536 Paolo III gli fece dare alloggio nella Torre Borgia del Palazzo Vaticano, insieme col fratello minore Ranuccio.
Ottavio non si sottraeva alle occasioni ufficiali: il 4 aprile 1536, insieme col padre, accolse l’imperatore Carlo V a Roma. Trascorreva però parte dell’anno anche a Nepi, che con bolla Videlicet immeriti del 31 ottobre 1537 il papa infeudò con Castro, Ronciglione e altri luoghi del Viterbese, a Pier Luigi Farnese. La promozione cardinalizia del fratello maggiore Alessandro (18 dicembre 1534) fece di lui il continuatore designato delle fortune familiari dei Farnese, assiduamente coltivate da Paolo III.
Nell’ottobre 1536 furono avviate consultazioni per concludere il suo matrimonio con una figlia di Ferdinando d’Asburgo (fratello dell’imperatore) e per infeudargli Siena. Poi, nel marzo 1537, si iniziò a parlare di una sua unione con Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V e vedova del duca di Firenze Alessandro de’ Medici. Tra la corte pontificia e quella imperiale furono intavolate trattative che durarono fino al giugno 1538, quando si arrivò a un accordo. Il patto matrimoniale fu siglato il 12 ottobre 1538 a Roma: Juan Fernández Manriquez, marchese di Aguilar, funse da procuratore per Carlo V e per sua figlia; Ottavio (nell’occasione presentato come duca di Nepi) intervenne invece personalmente, con il padre. Margherita, che portò in dote il ducato di Penne e altri feudi in Abruzzo (tra cui Campli, Cittaducale, Montereale e Leonessa), entrate fiscali derivanti da diverse comunità poste nel Regno di Napoli, più i cosiddetti ‘beni di Napoli’ (tra i quali Castellamare, Altamura, Roccaguglielma), fece il suo solenne ingresso a Roma il 3 novembre 1538. Incontrò in Vaticano Ottavio, che per l’occasione era stato creato praefectus Urbis (carica antica e fortemente simbolica, ma nel Cinquecento quasi esclusivamente onorifica). Il giorno seguente fu tenuta la cerimonia di ratifica dei patti già conclusi e Ottavio diede l’anello a Margherita. Il matrimonio ebbe un avvio molto burrascoso: gli sposi erano entrambi adolescenti e in specie Ottavio appariva agli osservatori particolarmente immaturo; Margherita tentò apertamente di rescindere il legame contratto per tutto l’inverno tra il 1540 e il 1541; a fatica riconobbe come coniuge Ottavio (investito del ducato di Camerino il 5 novembre 1540), ma i rapporti tra i due sarebbero rimasti tesi per tutti gli anni Quaranta.
Nel settembre 1541, a Lucca, Ottavio partecipò agli incontri tra il papa e l’imperatore, nei quali si trattò per la prima volta dell’eventualità che il ducato di Milano gli fosse infeudato. Quindi, insieme con Carlo V, prese il mare per partecipare alla spedizione contro Algeri (tra l’ottobre e il novembre 1541). Si comportò bene in quella sfortunata occasione e seppe guadagnarsi il favore dell’imperatore, presso il quale rimase per qualche tempo.
Nel maggio 1543 i due sbarcarono insieme a Genova; quindi, nella seconda metà del giugno successivo, nell’incontro di Busseto tra Carlo V e Paolo III, di nuovo fu negoziata l’ipotesi di far diventare Ottavio signore di Milano, in cambio dell’esborso di 1.200.000 scudi d’oro. Il disegno non riuscì, ma l’imperatore si dichiarò disponibile ad acconsentire che a lui (e non al padre) fossero infeudate Parma e Piacenza, città emiliane che il papa voleva dare ai Farnese. Ottavio seguì ancora Carlo V a Bruxelles nell’ottobre 1544 e si distinse durante i tornei e le feste in onore di Eleonora d’Austria, regina di Francia. Infine, rientrò a Roma, dove partecipò alla commissione di esperti occupata nei progetti di fortificazione del Vaticano.
La nascita di due gemelli da Margherita il 27 agosto 1545 (ne sarebbe sopravvissuto solo uno, Alessandro) cementò ulteriormente il legame tra l’imperatore e Ottavio. Era però da Roma che doveva venire la spinta decisiva per la sua elevazione al rango principesco: infatti, creato il padre Pier Luigi Farnese duca di Parma e Piacenza (con la bolla In supereminenti del 26 agosto 1545), Ottavio ne fu contestualmente designato successore; e, anche se dovette cedere il titolo di duca di Camerino, assunse quello di duca di Castro e Ronciglione e di governatore di Nepi.
Il 5 gennaio 1546 ricevette dall’imperatore l’onorificenza del Toson d’oro. Nello stesso anno, fu posto al comando di un contingente di 12.000 fanti e 800 cavalieri inviato da Paolo III in Germania in appoggio di Carlo V contro la lega di Smalcalda.
Ricevette lo stendardo con le chiavi di S. Pietro il 4 luglio 1546, durante la solenne cerimonia in S. Maria in Aracoeli in cui il fratello cardinale Alessandro prese il bastone di legato apostolico. Nella prima metà del successivo agosto, presso Landshut, le truppe pontificie (poste da Ottavio sotto il governo di Alessandro Vitelli) si riunirono a quelle imperiali. Presto però parve evidente che la strategia del papa e quella dell’imperatore erano molto differenti: mentre il primo voleva lo scontro con i protestanti, il secondo era intenzionato soprattutto a pacificare i suoi domini, anche a costo di accordarsi con i ribelli senza consultare la S. Sede. Dopo circa due mesi di contatti con il nemico, le truppe pontificie iniziarono a sbandarsi; il papa le richiamò indietro alla fine di gennaio 1547. Ottavio non fu sollecito nel rientrare in Italia: appariva chiaro che non si voleva trovare a Roma nel caso in cui il papa avesse rotto con Carlo V e si fosse alleato con i francesi. Portò comunque il contingente (che aveva subito forti perdite) in Italia; infine, all’inizio di agosto 1547, rientrò a Piacenza.
La congiura contro Pier Luigi Farnese e il suo assassinio, avvenuto il 10 settembre 1547, sconvolsero completamente il percorso di affermazione personale e dinastica intrapreso da Ottavio con il sostegno dei due grandi poteri universali (papato e impero). Avuta notizia della morte del padre, si portò immediatamente a Parma (16 settembre), mentre Piacenza e tutto il territorio fino al Taro venivano occupati dalle truppe imperiali al comando di Ferrante Gonzaga, governatore dello Stato di Milano. Il 21 settembre, nella cattedrale di Parma, Ottavio fu incoronato duca. Si dimostrò subito pronto a prendere l’iniziativa: per mezzo di un’ambasciata di Sforza Pallavicino presso la corte imperiale, ottenne l’armistizio e la definizione del confine tra i due ducati (stabilito grosso modo sul corso del fiume Taro), non più uniti. Mostrò poi l’intenzione di recarsi presso Carlo V e di ricevere da lui l’infeudazione di Parma. Paolo III, però, dopo aver creato il fratello Orazio duca di Castro e Ronciglione (4 novembre 1547), richiamò a Roma Ottavio, che vi giunse nel gennaio 1548, mentre a Parma si insediava Camillo Orsini come governatore generale per conto della S. Sede.
Il pontefice e il nipote erano ormai nettamente in disaccordo. Mentre Paolo III contrastava in primo luogo le rivendicazioni di Carlo V di essere considerato l’alto sovrano delle due città emiliane, Ottavio – con l’aiuto del fratello Alessandro – puntava innanzi tutto a non perdere la corona ducale. Nel corso del 1548, nonostante Paolo III lo avesse nominato gonfaloniere della Chiesa al posto del padre, la posizione di Ottavio si indebolì molto: la diplomazia pontificia aveva aperto trattative con Enrico II re di Francia, il quale chiedeva che Parma passasse a Orazio, promesso sposo di Diana di Poitiers; da parte imperiale, apertamente si rivendicava, oltre a Piacenza, anche Parma e si offrivano in cambio modesti indennizzi a Ottavio. L’atto finale di questa parabola di favore discendente si ebbe il 13 settembre 1549, quando Paolo III decise che Parma (governata da Camillo Orsini) e Piacenza (ancora nelle mani degli imperiali) fossero poste sotto il diretto dominio della Sede apostolica; allora Ottavio, che nei disegni di Paolo III avrebbe dovuto accontentarsi di qualche indennizzo in denaro e del titolo di duca di Camerino, forzò la mano. Lasciata Roma, il 22 ottobre entrò in Parma, ma Camillo Orsini si rifiutò di consegnargli la città senza un espresso ordine del papa. Ottavio si trasferì nel castello di Torrechiara, circa 18 km più a sud. Qui un primo tentativo del cardinale legato di Bologna, Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, di farlo recedere dai suoi propositi rimase senza esito. Sopraggiunse a sciogliere l’intricato nodo la morte di Paolo III (9 novembre 1549), secondo gli osservatori accelerata proprio dal comportamento di Ottavio e del fratello cardinale Alessandro.
Il conclave che si aprì alla fine di novembre contava un buon numero di cardinali fedeli ai Farnese. Ottavio se ne giovò per ottenere un primo assenso del collegio al suo ritorno sul trono ducale di Parma, ma Camillo Orsini si oppose nuovamente. L’elezione del cardinal Ciocchi Del Monte (8 febbraio 1550) avvenne grazie al determinante appoggio del cardinale Alessandro Farnese. Subito Giulio III (questo il nome preso dal neoeletto) ordinò a Orsini di restituire Parma a Ottavio, che vi entrò il 25 febbraio; inoltre, gli promise di contribuire al pagamento del presidio della città e gli concesse il titolo di gonfaloniere della Chiesa. Tra l’aprile e il maggio 1550 Ottavio si recò a Roma e prestò giuramento vassallatico. Tuttavia, Carlo V non era disposto a cedere Piacenza, anzi faceva pressioni su Roma affinché facesse cedere Parma da Ottavio, offrendogli in cambio adeguati compensi.
Margherita e il figlio Alessandro fecero il loro ingresso nella città emiliana il 2 luglio 1550. L’avvicinamento della famiglia Farnese alla Francia, concordato fra Ottavio e tutti i suoi fratelli, divenne però nel successivo autunno sempre più esplicito. Stimolato dall’imperatore e poco propenso a una soluzione di forza in un contesto reso molto delicato dalla riapertura del Concilio di Trento (pubblicata il 1° gennaio 1551), Giulio III alternò prese di posizione più decise a ripetuti tentativi di arrivare a un compromesso. Quando però fu conclusa una formale alleanza tra Enrico II e Ottavio (27 maggio 1551), quest’ultimo fu dichiarato dal papa decaduto dal titolo di duca di Parma; poco dopo, iniziarono le operazioni militari.
Le prime mosse furono l’avanzata oltre il Taro di Ferrante Gonzaga, nominato il 31 maggio comandante supremo delle truppe pontificie, e una scorreria degli alleati franco-parmensi contro Bologna e Crevalcuore (12 giugno 1551). In queste zone si combatté per circa un mese: Ottavio perse Colorno, conquistata da Gonzaga all’inizio di luglio; la pianura e l’Appennino parmense subirono altresì pesanti devastazioni. I francesi riuscirono però a far entrare rinforzi a Parma e a concentrare truppe nella fortezza della Mirandola, il cui assedio divenne il teatro principale della guerra. L’invasione francese del Piemonte (settembre 1551) alleggerì notevolmente l’esposizione di Ottavio sul fronte di guerra emiliano.
Furono soprattutto le difficoltà finanziarie del papa ad accelerare il ritorno alla pace: un armistizio tra Giulio III, la Francia e Ottavio fu concluso il 29 aprile 1552; l’imperatore, che doveva contemporaneamente affrontare il deterioramento della situazione dell’Impero, vi aderì due settimane dopo. Nessuna mutazione di rilievo sopraggiungeva allo status quo ante. Il 27 aprile 1554, un breve pontificio assolse Ottavio dalle sanzioni comminategli con il monitorio dell’11 aprile 1551 e confermò la sospensione delle armi. Dopo la morte del pontefice (22 marzo 1555), il breve pontificato di Marcello II Cervini e l’elezione di Paolo IV, Ottavio si recò a Roma nel giugno 1555 per prestare giuramento di fedeltà al pontefice e per prendere possesso del ducato di Castro, di cui era diventato titolare dopo la morte del fratello Orazio Farnese (19 luglio 1553). Papa Carafa, oppositore violento degli Asburgo, poteva apparire un ottimo alleato per la politica di Ottavio, che godeva ancora dell’appoggio diplomatico e militare francese. Invece, dimostrando ancora una volta abilità e spregiudicatezza, iniziò a discostarsi da Parigi e a riavvicinarsi agli Asburgo: partecipò nell’autunno 1555 ai progetti di riaccendere il conflitto contro gli Asburgo in Toscana o nel Regno di Napoli; di fatto, però, rifiutò ai francesi il permesso di arruolare fanti nel ducato di Castro. Così, quando nel dicembre 1555 si firmava il progetto di lega tra Enrico II e Paolo IV, il duca d’Alba (Fernando Àlvarez de Toledo) era in trattativa con Ottavio per ricondurlo al servizio di casa d’Austria. L’anno seguente, Ottavio inviò Ottavio Baiardi al governatore dello Stato di Milano (il cardinale Cristoforo Madruzzo) affinché reclamasse Novara, Piacenza e tutti i beni farnesiani occupati. Filippo II, succeduto a Carlo V come sovrano di Spagna e dei domini italiani, diede il suo assenso: a Gand, il 13 agosto Filippo II e Girolamo da Correggio firmarono due trattati, uno pubblico e uno segreto.
Piacenza e il suo territorio tornavano a Ottavio, che però si obbligava a mantenere a sue spese un presidio spagnolo nel castello della città emiliana di circa 200 soldati; venivano poi restituiti Novara (ma non la sua fortezza), il territorio parmense occupato nel 1547, i beni nel Regno di Napoli, i beni dotali di Margherita d’Austria. Nel trattato segreto si definiva un’alleanza offensiva e difensiva tra Ottavio (che già il 2 maggio 1556 aveva ripreso il Toson d’oro) e Filippo II, suggellata dal trasferimento in Spagna di Alessandro, principe di Parma, e Piacenza veniva segretamente dichiarata feudo del Re di Spagna. Ottavio ne entrò in possesso il 18 ottobre 1556, dieci giorni dopo aver prestato giuramento vassallatico al Rey Prudente.
Lo schieramento filoasburgico di Ottavio avveniva proprio all’inizio della guerra di Paolo IV contro Filippo II. Il papa gli aveva indirizzato il 13 settembre 1556 un breve esortandolo a dimostrarsi fedele alla Chiesa. Ottavio, con l’assenso di Filippo II, trovò il modo di non essere coinvolto nel nuovo conflitto: si dichiarò neutrale e lasciò transitare il contingente francese guidato dal duca di Guisa François de Lorraine, diretto alla conquista del Regno di Napoli. Quando poi gli eserciti francesi e pontifici furono sconfitti e il papa fu costretto a firmare la pace di Cave (14 settembre 1557), Ottavio ebbe conferma che il suo mutamento di strategia era stato provvido e tempestivo.
A coronamento del nuovo schieramento e per ordine di Filippo II, il duca di Parma mosse le proprie armi contro Ercole II duca di Ferrara nell’ottobre 1557. Con un esercito di circa 7000 uomini, prese Montecchio Emilia, San Polo e Quattro Castella, oltre il torrente Enza; il suo generale Paolo Vitelli occupò il castello di Canossa. Quindi, presidiato Montecchio con 2000 fanti spagnoli e tedeschi, Ottavio penetrò sino a Scandiano, ai piedi delle colline reggiane. Dopo uno scontro presso il torrente Crostolo, tuttavia, non poté che ritirarsi ai quartieri invernali: gli estensi ne approfittarono per riconquistare una parte del territorio perduto (compresi San Polo d’Enza, Canossa e Rossena, castello dei signori da Correggio). Nel febbraio 1558, arrivarono rinforzi imperiali e Ottavio a sua volta riprese l’iniziativa. Tuttavia, la generale stanchezza e soprattutto le necessità politico-diplomatiche portarono dapprima alla tregua del 29 marzo e poi alla pace ratificata il 21 aprile. Ottavio non ne ricavò altro che l’aver dato prova di corrispondere ai disegni spagnoli: Ercole II non fu penalizzato, anzi (mediante la previsione di un matrimonio Este-Medici) passò nell’orbita spagnola.
Dopo aver varato rilevanti misure amministrative, come la revisione del catasto di Parma o la pubblicazione degli statuti per il ducato di Castro, Ottavio fu nel 1559 alla corte di Filippo II, dove si trovava il figlio Alessandro. Tornò di nuovo a Bruxelles nell’agosto 1560 per trattare con Margherita – divenuta nel 1559 governatrice dei Paesi Bassi spagnoli – dei nuovi scenari aperti dall’elezione di Pio IV e dei tempi del ritiro del presidio spagnolo del castello di Piacenza. Rientrato in Italia, poté dedicarsi per la prima volta con continuità ed ampiezza di respiro al consolidamento del ricostituito Stato farnesiano.
Governava con l’aiuto della sua segreteria (retta tra il 1556 e il 1559 da Annibal Caro e successivamente da Giovan Battista Pico). Tra il 1558 e il 1560 introdusse due consigli di giustizia: uno a Parma e uno a Piacenza, formati ciascuno da un governatore e due uditori. Quindi, emanò nuovi Ordini et Bandi generali per Parma (1561), affidando a giusdicenti e commissari ducali l’amministrazione della giustizia sul territorio, mentre, per l’amministrazione delle finanze, istituì due magistri reddituum. Ottavio prese inoltre iniziative in campo economico, stimolando tra il 1560 e il 1561 l’industria mineraria e quella tessile, e nel 1562 concesse alle comunità ebraiche di poter tenere per dodici anni otto banchi di prestito nel Parmense e otto nel Piacentino. Devono essere ricordati anche i suoi sforzi per promuovere l’istruzione a Parma: ai gesuiti, con decreto del 28 luglio 1564, fu affidato il neoistituito collegio di S. Rocco, per lo studio delle materie umanistiche.
Riguardo alla pianificazione territoriale, sin dal 1559 era stato istituito l’Ufficio dei Cavamenti, competente sulla sistemazione di strade, ponti, argini. Notevoli furono infine le innovazioni edilizie per le due città capitali (che dagli anni Trenta del Trecento non erano più state autonome sedi di potere politico): a Piacenza – in particolare nel segmento settentrionale del perimetro – fu progettato un nuovo palazzo ducale, per il quale si susseguirono due progetti, uno di Francesco Paciotto del 1558, uno di Iacopo Barozzi da Vignola del 1561; a Parma, il 18 maggio 1561 furono iniziati i lavori per la ristrutturazione dell’antico castello visconteo-sforzesco situato oltretorrente, destinato a diventare una residenza estiva (nota come Palazzo del Giardino).
L’importante matrimonio concluso il 25 marzo 1565 fra l’erede Alessandro Farnese (cui fu ceduto il marchesato di Novara) e Maria d’Aviz, figlia di Don Duarte, fratello di re Giovanni III di Portogallo, riportò fugacemente Ottavio sulla scena europea: trascorse alcuni mesi fuori d’Italia, fra il 1565 e il 1566, per assistere alle celebrazioni. Non ebbe nondimeno nessuna possibilità di raggiungere l’altro obiettivo del momento, quello cioè di subentrare a Margherita nella carica di governatore generale dei Paesi Bassi spagnoli (che il duca d’Alba assunse nell’agosto 1567). L’orizzonte politico di Ottavio doveva rimanere essenzialmente italiano.
Nel governo dei ducati, si preoccupò particolarmente di incrementarne l’integrazione territoriale. Essa fu favorita – segnatamente nel caso della zona feudale che si stendeva fra Parma e Piacenza – mediante un’avveduta strategia, che comprendeva anche la conclusione di nuove parentele. Per esempio, si assicurò il controllo del complesso feudale dei Pallavicino (composto da Cortemaggiore, Busseto e Zibello) investendone un membro della famiglia (Alessandro) cui diede in sposa la sua figlia naturale Lavinia. Nel caso dello Stato Landi, in posizione strategica nella periferia occidentale dei domini farnesiani, si mosse invece in modo spregiudicato: approfittando delle confische comminate a Claudio Landi (che aveva congiurato contro la sua vita e aveva subito una dura condanna in contumacia il 22 ottobre 1578), fece occupare nel giugno 1581 Borgotaro e indirizzò le sue mire anche contro Bardi e Compiano. Questi due ultimi centri rimasero in possesso di Landi (che trovò protezione a Milano e presso la corte dell’imperatore Rodolfo II): la porzione di Valtarese occupata offrì comunque a Ottavio un consistente incremento del gettito fiscale a sua disposizione.
Il consolidamento della situazione finanziaria fu un risultato precipuo del governo di Ottavio. Il rendiconto delle sue entrate ascendeva nel 1551 a soli 36.000 scudi annui. Nel 1565, dopo il recupero di Piacenza, i domini farnesiani davano più di 158.000 scudi. Su questa base, Ottavio potenziò la sua corte. Dalle 90 persone del 1551 (con una spesa di 5550 scudi annui), si passò alle 187 del 1565 (16.600 scudi annui), alle 162 nel 1576 (16.400 scudi annui). Il patriziato parmense fu il gruppo sociale più sollecito nell’accostarsi a Ottavio, che solo dopo la metà degli anni Settanta poté godere dell’assistenza a corte di membri dei casati feudali Scotti, Pallavicino, da Correggio. La nobiltà piacentina rimase invece sempre piuttosto distante. Ottavio non perseguì però una politica apertamente antifeudale, come aveva fatto il padre Pier Luigi: fu invece abile nell’ottenere il progressivo svuotamento dell’autorità dei feudatari e una consistente riduzione del loro raggio di azione politica.
Il controllo integrale su Piacenza – creata sede delle fiere internazionali del cambio con privilegio ducale del 21 novembre 1579 – fu ottenuto con la restituzione del castello, che dopo il 1556 Ottavio non aveva mai smesso di richiedere presso la corte di Filippo II, anche con l’aiuto del figlio Alessandro, governatore generale dei Paesi Bassi spagnoli dal 1578. Dopo trattative decisive alla fine del 1584, nel gennaio 1585 giunse a Madrid Pomponio Torelli, primo gentiluomo di corte: il presidio spagnolo fu ritirato, ma significativamente del possesso del castello di Piacenza fu investito il principe Alessandro. Ottavio non riuscì invece ad assicurarsi definitivamente Borgotaro, di cui la giustizia imperiale ribadì (nel settembre 1583) il possesso feudale di Claudio Landi, né a sostanziare realmente le pretese dei Farnese (e in particolare di Ranuccio, il figlio di Alessandro e di Maria d’Aviz nato il 28 marzo 1569) alla corona di Portogallo, oggetto delle mire dello stesso Filippo II dopo la morte del re Enrico I (31 gennaio 1580). Gli interventi di giuristi degli Studi di Bologna, Perugia e Padova a favore di Ranuccio (sollecitati non solo da Ottavio ma anche dal principe Alessandro e dal cardinale Alessandro Farnese) rimasero soltanto esercitazioni accademiche.
Verso la fine del governo di Ottavio, la corte di Parma aveva raggiunto le dimensioni di 201 membri (con una spesa di 21.000 scudi all’anno). Molti erano i musicisti regolarmente stipendiati (17 nel 1576, 16 nel 1586), a testimonianza del profondo interesse di Ottavio per questa forma artistica: Cipriano de Rore ricoprì l’incarico di maestro di cappella dal 27 maggio 1561 alla fine di aprile 1563 e poi dal novembre 1564 alla morte l’anno dopo; fra gli altri nomi di spicco si contano Jaches de Wert, Claudio Merulo, Giulio Bonagiunta, Josquin Persoens, maestro di cappella dal settembre 1565 al marzo 1570 e autore de Il libro primo dei madrigali a quattro voci (Parma, S. Viotti, 1570), dedicato ad Ottavio. Notevole anche il suo interesse per il teatro: opere come Gli Inganni di Nicolò Secchi (1569) furono messe in scena per la prima volta a Parma. In campo pittorico, fra gli altri, furono al servizio di Ottavio (o dipinsero per lui) Girolamo Mazzola Bedoli (cugino del Parmigianino), il bolognese Girolamo Mirola, il parmense Iacopo Bertoia, il bolognese Giovanni Antonio Paganino, i fiamminghi Bartolomeo Spangher e Jan Soens; come pittori di vetri furono impiegati diversi artisti fiamminghi, fra i quali spiccano i nomi di Jan Vendrecor e Hans Smerlis; nella scultura Ottavio predilesse invece nomi toscani (Giovanni Boscoli, Raffaello Peri, Francesco Mosca), con l’eccezione però di Giovan Battista del Barbiere (Barbieri) da Correggio, scultore presente nei ruoli della sua corte.
Ottavio fu altresì attivo nel collezionismo. Nel 1546 acquistò a Roma da Fabio Sassi diversi pezzi, tra cui l’Apollo in basalto, l’Afrodite detta ‘donna sabina’ (entrambi al Museo Archeologico di Napoli) e l’Hermes Farnese (alla National Gallery di Londra). Ancora nel 1575, e di nuovo a Roma, acquistò statue in bronzo di Guglielmo della Porta, destinate al Palazzo Farnese di Campo Marzio: un Mercurio, uno Spinario e un Camillo, repliche di quelli capitolini, alcuni busti su imitazione dell’antico (Antinoo, Lucio Vero, Elio Vero, Geta, Caracalla). Si interessò anche alle arazzerie: possedeva arazzi con storie bibliche; altri con decorazioni paesaggistiche gli furono donati dalla moglie Margherita. Appartenne a Ottavio anche l’arazzo tratto da un disegno di Francesco Salviati rappresentante il Sacrificio di Alessandro Magno, oggi presso il Museo di Capodimonte di Napoli.
A Parma Ottavio non volle subito edificare un nuovo palazzo ducale: si servì prima del palazzo del governatore pontificio, poi di quello del vescovo e, dal 1564, di un gruppo di edifici riadattati (primo nucleo della futura Pilotta); trovò nondimeno nel palazzo del Giardino uno spazio adeguato ad ambiziose iniziative di committenza. Qui infatti Girolamo Mirola affrescò la sala di Ariosto, realizzata intorno al 1562. Con Mirola collaborò poi Iacopo Bertoia nella sala del Bacio (eseguita nel 1569-70, con soggetti dall’Orlando Innamorato di Boiardo). Lo stesso Bertoia fu poi incaricato di affrescare la sala di Perseo e Sala del Paesaggio (1571 circa). Negli affreschi del palazzo del Giardino prevalevano le ambientazioni bucoliche, i paesaggi selvaggi, le scene di caccia o d’amore, le architetture sontuose: soggetti sconsiderati dalla critica come tarde presenze della cultura umanistica di impronta rinascimentale e addirittura come testimonianze di un misticismo neoplatonico, ormai stridente nel contesto della nascente Controriforma. Quel che è certo, nella decorazione del palazzo del Giardino è riconoscibile un peculiare stile di Ottavio, ben lontano dalle fastose celebrazioni familiari visibili in altri luoghi farnesiani (come il palazzo Farnese di Roma o il palazzo di Caprarola) e concentrato invece su programmi iconografici fortemente simbolici, quando non scopertamente allusivi.
Ottavio morì a Parma il 18 settembre 1586 e fu sepolto nel santuario parmense di S. Maria della Steccata, ove ne custodisce le spoglie un monumento settecentesco di Antonio Brianti.
Oltre ad Alessandro, ebbe quattro figlie naturali: Lavinia, Ersilia, Isabella, Violante. Fra i suoi ritratti, spiccano quello eseguito da Giulio Campi, nei Musei civici di Palazzo Farnese dei Piacenza, e il busto di Annibale Fontana conservato nel Museo d’arte antica del Castello Sforzesco di Milano.
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