RANELLETTI, Oreste
RANELLETTI, Oreste. – Nacque a Celano, in terra abruzzese, il 27 gennaio 1868, da Giuseppe e da Adelina Marinucci in quella che egli stesso definì una «antica famiglia cittadina» (Oreste Ranelletti nell’opera sua, in Scritti giuridici scelti, I, 1992, p. 604). Alunno modello sin dalle scuole elementari, seguite nel Comune di nascita, e dal Liceo frequentato a l’Aquila, si iscrisse nel 1887 alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma. Qui frequentò i corsi di pandette e di esegesi del romanista Vittorio Scialoja, che proprio nel 1888 aveva fondato l’Istituto di diritto romano e dato alle stampe il Bullettino, primo foglio dedicato interamente al diritto romano, destinato a divenire una delle principali riviste giuridiche italiane e palestra privilegiata dell’intera romanistica nazionale. Con Scialoja, Ranelletti si laureò nel luglio del 1891, con una tesi dedicata a La dichiarazione tacita di volontà.
Non furono tuttavia gli studi romanistici quelli ai quali Ranelletti venne indirizzato. Seguendo il progetto di Scialoja di una generale rifondazione romanistica dell’intera scienza giuridica nazionale, all’insegna di una unità del diritto che nel sapere pandettistico doveva trovare il proprio cemento unificante, il giovane Ranelletti fu immediatamente proposto dal maestro, pur non avendo «titoli stampati in questa materia» (Oreste Ranelletti nell’opera sua, cit., p. 605), per assumere l’incarico di diritto amministrativo presso l’Università libera di Camerino, dove lo stesso Scialoja nel 1879 aveva iniziato la propria carriera accademica. E a Camerino, nel 1892, Ranelletti, appena ventiquattrenne, inaugurò il proprio corso di diritto amministrativo con la prolusione Un possibile sistema di pubblicazione delle leggi (in Scritti giuridici scelti, I, 1992, p. 3). Da questo momento non abbandonò più il nuovo settore di studi, sedotto dall’«immenso campo inesplorato» (Oreste Ranelletti nell’opera sua, cit., p. 605) che aveva intravisto in questa disciplina, obbligatoria sin dal 1865 nei corsi di laurea in giurisprudenza delle facoltà giuridiche del Regno, ma ancora non comparabile, per prestigio accademico e sedimentazione scientifica, alle scienze romanistiche e civilistiche. Poté quindi avverarsi rapidamente la profezia di Scialoja (1931) che il giovane allievo sarebbe divenuto «presto tra i primi cultori di questa parte del diritto pubblico» (p. XIV).
Gli anni camerti (1892-99) furono per Ranelletti di intensa attività scientifica. Partecipò alle eleganti questioni interpretative poste dall’istituzione, nel 1889, della Quarta sezione del Consiglio di Stato. Intervenne così in una vicenda, quella della giustizia amministrativa, centrale nella stagione politica successiva alla caduta, nel marzo del 1876, della Destra storica e giuridicamente delicata per il difficile coordinamento con le scelte del legislatore dell’unificazione che, nel 1865, aveva optato per un sistema di giurisdizione unica incentrato sul giudice ordinario. Su questo tema, strategico per la costruzione delle istituzioni dello Stato di diritto e tecnicamente complesso, era intervenuto, all’indomani della riforma, lo stesso Scialoja aprendo un dibattito sul quale si andavano confrontando i grandi corpi giudiziari e i principali giuristi del tempo, da Silvio Spaventa, primo presidente della Quarta sezione, a Vittorio Emanuele Orlando, a Lorenzo Meucci, maestro di diritto amministrativo di Ranelletti alla Sapienza di Roma.
Ranelletti assunse all’interno del dibattito una posizione originale, contribuendo in prima persona a sviluppare un’ipotesi esegetica, l’interesse legittimo e l’affievolimento dei diritti, destinata a giocare un ruolo di grande rilievo sia nella teoria, sia nei concreti assetti giurisprudenziali del riparto di giurisdizione.
A questi primi scritti fece seguito, a partire dalla metà degli anni Novanta, un forte impegno sistematico, contraddistinto da un obiettivo metodico di netta specializzazione scientifica e di marcata pubblicizzazione degli istituti giuridici, che abbracciò, da un lato, le autorizzazioni e le concessioni amministrative e, dall’altro, i beni pubblici: opere complesse nelle quali il contributo di Ranelletti all’elaborazione della ‘parte generale’ del diritto amministrativo fu indubbiamente rilevante.
Nel 1899 risultò vincitore del concorso per ordinario alla cattedra di diritto amministrativo dell’Università statale di Macerata, superando, nel giudizio della commissione presieduta da Federico Persico e composta, tra gli altri, da Vittorio Emanuele Orlando e Alfredo Codacci Pisanelli, temibili concorrenti come Santi Romano e Federico Cammeo (Mozzarelli, 1991, pp. 164-166). Trasferitosi da Camerino a Macerata, nello stesso novembre 1899 vi tenne il discorso inaugurale dell’anno accademico con la prolusione Concetto e contenuto giuridico della libertà civile, in cui, nel frangente della crisi di fine secolo, non mancò di condividere la prospettiva di Sidney Sonnino di un Ritorno allo Statuto e di abbandono della forma di governo parlamentare, nella ribadita convinzione che proprio alla funzione regia dovesse affidarsi il compito di «suprema moderatrice della vita statale e sociale fuori del dibattito dei partiti e delle classi» (Scritti giuridici scelti, I, cit., p. 200).
Parallelamente, gli stessi diritti di libertà venivano calati in una rigida gabbia statualistica, dal momento che nel rapporto Stato-cittadino «il punto logico di partenza non è la libertà ma lo Stato» (p. 200). Dal 1901 al 1905 fu rettore-preside dell’Ateneo di Macerata, in quegli anni imperniato sulla sola facoltà giuridica. Continuò intensamente la propria attività scientifica, redigendo nel 1904, per il quarto tomo del Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano diretto da Vittorio Emanuele Orlando – grande opera collettiva della giuspubblicistica italiana –, il ponderoso volume dedicato alla Polizia di sicurezza, in cui affrontò non solo una sistematica delle diverse tipologie di attività di polizia, ma anche i controversi temi dell’emergenza, come quelli dello stato di assedio e dello stato di necessità, sposando soluzioni ampiamente favorevoli alle prerogative governative, anche in assenza di una previa autorizzazione legislativa.
Nuovamente primo nella terna concorsuale, nel 1905 Ranelletti diventò professore ordinario di diritto amministrativo all’Università di Pavia, all’epoca unico Ateneo lombardo e tra i principali a livello nazionale, dove rimase per un quindicennio, ricoprendo la funzione di preside della facoltà giuridica (1909-14) e divenendo quindi (1915-20) rettore dell’Ateneo, carica nel corso della quale si fece promotore di un progetto di fusione tra l’Università di Pavia e gli Istituti di istruzione superiore milanesi che, nonostante l’appoggio del grande medico-ostetrico Luigi Mangiagalli e il varo, nel 1921, della facoltà medica di perfezionamento Pavia-Milano, ebbe vita breve e fu rapidamente accantonato.
In quel torno di anni ebbe dalla moglie Iginia Pardi (Manoppello, 2 gennaio 1877 - Bergamo, 7 ottobre 1945) tre figli: Nandina, nata a Celano il 23 agosto 1905; Wanda, nata a Manoppello il 22 settembre 1908; Mario Giuseppe Licinio, nato a Pavia il 14 luglio 1914.
Dal punto di vista scientifico, gli anni pavesi furono quelli in cui Ranelletti completò la definizione dei presupposti statualistici del proprio modello di diritto amministrativo.
In questa prospettiva, un ruolo centrale assunse la prolusione del 1905, Il concetto di ‘pubblico’ nel diritto, esaltazione monolitica della persona giuridica dello Stato: «tutto il concetto di pubblico si appunta e si concentra nello Stato: è pubblico tutto ciò che direttamente o indirettamente è di Stato» (Scritti giuridici scelti, I, cit., p. 265). Nella stessa direzione si mosse, nel 1911, anche il primo volume dei Principii di diritto amministrativo, testo di ‘Staatsrecht’ più che di diritto amministrativo in senso proprio.
Lontano dalle mediazioni tra Stato e popolo tipiche di un Vittorio Emanuele Orlando, estraneo alle prospettive pluralistiche di Santi Romano, per Ranelletti «il diritto è solo dallo Stato e nello Stato». L’amministrazione, di conseguenza, appare come il potere che più da vicino incarna la statualità, secondo un adagio famoso e diffuso, di cui proprio Ranelletti offrì una celebre declinazione: «uno Stato può esistere senza legislazione […]; uno Stato può esistere senza giurisdizione, ma non può esistere e non si può immaginare senza amministrazione; esso sarebbe anarchia» (Principii di diritto amministrativo, cit., I, p. 279).
Alla fine del conflitto partecipò a numerose commissioni ministeriali. Fu, in particolare, relatore generale della Commissione Villa per lo studio della riforma dell’amministrazione dello Stato, cui si deve l’introduzione, nel pubblico impiego, dei ruoli aperti fondati su un criterio di progressione economica per anzianità. Parallelamente si chiuse l’esperienza pavese e Ranelletti divenne ordinario a Napoli, dove di nuovo proluse, il 9 febbraio 1920, con un discorso inaugurale di scottante attualità (Il sindacalismo nella pubblica amministrazione), intervenendo in una celebre discussione sullo Stato sindacale che vide gli interventi di Vittorio Emanuele Orlando, Alfredo Rocco, Sergio Panunzio, e nella quale ribadì i propri assunti: «col sindacalismo la unità politica dello Stato sarebbe spezzata» (Scritti giuridici scelti, I, cit., p. 382).
Nel 1924 fece parte, ancora con Luigi Mangiagalli, del Comitato organizzatore dell’Università degli studi di Milano e del Comitato istitutore della facoltà di giurisprudenza dove, nello stesso 1924, venne chiamato a coprire la cattedra di diritto amministrativo, che tenne sino al 1938, anno del collocamento a riposo e del successivo emeritato. Della facoltà giuridica, che ospitò all’inizio degli anni Trenta anche i corsi di diritto sindacale e corporativo tenuti per incarico dal fratello Eutimio, alto magistrato, di tre anni più giovane, Oreste Ranelletti fu preside negli anni 1929-30 e 1932-35 (Villata-Massetto, 2007, pp. 74, 87). Partecipò, nel 1926, all’istituzione del Circolo giuridico di Milano, pensato come ponte tra le nuove università Statale e Cattolica e gli ordini delle professioni legali della città. Qui, nella primavera del 1936, il giurista tedesco Carl Schmitt tenne una celebre conferenza su I caratteri essenziali dello Stato nazionalsocialista, nel quadro di un ciclo dedicato a «Gli Stati europei a partito politico unico» inaugurato dallo stesso Ranelletti.
Nel solco di una rigida continuità di accenti e di impostazioni fu comunque anche il suo rapporto con le novità istituzionali del regime fascista, che descrisse in opere manualistiche più volte edite. Le stesse ‘leggi fascistissime’ (1925) e il nuovo ordinamento del governo furono interpretati da Ranelletti «in relazione e in armonia con l’antico» (La rappresentanza, in Scritti giuridici scelti, I, cit., p. 427). Il suo tradizionalismo statualistico gli impedì di battere sia le strade dei giuristi del regime, sia quelle largamente innovative che nel 1931 aprì Costantino Mortati. Ranelletti, al contrario, continuò a far leva sull’anacronistica categoria del ‘governo costituzionale puro’ e su un ruolo del re che il regime del capo del governo aveva ormai irreversibilmente ridimensionato. Anche la pur significativa attenzione alle tematiche del partito politico lo vide diffidente di fronte a una politicità che rischiava ai suoi occhi di incrinare la sovranità dello Stato. Di qui, la negazione del partito politico unico come «organo dello Stato» e il suo incasellamento come semplice «istituzione di diritto pubblico», di «sussidio» e «integrazione» della funzione dello Stato (Il Partito nazionale fascista nello Stato italiano, pp. 476-477, in Scritti giuridici scelti, I, cit., p. 484).
Non gli sfuggì invece la crescente disaggregazione della struttura organizzativa pubblica. Fu proprio Ranelletti, in un saggio del 1916, a offrire un celebre criterio individuativo, sciogliendo la consueta identificazione tra ente pubblico e potestà d’impero e definendo la persona giuridica pubblica come la persona giuridica che persegue gli interessi pubblici e dunque i fini dello Stato e che al tempo stesso lo Stato riconosce attiva anche nel proprio interesse (Concetto delle persone giuridiche pubbliche, in Scritti giuridici scelti, V, 1992, pp. 89 s.): un parametro di identificazione che a lungo disciplinerà la difficile materia dei soggetti pubblici e che il giurista difese anche quando, nel corso degli anni Trenta, si faranno più forti gli effetti dell’inquadramento sindacale degli enti pubblici (economici) e sempre più fragili appariranno i confini, a lungo preservati, tra Stato e impresa.
Il suo legalismo non subì alcuna scossa neppure di fronte alla frattura repubblicana: nel 1947, ribadendo ancora una volta il suo habitus di ‘giurista ottocentesco’, Ranelletti continuò a confinare anche lo stesso progetto costituente a una semplice «legge di organizzazione fondamentale dello Stato», ritenendo indebito ogni intervento dell’Assemblea costituente su ogni materia diversa da quella regolatrice dei poteri dello Stato (Note sul progetto di costituzione, in Scritti giuridici scelti, I, cit., p. 549). Ma a quel momento il suo era ormai il diritto pubblico di ieri, incapace di porsi in sintonia con i nuovi valori costituzionali.
La morte lo colse a Milano il 15 marzo 1956.
Opere. Una raccolta degli scritti di Ranelletti è in Scritti giuridici scelti, a cura di E. Ferrari - B. Sordi, Napoli 1992, I, Lo Stato (alle pp. XXXVII-XLVII la bibliografia completa); II, La giustizia amministrativa; III, Gli atti amministrativi; IV, I beni pubblici; V, L’organizzazione pubblica. A questa raccolta vanno aggiunte almeno: La polizia di sicurezza, in Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di V.E. Orlando, IV, 1, Milano 1904, pp. 207-1252; Principi di diritto amministrativo, I, Introduzione e nozioni fondamentali, Napoli 1912; II, Napoli 1915; Istituzioni di diritto pubblico. Il nuovo diritto pubblico italiano, Padova 1930; Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, Milano 1934; O. R. nell’opera sua, Varese 1955 (in Scritti giuridici scelti, I, cit., pp. 601-638).
Fonti e Bibl.: V. Scialoja, O. R., in Studi di diritto pubblico in onore di O. R. nel XXXV anno d’insegnamento, I, Padova 1931, pp. XII-XIV; E. Cannada Bartoli, Intorno alla genesi del diritto affievolito nel pensiero di O. R., in Rivista trimestrale di diritto pubblico, IX (1959), pp. 267-279; P. Calandra, O. R., ibid., XXVI (1976), pp. 1138-1166; B. Sordi, Giustizia e amministrazione nell’Italia liberale. La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano 1985, pp. 268-279, 431-456; G. Cianferotti, Pandettistica, formalismo e principio di legalità. R. e la costruzione dell’atto amministrativo, in Scritti di storia del diritto offerti dagli allievi a Domenico Maffei, a cura di M. Ascheri, Padova 1991, pp. 509-549; C. Mozzarelli, Per una storia accademica del diritto amministrativo. I concorsi a cattedra dal 1884 al 1914, in Cheiron, VIII (1991), 16, pp. 153-175; B. Sordi, Un giurista ottocentesco, in Scritti, cit., I, pp. XI-XXIII; E. Ferrari, Il percorso di O. R. tra monografie e manuali, tra ricerca e insegnamento, ibid., pp. XXV-XXXV; M.G. Di Rienzo Villata - G. Massetto, La ‘seconda’ Facoltà giuridica lombarda. Dall’avvio agli anni Settanta del Novecento, in Annali di storia delle Università italiane, XI (2007), pp. 65 ss.; B. Sordi, Diritto amministrativo e Stato in O. R.: un itinerario intellettuale, in Scritti in onore di Vincenzo Spagnuolo Vigorita, III, Napoli 2007, pp. 1385-1406; A. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1800-1945), Milano 2009, pp. 97-112, 293-295; B. Sordi, R. O., in Dizionario biografico dei giuristi italiani, Bologna 2013, pp. 1652-1654.