VERGANI, Orio (propr. Vittorio)
– Nacque a Milano il 6 febbraio 1898, secondogenito di Rosa Maria Podrecca.
La paternità di Francesco Vergani, allontanatosi da casa pochi mesi dopo e poi scomparso, è incerta: Guido (uno dei figli di Orio), indagando sulla storia familiare, l’attribuì al celebre capocomico Virgilio Talli, della cui già nota amicizia con Podrecca aveva scoperto l’intima natura erotico-sentimentale testimoniata da alcune lettere conservate nell’archivio di famiglia. La figura di Francesco Vergani fu del tutto assente nell’opera di Orio, nutrita invece di memorie legate ai Podrecca. Il teatro, con la musica, fu la passione dominante di famiglia: del nonno Carlo, avvocato, e dei suoi figli Guido (socialista, critico musicale dell’Avanti!, direttore dell’Asino) e Vittorio (poi fondatore del teatro dei Piccoli), come della loro sorella Rosa Maria e dei suoi figli Vera (v. la voce in questo Dizionario) e Orio.
I primi ricordi di Orio furono legati a un casermone popolare di via Guicciardini a porta Monforte. Sua madre tornò a Cividale, dalla sua famiglia, solo per brevi periodi o nelle più gravi angustie economiche, da cui poi uscì sposando l’avvocato Giuseppe Stocchi, suo dirimpettaio milanese. L’incerta situazione familiare e il temperamento emotivamente instabile di Orio bambino, con la balbuzie (mai corretta) e la timidezza che lo rendevano muto e simile a un deficiente (come autoironicamente rievocò in una delle Memorie di ieri mattina, Milano 1958, dedicata a Talli, Giove dell’Olimpo teatrale che fu il suo primo milieu), fecero sì ch’egli fosse affidato alle cure da istitutore del prozio Vittorio Podrecca, passato nel frattempo dalla carriera giornalistica all’insegnamento. Il piccolo Orio lo raggiunse a Chioggia per le vacanze estive del 1904 e anni dopo gli intitolò il romanzo Il vecchio zio (Garzanti, Milano 1947: opera tra le più autobiografiche). Trascorse con lui dodici anni, seguendolo a Sansepolcro, nel 1909, a Viterbo, nel 1911, e infine, dal 1915, a Colorno, senza completare il percorso scolastico degli studi. Una lettera di addio data al 28 ottobre 1916 il giorno in cui il diciottenne Vergani partì per Roma, dove già da alcuni anni, dopo la nomina di Guido a deputato, si erano riuniti tutti i Podrecca.
Dopo le prime prove di scrittura (due novelle apparse nei milanesi Secolo XX e Gli avvenimenti e l’inedita commedia Il mantello della verità), a Roma, nel 1917, Vergani partecipò alla redazione della rivista Avanscoperta e nel 1918 entrò al Messaggero della domenica, dove divenne amico di Federigo Tozzi e conobbe Pier Maria Rosso di San Secondo e Luigi Pirandello. Chiusa, nel 1919, quella prima breve ma formativa pratica di giornalista (frammista a quella di correttore, fattorino e factotum), Vergani entrò a L’Idea nazionale, dove fu valorizzato da Silvio d’Amico nell’ambito di una terza pagina di giovani talenti tra cui Alberto Cecchi, con cui condivise la rubrica piccolo cabotaggio, costituita da brevi prose tra il racconto e la divagazione umorale.
Nel 1920 il Primato editoriale di Guido Podrecca (riavvicinatosi a Benito Mussolini e con lui nella prima lista elettorale fascista) pubblicò la sua raccolta di novelle L’acqua alla gola (Milano). Risale a quegli anni l’amicizia con Galeazzo Ciano (suo vicino di casa in via Boezio, in Prati), alle prime esperienze giornalistiche, e con Tonino Niccodemi, figlio del commediografo Dario per il quale Vergani lavorò come segretario, tra il 1919 e il 1920, alla vigilia della costituzione della compagnia drammatica (prim’attrice la sorella Vera) che avrebbe messo in scena quei Sei personaggi in cerca d’autore di cui Orio, frequentando Pirandello, aveva già assistito alla composizione e alle prime letture.
Vergani fu alla contrastata e rissosa prima del teatro Valle con i succitati amici e con Lucio Ridenti (Ernesto Scialpi), che diede poi (nell’Addio a Orio Vergani, 1960) una viva e lucida testimonianza della serata e de La parte del teatro nella vita di Orio Vergani. Parte che solo a posteriori e a torto si potrebbe limitare, ma che all’epoca costituiva una divorante passione in cui Pirandello fu per lui maestro e guida.
Il 9 marzo 1923, a Roma, al teatro degli Indipendenti, andò in scena la sua prima commedia, Un vigliacco (dal «gusto bizzarro d’una ‘pirandellata’», scrisse Silvio d’Amico, all’indomani, nell’Idea nazionale). Nel 1924, tra gli undici fondatori del teatro d’Arte di Roma (con Pirandello direttore), Vergani fu quello cui vennero affidati maggiori compiti: pratico-organizzativi e amministrativi, dapprima, e poi di natura creativa, sia come scenografo sia come autore. La sua commedia in tre atti Il cammino sulle acque andò in scena a Roma, al Valle, il 29 marzo 1926, e fu pubblicata da Treves l’anno seguente con prefazione di Renato Simoni.
Restò la sua commedia più importante e significativa: un viaggio nella memoria (con l’ausilio della psicoanalisi freudiana, rivelò poi l’autore) in un esperimento di teatro di visione più che di parola, che Adriano Tilgher liquidò come una prova scolastica di pirandellismo, ma che fu difesa da Cecchi (e poi da Eligio Possenti) e da d’Amico, sebbene questi non vi vedesse la «via maestra» che, a suo giudizio, Vergani era chiamato a percorrere.
In quella prima metà degli anni Venti, Vergani intensificò le proprie collaborazioni a riviste (Cronache d’attualità, La Fiera letteraria, Lo Spettatore italiano) e quotidiani (La Nazione, La Stampa e soprattutto Il Mattino e Il Resto del Carlino). All’Idea nazionale ebbe l’incarico d’inviato: nel 1923 in Tripolitania, nel 1924 alle Olimpiadi di Parigi. E ben presto questa divenne la sua via maestra: al Corriere della sera, dove venne assunto, con il ruolo d’inviato speciale, il 19 aprile 1926. Nei suoi primi contatti epistolari del 29 e 30 marzo con Ugo Ojetti, neodirettore del quotidiano milanese (al quale era stato segnalato da Dario Niccodemi), egli si mostrò tuttavia più interessato alla concomitante prima della sua commedia che non alla svolta professionale che ne caratterizzò poi in maniera determinante l’intera esistenza.
Vergani cominciò a pubblicare nel Corriere racconti, elzeviri e prose letterarie, articoli di varia cultura e di cronaca, anche di eventi sportivi. Fu subito rilevante il peso politico dei suoi primi servizi di inviato in Cecoslovacchia (con l’intervista al ministro degli Esteri Edvar Beneš) e in Spagna (non solo per l’incontro di boxe Paolino-Spalla, ma per il plebiscito pro Rivera). Inoltre l’avvio della carriera di corrierista e l’immediata notorietà gli consentirono di pubblicare più libri, tra cui, per l’editore milanese Corbaccio nel 1927, Soste del capogiro (raccolta dei piccoli cabotaggi, dal nome della citata rubrica curata per L’Idea nazionale) e i novecentisti Fantocci del carosello immobile.
Nel 1927 fu tra i fondatori del premio Bagutta e iniziò la pubblicazione a puntate nella Lettura del romanzo Io, povero Negro ch’ebbe poi (pubblicato in volume con Treves, Milano 1928, e successive edizioni) una certa fortuna editoriale, anche in forza dell’argomento sportivo (la vita di un campione di boxe), ma non il consenso della critica più avvertita, tanto che Pietro Pancrazi ne evidenziò alcuni chiari limiti.
Dalla fine degli anni Venti, Vergani divenne cronista ufficiale dei viaggi dei sovrani e della famiglia reale (prim’ancora che di Mussolini, nel 1930) e dei più importanti eventi della vita del regime. L’attività di inviato proseguì senza soste: Lituania e Palestina alla fine del 1929, Egitto nel gennaio del 1930, due-tre giorni dopo essersi unito in matrimonio con Ida Lorini, detta Mimì (da cui ebbe due figli: Leonardo nel 1932 e Guido nel 1935). Dal 1927, inoltre, Vergani cominciò a seguire, ogni anno, il Giro d’Italia al quale si aggiunse, dal 1932, il Tour de France.
All’epica delle imprese sportive, Vergani antepose, negli anni Trenta, quella delle rituali «adunate oceaniche», per utilizzare una definizione coniata proprio da lui, cantore ispirato e partecipe delle gesta di Mussolini e del regime fascista. I rapporti con Ciano, responsabile della propaganda, tuttavia, presentano ancora alcune zone d’ombra e sono pienamente da ricostruire, sia in quegli anni sia nei successivi: in una serie di articoli del dopoguerra (poi riuniti in un libro postumo per cura dei figli, Ciano..., Milano 1974), Vergani scrisse di avere rivisto l’amico solo nel giugno del 1934, in occasione del viaggio di Adolf Hitler a Venezia.
Nei primi cinque mesi del 1935, furono pubblicati i reportage africani di Vergani, divenuti da Treves due volumi che ne misero in luce anche la vena di fotoreporter: 45° all’ombra: dalla Città del Capo al lago Tanganica e Sotto i cieli d’Africa: dal Tanganica al Cairo. Vergani, sollecitato dal direttore Aldo Borelli a una scrittura meno descrittiva, diede conto dei frutti civilizzatori del colonialismo inglese nel periodo di preparazione della campagna militare in Etiopia. La nota refrattarietà al volo aereo, che lo costringeva a estenuanti viaggi in treno e in automobile, sottrasse il più famoso inviato del giornale al compito di seguire e magnificare le incursioni belliche della squadriglia aerea di Ciano (cui provvide il giovane collaboratore Alessandro Pavolini), di modo che egli andò in Etiopia solo a guerra finita, tra il novembre del 1937 e il febbraio del 1938, scrivendo diciotto articoli subito raccolti per Treves in La via nera. Viaggio in Etiopia da Massaua a Mogadiscio (Milano 1938).
Nel luglio del 1936, a Barcellona, Vergani rischiò la fucilazione da parte dei repubblicani durante le giornate iniziali della guerra civile. Il suo anticipato arrivo nei luoghi del pronunciamento militare fu probabilmente dovuto a fonti legate al nuovo ministro degli Esteri Ciano, di cui Vergani seguì poi i viaggi: Vienna, Budapest e poi Berlino e Berchtesgaden, residenza alpina di Hitler. E poi, prima dell’intervento italiano in guerra, in Ungheria, Polonia e Iugoslavia, alla ricerca di un patto di alleanza legato a una politica estera autonoma, fuori delle strettoie dell’Asse (secondo una tesi che Vergani suffragò nel libro postumo succitato).
Oltre che da inviato, Vergani continuò a scrivere da letterato, sul quotidiano e sulle principali riviste (Italia letteraria, Pan, Quadrivio, Solaria). Da narratore, dopo i racconti di Domenica al mare (Milano-Roma 1931) e Levar del sole (Milano-Roma 1933), tornò al romanzo con Recita in collegio, da Garzanti (Milano 1940; premio dell’Accademia d’Italia 1941). Giornalismo e letteratura, poi, si fusero negli elzeviri e nelle prose di due altri libri (apprezzati da Enrico Falqui che li recensì): Basso profondo ed altre fantasie (Milano 1939; premio Viareggio) e Festa di maggio (Torino 1940). Sempre nel 1940 andarono in scena all’Olimpia di Milano due sue commedie in un atto: Il Primo amore e S’egli tornasse. All’ininterrotto amore per il teatro si accompagnò un crescente interesse per il cinema, con le collaborazioni alle sceneggiature di due film di Goffredo Alessandrini (Giarabub e Noi Vivi - Addio Kira) nel 1942, anno del romanzo Un giorno della vita, pubblicato sempre per Garzanti.
Il ruolo di corrispondente di guerra non lo vide impegnato se non in quotidiani contatti con il ministero della Marina e il ministero della Cultura popolare nella capitale dove si trasferì nel 1940 divenendo responsabile dell’ufficio romano del Corriere. Con lo pseudonimo di Marziano, firmò una serie di commenti politici a partire dal giugno del 1941, ben prima di vedersi attribuito, dal marzo del 1943, il ruolo di corrispondente politico che gli valse i considerevoli miglioramenti economici che da più mesi rivendicava, per sostenere le spese della villa a Gardone Riviera dove si era trasferita la sua famiglia, e dove si rifugiò anche lui nei giorni più bui: dopo la caduta del regime e il licenziamento (la «convenienza politica che può facilmente immaginare mi obbliga a rinunciare alla sua collaborazione», gli scrisse, il 9 agosto 1943, il nuovo direttore Ettore Janni).
Dopo la Liberazione evitò l’epurazione grazie a Gaetano Afeltra che dal dicembre del 1945 lo fece collaborare al quotidiano socialcomunista Milano sera. Lontano dalla casa madre di via Solferino, Vergani scrisse anche per Il Messaggero, L’Europeo, Oggi, Cronache, Films d’oggi. Per L’Illustrazione italiana diretta da Giovanni Titta Rosa fu critico d’arte (come agli albori romani della sua carriera) e scrisse di ricordi di vita musicale e teatrale, attingendo a una vena già aperta e poi pienamente defluita al Corriere (dalla fine del 1940 erano apparsi, con il comune occhiello di Memorie di ieri mattina, i primi di quegli articoli, poi ripresi e costantemente proseguiti negli anni Cinquanta e in parte raccolti in volume), dove infine poté rientrare quando i Crespi sostituirono il direttore Mario Borsa (voluto dal Comitato di liberazione nazionale) con il conservatore Guglielmo Emanuel. Dal settembre del 1946 Vergani firmò i suoi articoli nell’edizione del mattino e assunse la veste di critico drammatico in quella pomeridiana del Corriere d’informazione. Solo a cavallo del nuovo decennio, peraltro, riacquistò una piena presenza sull’edizione nazionale del Nuovo Corriere della sera, divenendo uno fra i pilastri della memoria stessa del giornale e del suo rapporto con la città di Milano.
L’attività di Vergani si estese in molteplici campi: nel 1953 fondò l’Accademia italiana della cucina di cui fu presidente; collezionò e scrisse di ceramiche e di bibliofilia (anche sul Corriere, nel 1958, a firma Don Ferrante); realizzò trasmissioni radiofoniche, curò libri (sulla vecchia Milano, il teatro milanese, le arringhe celebri) e traduzioni. Tra queste, una riduzione del Journal di Jules Renard, autore amato (del Poil de carotte aveva scritto una postfazione) e preso a modello per il suo, incompleto e postumo, Misure del tempo: diario 1950-1959 (Milano 1990). Vergani tornò al romanzo solo con Udienza a porte chiuse (Milano 1957; premio Marzotto), pubblicato con Rizzoli e considerato la sua prova più impegnativa. Migliore frutto della sua scrittura tra memoria, autobiografia, teatro e letteratura, nell’indissolubile legame tra vita e creazione di chi si considerava un figlio d’arte, sono però forse da considerare le già citate Memorie di ieri mattina. Vergani proseguì anche la sua attività teatrale. Alla ripresa del Cammino sulle acque (Piccolo di Milano, 16 maggio 1952, con regia di Giorgio Strehler), seguirono, tra il 1953 e il 1955, Sette scalini azzurri, Li-Ma-Tong nuvoletta rosa, L’ispezione.
Morì a Milano, colpito da infarto, alle prime ore del 6 aprile 1960.
La straripante partecipazione ai funerali dei suoi lettori e concittadini diede l’ennesimo segno della sua popolarità.
Leggendaria rapidità e sapienza di scrittura, versatilità, memoria, senso di umanità furono le sue doti professionali e personali riconosciutegli in moltissime testimonianze, tra cui si segnala almeno quella di Dino Buzzati. Nitida e penetrante la sintesi critica di Eugenio Montale che nel senso visivo della scrittura di Vergani individuò la chiave utile anche al superamento del falso dilemma critico (da Pietro Pancrazi ad Attilio Momigliano e oltre) della preminenza da accordare al giornalista o al letterato. L’antinomia tra l’attivismo avanguardista, il gusto agonistico e il fascismo da un lato e la natura malinconica e poetica (per taluni crepuscolare) dall’altro fu colta da Momigliano (1933): il «Vergani, giornalista degli avvenimenti grandiosi» fu anche «il poeta della vita frusta e logorante [...] in mezzo a cui si modella e si consuma l’esistenza comune e sventurata». Per completare il breve schizzo critico, andrà considerata l’altra chiave, individuata da Mario Alicata (come poi da Leonida Rèpaci) dell’infanzia e, collegata a essa, sembra opportuno aggiungere, quella della memoria e del suo pathos, talora sciolto in una scrittura più lieve, con note di umorismo e di tenue ironia.
Opere. Per la bibliografia di Vergani si rimanda al Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, diretto da G. Petronio, Bari 1966, da integrare con alcune edizioni postume dei suoi articoli: Abat-jour, Milano 1973; Ciano: una lunga confessione, Milano 1974; Caro Coppi: la vita, le imprese, la malasorte, gli anni di Fausto e di quell’Italia, Milano 1995 (con G. Vergani); Birignao: piccolo lessico del palcoscenico, Udine 1997; Alfabeto del XX secolo, a cura di G. Vergani, Milano 2000; Giornate di Barcellona, a cura di S. Gerbi, Torino 2010.
Fonti e Bibl.: L’archivio personale di Vergani è stato suddiviso in tre diversi fondi, conservati rispettivamente presso il Centro manoscritti dell’Università di Pavia, il Museo-Biblioteca dell’attore di Genova e gli eredi. Si v. inoltre: Milano, Archivio storico del Corriere della sera.
A. Momigliano, Motivi di V., in Corriere della sera, 5 ottobre 1933; P. Pancrazi, Scrittori italiani del Novecento, Bari 1934, pp. 303-307; S. Guarnieri, Cinquant’anni di narrativa in Italia, Firenze 1955, pp. 228-237; D. Buzzati, Quattro V., in Corriere della sera, 8 aprile 1960 (poi in Id., Cronache terrestri, Milano 1972, pp. 444-448); Id., Il suo segreto, in Corriere d’informazione, 6-7 aprile 1960 (poi in Id., Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre storie, a cura di D. Porzio, Milano 1990, pp. 147-152); L. Rèpaci, Compagni di strada, Roma 1960, pp. 139-152; L. Ridenti, Addio a O. V., in Il Dramma, 1960, n. 284 (maggio), pp. n.n.; E. Montale, Le “storie” di V., in Corriere della sera, 5 maggio 1961; G. Titta Rosa, Ricordo di O. V., Milano 1961; A. Frateili, Dall’Aragno al Rosati, 2ª ed. accr., Milano 1964, pp. 275-279; M. Alicata, Scritti letterari, Milano 1968, pp. 186-189; E. Falqui, Novecento letterario italiano, IV, Firenze 1970, pp. 214-222; G. Licata, Storia del «Corriere della sera», Milano 1976, ad ind.; G. Vergani - L. Vergani, Cronache di una famiglia, in G. Vergani - L. Vergani - M. Signorelli, Podrecca ed il Teatro dei piccoli/Cronache di una famiglia, Udine 1979, pp. 9-60; G. Afeltra, “Corriere” primo amore, Milano 1984, pp. 186-193; O. Del Buono, Amici, amici degli amici, maestri, Milano 1994, pp. 141-146; E. Bricchetto, La verità della propaganda. Il “Corriere della sera” e la guerra d’Etiopia, Milano 2004, ad ind.; F. Contorbia, Introduzione a Giornalismo italiano, II (1901-1939), Milano 2007, pp. XXXV s.; Accademia italiana della cucina, O. V.: a cinquant’anni dalla scomparsa, Milano 2010; D. La Monaca, O. V.: la «notizia fresca» e la «sensazione vissuta», Firenze 2018.