omeopatia. Storia e diffusione dell’omeopatia
L’omeopatia nasce alla fine del 18° sec. a opera del medico sassone S. Hahnemann. Nella sua lunga vita Hahnemann promosse attivamente la nuova medicina, che effettivamente si diffuse rapidamente in Europa in un contesto dominato da terapie aggressive e scarsamente efficaci.
Nel 1825 l’omeopatia sbarcò in America Settentrionale a opera di Hans Berch Gram. Alla fine del 19° sec. negli USA vi erano almeno un centinaio di ospedali in cui si praticava l’omeopatia e una ventina di college per il suo insegnamento.
Nella prima metà del 20° sec., con l’affermarsi della medicina scientifica moderna basata sulla microbiologia e la farmacologia, l’omeopatia declinò, per poi riprendere negli ultimi decenni del secolo. Oggi l’omeopatia è integrata nel servizio sanitario nazionale di diversi paesi, tra cui Inghilterra, Germania, India, Pakistan, Messico. In Italia, alla fine del primo decennio del 21° sec., operano circa cinquanta servizi di omeopatia all’interno di Aziende sanitarie locali e ospedali, con una distribuzione diseguale nel territorio nazionale, con il massimo della diffusione in Lombardia (9 servizi), Toscana (9), Piemonte (6), Campania (6) e Lazio (5).
Sulla base di un’intensa attività sperimentale, Hahnemann ipotizzò che una sostanza, opportunamente diluita e dinamizzata, potesse curare sintomi identici a quelli che è in grado di produrre nell’individuo sano. Questo principio, su cui si basa l’omeopatia, detto di similitudine, a prima vista controintuitivo, si fonda su una concezione dell’organismo umano e della malattia che proviene dal vitalismo (➔), un’importante corrente medico-filosofica settecentesca, che ha avuto la sua culla in Germania
Il centro del ragionamento di Hahnemann è la forza vitale, il principio dinamico che consente la vita. La malattia è una perturbazione della dinamica della forza vitale. I sintomi che registra il medico sono l’espressione di questa alterazione. Il medico deve pertanto registrare la totalità dei sintomi del paziente e trovare un rimedio che, sperimentato nel sano, produca artificialmente una malattia più simile possibile a quella registrata nel malato. L’altra peculiarità della terapia omeopatica è l’uso di medicinali preparati con una procedura che prevede un’accurata triturazione dei prodotti di partenza (piante, minerali, prodotti animali) seguita da diluizioni in acqua e alcool e succussioni (scuotimento del prodotto). Questa procedura viene ripetuta in serie eseguendo successive diluizioni e succussioni.
Questi principi vengono variamente declinati dalle tre correnti principali su cui è venuta strutturandosi l’omeopatia: l’unicista – che usa un rimedio per volta, scelto dopo un’accurata indagine sul paziente e sui sintomi, spesso altamente dinamizzato e cioè diluito; la pluralista o clinica – che al rimedio omeopatico più simile al paziente aggiunge uno o più medicinali rivolti a curare i sintomi acuti specifici della malattia in corso; la complessista – che utilizza formulazioni complesse costituite da più medicinali omeopatici in basse diluizioni, selezionati secondo relazioni di sinergia e complementarità e rivolti sia alla cura sintomatica delle malattie che al drenaggio degli organi coinvolti.
La critica fondamentale, avanzata in ambito scientifico, riguarda il meccanismo d’azione dei rimedi omeopatici. Si obietta che una soluzione contenente una mole di sostanza, che viene diluita oltre la 12a diluizione centesimale, superando il cosiddetto numero di Avogadro (6∙1023), non contiene più traccia della materia di partenza. Per dimostrare l’attività del rimedio diluito, la ricerca in omeopatia ha proposto prove dirette, utilizzando tecniche di risonanza magnetica, e indirette, valutando gli effetti biologici dei preparati a diverse diluizioni. Altri hanno proposto teorie basate sulla cosiddetta ‘memoria dell’acqua’, ossia che in qualche misura il solvente (l’acqua, per esempio) venga strutturalmente e permanentemente modificato dalle sostanze in esso disciolte anche dopo la loro eliminazione. Complessivamente si può osservare che mentre, per le basse e medie diluizioni, le prove di attività dei rimedi omeopatici vanno in una direzione soddisfacente, lo stesso non si può dire per le alte diluizioni, per le quali le prove sperimentali sono carenti.
Infine, riguardo alla verifica di efficacia clinica, dati di revisione sistematica di lavori randomizzati in cui il placebo veniva confrontato con il rimedio omeopatico per il trattamento di alcune condizioni morbose, hanno mostrato come quest’ultimo, in alcuni casi, sia risultato significativamente più efficace del placebo stesso. Ulteriori studi clinici sono comunque richiesti per confermare tali risultati. Sul piano della ricerca di base continuano gli sforzi per fornire un’interpretazione, secondo la metodologia scientifica, del meccanismo dei farmaci omeopatici al fine di potere inserire questi nelle comuni pratiche terapeutiche.