LOTH, Onofrio
Nacque a Napoli nel 1665, figlio di Giuseppe e di Caterina della Rocca, che morì nel 1674 (Prota Giurleo, p. 21). Il padre - originario di Alessano, in Puglia, ma trasferitosi a Napoli in tenera età - fu scrivano della Vicaria e in seguito (come testimoniato da De Dominici, storiografo settecentesco dell'arte partenopea, che sembra aver intrattenuto buoni rapporti di amicizia col L.) attuario della Regia Camera della Sommaria.
Stando alla testimonianza di De Dominici (spesso, com'è noto, tutt'altro che affidabile, ma nella fattispecie ben informato), il L. fu avviato assai giovane alla pittura, svolgendo il suo apprendistato presso la bottega di Giovan Battista Ruoppolo, una delle più prestigiose e attive officine di nature morte della rigogliosa scuola napoletana del secondo Seicento. Fu in quell'ambito che il L. sviluppò le sue brillanti qualità di colorista, il suo estro decorativo e il suo accurato talento realistico, in particolare nella riproduzione dei pesci e dei crostacei, della frutta e specialmente dell'uva, che fu il suo più rinomato pezzo forte (De Dominici, p. 299).
Il L. si unì in matrimonio con Silvia Quarto, dalla quale ebbe una figlia, Giovanna. Questa si sposò nel 1709 con l'avvocato Agnello Cozzolino, il quale, a quanto pare anche grazie ai buoni uffici dello stesso De Dominici, fu nominato da Niccolò Gaetani dell'Aquila d'Aragona, duca di Laurenzana (insieme con la dotta consorte, Aurora Sanseverino, convinto estimatore e importante committente del L.), governatore dei territori di Alvignano e Draguni.
Ancora De Dominici rese noto come il L., probabilmente al principio del secondo decennio del Settecento, ebbe a trasferirsi per un certo tempo a Roma, dove la sua attività pittorica trovò un riscontro positivo nei gusti dell'aristocrazia capitolina.
L'impegno di maggior prestigio assolto a Roma dal L. fu la partecipazione, su commissione del principe Francesco Maria Ruspoli, agli arredi pittorici perduti del piano terra del palazzo di famiglia di via del Corso. Per tale imponente impresa decorativa, che nel corso del 1715 vide all'opera diversi artisti sotto la direzione dell'architetto e pittore Domenico Paradisi, il L. dipinse frutta, putti e fiori "nelli dui specchi della camera della rindiera", e una ghirlanda di fiori "nell'antiporta della camera dell'Udienza" (G. Michel - O. Michel, pp. 316 s.), ricevendo, l'8 giugno e il 14 ag. 1715, due pagamenti per complessivi 119,50 scudi. L'anno precedente il L. aveva eseguito due grandi tele pendants, raffiguranti Nature morte con putti, su commissione del cardinale Fabrizio Spada, per le quali fu compensato con una somma totale di 90 scudi. Collocate nella stanza del palazzo cosiddetta dell'Aurora, esse sono ancora oggi conservate nella Galleria Spada a Roma. Si tratta in effetti di due realizzazioni di spiccato pregio, nonché di opere chiave nel contesto della natura morta romana di inizio secolo. Nonostante la maniera libera e coloristicamente sontuosa ch'è in esse evidente (piuttosto vicina allo stile di Abraham Brueghel), a lungo le tele della Galleria Spada sono state riferite a Christian Berentz, sino al reperimento di documenti inoppugnabili in favore dell'attribuzione al pittore napoletano: i pagamenti effettuati dal cardinale Fabrizio a quest'ultimo, in tre rate versate il 14 gennaio, il 3 marzo e il 1( sett. 1714 (Cannatà - Vicini, p. 143). In queste tele, fra l'altro, il L. lavorò a fianco di Sebastiano Conca, il quale, secondo una prassi abituale per l'epoca, era stato incaricato di eseguire le figure. Oltre che con quest'ultimo, a Roma il L. ebbe occasione di collaborare con Francesco Trevisani, un altro fra i più rinomati pittori di storia dell'epoca. De Dominici dà conto, infine, di un'ulteriore collaborazione con un celebre figurante, Paolo De Matteis, che ebbe luogo dopo il ritorno a Napoli del L., avvenuto tra la fine del 1715 e il 1716.
Eccezionalmente esiguo si presenta a tutt'oggi il nucleo delle opere riferibili al L. con solidi argomenti. Oltre ai due dipinti della Galleria Spada, in pratica si possono considerare sicure solo altre due tele, firmate "Loth. f.", conservate nel Museo di Valencia, raffiguranti Nature morte di pesci e crostacei: nitida testimonianza dell'attenzione con cui il L. guardava agli esempi di Ruoppolo ma anche di Giuseppe Recco (del resto poco meno che normativi in ambito napoletano).
A questi due quadri è stato proposto di accostare per via stilistica, in termini che paiono persuasivi, una Natura morta con granchio, seppie e aragoste, in collezione privata cremonese (ripr. in La natura morta in Italia). Una Natura morta di fiori e frutta presso una fontana, infine, di grandi dimensioni (cm 155 x cm 120) e firmata per esteso, è conservata in collezione privata (ripr. in Salerno, p. 116).
Sempre in De Dominici viene segnalato come il L. avesse diversi allievi e seguaci, tutti a loro volta specialisti di natura morta. In maggioranza, peraltro, essi risultano oggi sostanzialmente confinati al ruolo di nomi senza opere nel mare magnum della produzione napoletana di nature morte fra il XVII e il XVIII secolo: si tratta di Ridolfo Scoppa, Nicola Indelli, Domenico Grosso. Ma sono stati posti in connessione col L., oltreché con Ruoppolo, anche i lievemente meglio noti Aniello Ascione, e i fratelli Gaetano e Geronimo Cusati.
Ancora secondo De Dominici, il L. morì a Napoli nel 1717, dopo otto giorni di agonia, in conseguenza di un attacco apoplettico.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vita dei pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, pp. 299 s.; U. Prota Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 21 s.; A.E. Pérez Sánchez, Pintura italiana del siglo XVII en España (catal.), Madrid 1970, pp. 348 s.; R. Causa, La natura morta a Napoli nel Sei e Settecento, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, p. 1047; G. Michel - O. Michel, La décoration du palais Ruspoli en 1715 et la redécouverte de Monsù Francesco Borgognone, in Mélanges de l'École française de Rome, Moyen-Âge - Temps modernes, LXXXIX (1977), pp. 268, 314, 316 s.; L. Salerno, Nuovi studi sulla natura morta italiana, Roma 1989, pp. 97-99, 116 s.; A. Tecce, in La natura morta in Italia, II, Milano 1989, p. 941; S. Meloni Trkulja, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 773; R. Cannatà - M.L. Vicini, La Galleria di Palazzo Spada. Genesi e storia di una collezione, Roma 1992, pp. 133, 143.