FARNESE, Orazio
Nacque a Piacenza il 24 genn. 1636, terzogenito del duca Odoardo II e della duchessa Margherita de' Medici. Poiché non sembrava vantaggioso avviarlo alla carriera ecclesiastica, a motivo del peggioramento delle relazioni con la S. Sede per l'affare di Castro, il padre decise di dargli un'educazione che lo avviasse a quella militare, analogamente a quanto aveva già stabilito per il secondogenito Alessandro. Così i due giovani crebbero insieme, né il duca si pentì della scelta, perché il F. dimostrò di possedere una reale attitudine agli studi e alla vita delle armi, fino a superare in varie discipline castrensi il fratello, che era ostacolato dalla tendenza all'obesità e desiderava un incarico di governo all'estero.
Odoardo II morì troppo presto, nel 1646, per poter vedere realizzate le speranze che aveva nutrito per i figli, ma già l'inizio della guerra di Candia, nel 1645, gli era parso promettere loro occasioni per tradurre in pratica gli insegnamenti ricevuti.
Se inizialmente la Repubblica di Venezia, impegnata contro l'Impero ottomano, rifiutò l'aiuto di un primo contingente di milizie farnesiane, offertole poco dopo lo scoppio del conflitto, il prolungarsi delle ostilità la costrinse ad accettarne invece un secondo e a chiedere ulteriori soccorsi ad altri Stati. Quindi Ranuccio II, alla fine del 1652, poté concludere con i Veneziani un accordo, mediante il quale s'impegnava a mandare in Levante, a proprie spese, 2.000 soldati e dieci capitani, a fronte del conferimento di un grado elevato nell'esercito di S. Marco a uno dei suoi fratelli. Dal momento che Alessandro era oggetto di una trattativa con la Spagna, la scelta cadde inevitabilmente sul F., appena diciottenne.
Nel gennaio 1653 cominciarono, in tutto il territorio ducale, le operazioni per la leva delle truppe. Contemporaneamente gli inviati di Venezia recapitarono al F. la patente ufficiale con la nomina a generale della cavalleria veneta. Il grado era accompagnato da un "degno stipendio", proporzionato alla condizione sociale e all'importanza politica del giovane generale, il quale volle mostrarsi riconoscente e devoto alla causa per cui si apprestava a combattere, dando ordine che una buona parte del denaro venisse spesa per assoldare altri 1.000 uomini, da aggiungere ai 2.000 pattuiti.
Il reclutamento terminò in febbraio, dopodiché il F. organizzò il trasporto scaglionato delle compagnie - i cui capitani provenivano dalle file dell'aristocrazia parmigiana e piacentina - per via fluviale, da Piacenza a Venezia. Queste attività lo impegnarono per tre mesi, con pochi momenti di svago, spesi nelle abituali corse a cavallo nei dintorni, e fino al santuario della Madonna delle Grazie di Parola, presso Borgo San Donnino (Fidenza), dove si recava spesso. Infine il 15 giugno, salutati i familiari, s'imbarcò con gli ultimi soldati.
Contrariamente alle sue aspettative, giunto a Venezia, il F. non riuscì a partire immediatamente per la zona d'operazioni, che raggiunse solo l'anno successivo, quando le truppe farnesiane, inquadrate nell'armata di A. Mocenigo, vennero schierate in Dalmazia. Nel frattempo il F., che aveva temuto di essere lasciato inoperoso nella capitale, lontano dai suoi soldati e dai suoi ufficiali, ottenne di mutare il proprio grado, passando dalla cavalleria alla fanteria, e di unirsi così a loro. Nonostante l'età, dette prove di perizia e coraggio, dal momento che., nel 1655, il Mocenigo gli ordinò di imbarcarsi sulla flotta veneta che andava a porre il blocco a quella turca, all'imboccatura dello stretto dei Dardanelli. I soldati parmensi seguirono la flotta e combatterono ai Dardanelli durante tutto il periodo primaverile ed estivo. Presero anche parte ad operazioni di sbarco, nelle isole di Tenedo e Lenino, che si conclusero con successo.
Il F., spinto dal giovanile entusiasmo che gli faceva desiderare di partecipare a qualche glorioso fatto d'armi, col quale dar lustro alla sua casata e ampliare le prospettive di carriera, decise di non rientrare in Italia durante l'inverno e rimanere al fronte, in attesa di occasioni. Quest'attitudine gli procurava elogi da parte dei comandanti veneti, ma nuoceva alla sua salute.
Nella primavera del 1656 il F. riprese il suo posto alla testa delle truppe, nuovamente imbarcate sulla flotta veneta ai Dardanelli. Il 26 giugno il Mocenigo, accortosi che le galee turche si apprestavano a tentare di forzare il blocco, ordinò di dare battaglia.
Lo scontro, violentissimo e sanguinoso, si protrasse per tutta la giornata e finì con una brillante vittoria dei Veneziani, che catturarono ventiquattro navi e un ingente bottino. Il F. combatté valorosamente e si distinse guidando i suoi uomini all'abbordaggio di alcune navi turche, tra le quali "Il Sultano", un grande vascello. Come premio al suo comportamento, ottenne una ricca preda di guerra, della quale faceva parte una "certa giovine mora", che mandò subito a Piacenza, affinché annunciasse con la propria persona la vittoria e venisse battezzata.
La notizia della brillante impresa raggiunse il Ducato in agosto, insieme con quella di un imminente ritorno del F. in autunno, per un periodo di riposo. Tutti attesero con ansia e curiosità il giovane, descritto ormai come un eroe. Egli però non poté cogliere i frutti della gloria conquistata.
In luglio, a Candia, si era accordato con A. Barbaro per partire sulla sua galea e trasportarvi il proprio bagaglio. Con impazienza, tanto da obbligare il Barbaro, il 22 agosto, a spedirgli dei documenti che aveva dimenticato di prendere con sé, attese l'inizio del viaggio che, per una serie di contrattempi, tardò fino al mese di ottobre. Senonché, durante la traversata dell'Adriatico, dopo una breve sosta a Zante, le sue condizioni di salute peggiorarono improvvisamente, a causa di un violento attacco di coliche.
Morì il 2 nov. 1656 quasi in vista di Malamocco, a soli vent'anni. Il cadavere venne trasportato a Venezia.
Una morte così prematura destò molta commozione. A Piacenza l'11 dicembre cominciò, a spese della città, un solenne ufficio funebre nella chiesa della Madonna di Campagna, che si svolse per un'intera settimana, coi contributo delle Orazioni di P. Nicelli e G. I. Giorgi e delle poesie di G.. Fabbri. Ranuccio II, per conservare una vivente memoria del fratello, affidò la "giovine mora" che questi aveva mandato a Piacenza al marchese L. Scotti e alla marchesa I. Neretti Casali, ordinando che la trattassero con ogni riguardo. Il 25 genn. 1657 ella, secondo la volontà del defunto, ricevette il battesimo, col nome di Anna Maria, nel corso di una solenne cerimonia nel duomo di Parma. Altre funzioni religiose in suffragio del principe ebbero luogo negli anni seguenti, in prossimità del Natale. Anche la Repubblica di Venezia ne volle onorare il ricordo: conferì il suo iniziale grado di generale della cavalleria al fratello Alessandro e stabilì che gli fosse eretta una tomba monumentale. In seguito ad alcune div, prgenze tra il Senato veneto, il duca di Parma e alcuni Ordini religiosi circa il luogo della sepoltura definitiva, l'opera fu realizzata dopo dieci anni dalla sua morte, nel 1666, a Venezia, nell'allora chiesa dei Crociferi, oggi dei gesuiti.
Il monumento, di autore ignoto, è un bel manufatto marinoreo seicentesco, formato da un basamento sul quale poggia il sarcofago del F., sormontato da una statua raffigurante il giovane in piedi, con l'armatura. Ai lati di questa, due panoplie distanziano dalla figura due colonne che sorreggono la trabeazione, nel mezzo della quale poggiano il leone di S. Marco e lo stemma ducale. Un'iscrizione latina elogia la virtù del principe, cui solo il fato aveva impedito di eguagliare quella dei suoi avi, e il coraggio dei soldati inviati dal duca di Parma.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Casa e corte Farnesiana, s. 2, busta 32, fasc. 6; s. 3, busta 42, fasc. 8; A. F. Tacchini, Nel nascimento del principe d. O. F. ..., Parma 1636; G. P. Nicelli, Orazione nelle esequie di O. F., Piacenza 1657; G. Fabbri, Il giglio fra i cipressi..., Bologna 1657; B. Nani, Historia della Repubblica veneta, Bologna 1680, V, pp. 162, 177, 199, 201; G. Brusoni, Della historia d'Italia, Torino 1680, p. 676; C. Freschot, Etat ancien et moderne des duchés de Florence, Modène, Mantoue et Parme, Utrecht 1711, p. 473; C. Poggiali, Memorie stor. di Piacenza, XI, Piacenza 1763, p. 196; XII, ibid. 1766, pp. 3, 17 ss.; F. M. Annibali, Notizie stor. della casa Farnese, I, Montefiascone 1817, p. 70; F. de Navenne, Rome et le palais Farnèse pendant les trois derniers siècles, II, Paris 1923, p. 30; G. Drei, I Farnese, Roma 1954, p. 232; F. Botti, Il principe O. F. e il santuario di Parola dei Monti, in Gazzetta di Parma, 19 ag. 1957, p. 3; E. Nasalli Rocca, I Farnese, Milano 1968, pp. 173 ss.; M. Aymard-J. Revel, La famille Farnèse, in Le palais Farnèse, 1, 2, Rome 1981, pp. 709, 711, 715; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Farnesi, tav. XIX e p. 79.