OLIVUCCIO di Ceccarello
OLIVUCCIO di Ceccarello (Olevuzio, Aleguzio, Alevuccio). – Originario di Camerino, ma operoso in prevalenza nella zona di Ancona, risulta documentato dal 1390.
La definizione del suo profilo è frutto recente della filologia storico-artistica, che ha chiarito la confusione, perdurata per oltre mezzo secolo, con la figura dell’inesistente ‘Carlo da Camerino’. Agli inizi del Novecento la connoisseurship internazionale si esercitò nell’attribuzione di alcune opere al cosiddetto Maestro di Ancona, così denominato da Osvald Sirén (1933). Nel 1935 Cesare Brandi interpretò la firma apposta nella Croce della chiesa di S. Michele Arcangelo a Macerata Feltria, datata 1396, come «Carolu[s] da Camerino pi[nxit]». Fu Federico Zeri (1948; 1950) a collegare a tale Carlo dapprima l’Annunciazione della Galleria nazionale delle Marche a Urbino, poi un nutrito gruppo di dipinti. Nei decenni seguenti la critica aggiunse altri numeri al catalogo (Boskovits, 1977), giungendo al progressivo inquadramento di un artista attivo sullo scorcio del Trecento nel territorio di Ancona, sebbene mai documentato nelle Marche e di cui non sopravvivevano testimonianze nella città di origine (per il chiarimento del percorso critico di ‘Carlo da Camerino’, si veda la voce di Zeri in Dizionariobiograf. degli Italiani, XIX, Roma 1977, pp. 269 s.; Marchi, 2002, pp. 102-108). Ma in anni di molto precedenti alla nascita di questa figura l’erudizione marchigiana aveva recuperato diverse notizie su Olivuccio di Ceccarello, noto per un perduto affresco realizzato nel 1429 nella basilica di Loreto (Ricci, 1834; Vogel, 1859) e per l’operosità ad Ancona, grazie alle ricerche archivistiche di Antonio Gianandrea (1890, 1893). Nella seconda metà del Novecento crebbe così la dicotomia tra la personalità etichettata quale Carlo e il ‘pittore senza opere’ Olivuccio: a quest’ultimo, talvolta considerato come un possibile epigono del primo artista, vennero attribuiti alcuni dipinti prossimi per stile a Carlo, ma ipoteticamente di altra mano (Zeri, 1950; Vitalini Sacconi, 1968; Rossi, 1970; Boskovits, 1977, p. 45 n. 42; M. Massa, in Carlo…, 1989, pp. 77-81).
Novità significative sono emerse quando la verifica dell’iscrizione della Croce di Macerata Feltria, malgrado la difficoltà di lettura causata dall’abrasione della superficie (Marchi, 2002, figg. 3 s.), ha escluso la possibilità di decifrare il nome di Carlo e ha invece portato a un diverso riscontro: «Al/legutiu(s) (?) qu(ond)a(m) de Ci/carelu de Camerino pi(nxit)» (Mazzalupi, Carlo…, 2002; Marchi, 2002, p. 113; Mazzalupi, Precisazioni…, 2008, p. 112 n. 1). Tale risultato dirimeva così la frattura tra due supposte diverse personalità: Carlo, di cui non si conoscevano altre firme, diveniva figura priva di consistenza storica, mentre l’intero corpus delle opere a lui ascritte con ragione fino a quel momento confluiva nel nuovo profilo di Olivuccio, pittore di cui si giungeva a leggere una seconda firma in calce alla Madonna del Palazzo municipale di Mondavio (Mazzalupi, Olivuccio…, 2002).
Nel 1390 «Alevutio Ceccharelli de Camerino nunc abitatori Ancone» era documentato in questa città accanto al pittore Monaldo di Antonio da Ancona, che si dichiarava suo collaboratore per i due anni appena trascorsi (Gianandrea, 1893). Ciò implica che aveva impiantato la propria bottega nel capoluogo marchigiano almeno dal 1388, nonché che era artista oramai autonomo e affermato. Un secondo atto del 1390 lo definisce anche «de Racaneto», segno forse della frequentazione di questa seconda località. L’anno seguente Olivuccio venne liberato da una fideiussione prestata al collega Antonio da Lucca (Gianandrea, 1890, p. 13; Mazzalupi, Regesto…, 2008, p. 335; a questi contributi, insieme a Gianandrea, 1893, e Di Stefano-Cicconi 2002, si fa riferimento per tutta la documentazione citata in questa voce): poiché per tali prestazioni era d’obbligo l’età matura, conseguita a circa 25 anni, si può desumere che la data di nascita del pittore anteceda il 1366. È probabile che negli anni Novanta questi abbia operato, oltre che ad Ancona, anche nelle Marche settentrionali. Lo prova la sopra citata Croce di Macerata Feltria, in origine nella chiesa di S. Francesco, come attestano alcune fonti e la raffigurazione del santo serafico ai piedi di Gesù. Proviene dalla stessa sede, ove Olivuccio lasciò anche un affresco oggi frammentario con l’immagine di S. Francesco (Marchi, 2008), l’Annunciazione della Galleria nazionale delle Marche a Urbino, eseguita per ragioni stilistiche in tempi prossimi alla Croce.
Varie contaminazioni culturali, sintetizzate in uno stile originalissimo, isolano questi due esempi dalla coeva pittura marchigiana alle soglie del Gotico internazionale: il linguaggio di Olivuccio si caratterizza per la definizione affilata e nitida dei contorni, da qui in avanti spesso sottolineata da una marcata linea scura, per sigle un po’ aspre e pungenti che accentuano la carica patetica delle figure, per il forte risalto del chiaroscuro e per l’atmosfera icastica, a tratti quasi irreale, assunta dalle immagini. La carpenteria della Croce implica relazioni precise con le tecniche costruttive proprie dell’ambito tra Romagna e alta Marca, in particolare con i pittori riminesi del Trecento, spesso menzionati quali precedenti anche formali della fisionomia qui rivelata dal maestro. Altri nomi sono stati evocati, da Pietro Lorenzetti agli artisti emiliani del Trecento, per spiegare la formazione di Olivuccio, che dovette svolgersi a cavallo tra l’ottavo e il nono decennio. Importante deve essere stato l’influsso di Andrea de’ Bruni (Zeri, 1948), attivo nella zona di Ancona tra gli anni Sessanta e Settanta, di cui l’artista riprende alcune morfologie ed espedienti tecnici (il trattamento ‘a graticcio’ della lamina d’oro nella Croce di Macerata Feltria), ma lo scatto qualitativo visibile nelle opere citate e la freschezza delle invenzioni ivi profuse sembrano postulare anche la conoscenza di alcuni tra i maggiori protagonisti del Trecento emiliano, forse perfino di Vitale da Bologna. I protagonisti dell’Annunciazione oggi a Urbino mostrano i debiti con le cifre appuntite e capziose del Maestro di Campodonico, operoso nell’area di Fabriano.
L’attività di Olivuccio a nord di Ancona è suffragata anche dalla sopra ricordata Madonna con il Bambino in trono e la Crocifissione di Mondavio, centro di un polittico a due ordini (per il resto ignoto) dipinto presumibilmente per la locale chiesa di S. Francesco. L’iscrizione ai piedi della Vergine è stata decifrata come «Aleucio h(oc) f(ecit) MCC[C]C» (Marchi, 2002; Mazzalupi, Olivuccio…, 2002).
L’attività del pittore in questa località è stata connessa con la nomina, nel 1391, di Filippo degli Onorati da Camerino quale rappresentante di Pandolfo III Malatesta (Polverari, in Carlo…, 1989, p. 70), che poté avere in ciò un certo ruolo a prescindere dalla sua effettiva commissione dell’opera, dovuta alla coppia di donatori effigiati in basso. Nella tavola si ravvisa una nuova confluenza con i modi di Giovanni di Corraduccio da Foligno, presente anche nelle Marche centrali, al quale è stata ascritta la Crocifissione apicale (Boskovits, 1977, p. 40). La qualità soffice e delicatamente chiaroscurata delle pieghe del manto di Maria si confronta con i medesimi dettagli della precedente Annunciazione di Macerata Feltria e di una Madonna allattante il Bambino (Newark, collezione Alana), di recente attribuita all’ultimo periodo di Andrea de’ Bruni (De Marchi, 2008, pp. 27 s.), a riprova dell’influsso esercitato dal maestro emiliano nello stile di Olivuccio. Il rilievo della presenza di quest’ultimo nei territori malatestiani e feltreschi è poi indiziata da opere come un poco noto affresco raffigurante S. Antonio abate del Museo civico di Galeata, nell’Appennino forlivese, che rivela modi a lui prossimi (cfr. la fotografia inv. 66046 presso la Fondazione Federico Zeri a Bologna, risalente a prima dello stacco dalla chiesa di S. Pietro in Bosco, che mostra un migliore stato di conservazione).
La cronologia delle opere di Olivuccio oscilla tra pochi punti fermi, anche in virtù dei trapassi di stile non sempre sensibili lungo un non breve itinerario artistico. I dipinti già collegati a ‘Carlo da Camerino’ sono stati per lo più raggruppati nell’ultimo ventennio del Trecento (Zeri, 1948; Boskovits, 1977); si è poi avvertita la necessità di traghettare la datazione di quelli restituiti a Olivuccio agli anni Venti-Trenta del Quattrocento (Marchi, 2002), ma di recente alcuni esiti sono stati riportati entro i confini del XIV secolo (De Marchi, 2008). Tra le proposte di datazione ante 1396 che paiono più stimolanti si segnalano quelle relative a due tavole del Museo diocesano di Ancona.
Il S. Primiano e due committenti, che già Gianandrea (1890) ipotizzava di mano di Olivuccio, proviene dalla chiesa eponima e, secondo Marina Massa (in Carlo …, 1989), poteva essere in antico nella chiesa di S. Maria in Turriano, ove furono rinvenute nel 1373 le spoglie del santo vescovo. Più incerta è la collocazione cronologica del S. Giacomo, forse una pala da pilastro nella cattedrale di S. Ciriaco, che presenta come il precedente dipinto una rigida impostazione frontale di gusto trecentesco, priva dell’eleganza ritmica e nervosa visibile nelle due opere di Macerata Feltria.
Tra i primi risultati di Olivuccio si può porre anche la deperita Madonna dell’umiltà dell’Art Institute di Chicago, sia per la deferenza a modelli di Andrea de’ Bruni, sia per la tipologia del supporto: la sagoma ad archetti, doppiati da un’elaborata punzonatura, deriva da prototipi di Vitale da Bologna. L’altarolo del Taft Museum di Cincinnati, raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra santi e angeli, è invece un esempio del gusto tardogotico sposato dal pittore nell’intaglio della carpenteria, in sintonia con le inclinazioni di Lorenzo Salimbeni nell’anno 1400.
Nel 1395 venne concluso l’allestimento del coro ligneo della chiesa di S. Agostino a Recanati, evento che si connette probabilmente alla rilevante commissione del ciclo di affreschi realizzato da Olivuccio nella tribuna, che per stile pare successivo ai lavori per Macerata Feltria (De Marchi, 2008).
È possibile che i lavori si siano protratti sino al 1400 circa, giustificando così sia le relazioni con opere seguenti, sia gli accenti ‘internazionali’ evidenti in talune parti. I dipinti, raffiguranti Storie di Maria, evangelisti e dottori della Chiesa, nonché un’imponente immagine di S. Agostinomaestro dell’ordine già nella parete di fondo, sono parzialmente ancora in situ; ampie porzioni staccate sono esposte nel Museo civico di Recanati e altre, perdute, sono testimoniate da un acquerello della fine del XIX secolo (ubicazione ignota; Marchi, 2002, fig. 17).
Negli anni intorno al 1400 vengono a collocarsi alcuni dipinti, prossimi alla Madonna di Mondavio e agli affreschi di Recanati: il frammento di una S. Caterina d’Alessandria (?) incoronata da due angeli, staccato dalla chiesa di S. Domenico ad Ancona (oggi nella Pinacoteca comunale); l’Incoronazione della Vergine del Nationalmusem di Stoccolma, alla quale è stato avvicinato il S. Francesco del Musée des Beaux-Arts di Strasburgo; le due tavole con Quattro santi e angeli (Cambridge, Fitzwilliam Museum); il dossale raffigurante la Madonna col Bambino tra quattro santi della Walters Art Gallery di Baltimora, in origine nella chiesa di S. Francesco alle Scale di Ancona, forse commissionato da Piera di Petrello di Cola Cacciati per la cappella da lei ivi eretta (Mazzalupi, Precisazioni…, 2008, p. 110). Sono opere distinte da una squisita eleganza lineare e da sofisticate modulazioni cromatiche. Discussa è la configurazione originaria della pala d’altare di cui facevano parte le sei tavole raffiguranti le Opere di Misericordia della Pinacoteca Vaticana, commissionate, come rivelano alcune specificità iconografiche della scena dedicata al Seppellimento dei defunti, da una confraternita dedicata alla Madonna della Misericordia.
Alla proposta (De Marchi, 2000; Marchi, 2002, pp. 139-143, fig. 19) di una loro sistemazione, insieme a una Decollazione del Battista (Newark, collezione Alana) e a una tavola perduta, ai lati della Madonna col Bambino in trono e un confratello bianco (di recente donata alla Pinacoteca Vaticana, ma proveniente da Ancona; Marchi, 2007), si è affiancata quella che ipotizza quale elemento centrale la Madonna della Misericordia, venerata da confratelli bianchi, e un santo cavaliere del Museo diocesano di Ancona (Pasut, 2009), di origine incerta (cfr. Falaschini 2003, pp. 20 s., che dà spicco anche alla figura di Giovanni Petrelli quale possibile committente; Mazzalupi, Precisazioni…, 2008, p. 113 n. 21). La serie di tavolette proviene verosimilmente dalla chiesa della confraternita di S. Maria della Misericordia di Ancona, la cui ricostruzione era stata avviata nel 1399; di tale sodalizio faceva parte lo stesso Olivuccio, come documenta un atto del 1400.
Le Opere di Misericordia sono un importante esempio dello stile narrativo dell’artista, in cui le figure, colte in ritmi falcati (come si coglie negli affreschi di Recanati), in movimenti scaleni e sforbiciati, si muovono in architetture strampalate. Non molto dissimile appare l’immagine della Madonna dell’Umiltà, angeli ed Eva (Cleveland, Museum of Art), che reca lo stemma di fra’ Agostino Rogeroli da Fermo, che poté aver commissionato l’opera per la chiesa agostiniana della sua città, in tempi prossimi al 1405 (Marchi, 2002, pp. 133 s.), o poco prima.
L’anno 1418, in cui morì il beato Filippo da Todi, rappresenta il terminus post quem (presumibilmente anche un punto di riferimento puntuale) per la commissione al pittore della tavola che lo rappresenta (Ancona, Museo diocesano), forse in origine nella chiesa di S. Francesco a Casteldemilio, presso Ancona, ove il frate spirò (Mazzalupi, 2008, p. 112). Olivuccio ricompare nei documenti anconetani a partire dal 1421; nel 1425 era testimone a fianco dell’allievo Giambono di Corrado da Ragusa, che l’anno seguente avrebbe nominato suo procuratore, e di Bartolomeo di Tommaso da Foligno. Nel 1429, a Recanati, si stipularono i patti tra il pittore e il commissario di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, relativamente al dipinto murale con l’Adorazione dei magi che doveva essere completato entro l’aprile dell’anno venturo nella cappella eponima della chiesa di S. Maria di Loreto, al prezzo di 50 ducati d’oro.
L’opera, andata distrutta nel corso dei lavori di ricostruzione dell’edificio, doveva caratterizzarsi per i sontuosi effetti mimetici nella resa di dettagli e ornati in pastiglia rilevata, secondo i canoni più eletti dell’arte tardogotica. Lo rivela il documento, ricco di indicazioni precise circa i materiali in uso nelle botteghe fra Tre e Quattrocento, ove si specificano le «diademe d’oro fino in tucto relevato», gli abiti «e verde adzuro fino brochato d’oro fino ad velluto relevato” e “de azurro fino ultramarino»).
Un’altra opera sinora non riemersa, o perduta, è la «tabulam sive conam» allogata al pittore nel 1431 e terminata l’anno seguente, destinata alla chiesa di S. Nicolò a Sirolo, presso Ancona: in essa era raffigurata l’immagine del santo titolare con a fianco, secondo il modello della pala agiografica, sei storie della vita di questo; esibiva inoltre la Crocifissione in alto e una predella («schabellum»). Due atti del 1432 fanno riferimento alla bottega di Olivuccio, situata nella parrocchia di S. Nicola ad Ancona (l’abitazione si trovava invece nella parrocchia di S. Pietro) e a un’opera precedentemente eseguita per la chiesa di S. Francesco alle Scale di quella città, su commissione della cognata Tommasa.
L’ultima fase del percorso di Olivuccio, a una data verosimilmente posteriore al 1420, comprende alcuni dipinti che indicano un sensibile aggiornamento del suo linguaggio: la Madonna dell’Umiltà e angeli della Pinacoteca comunale di Ancona, la cui elaborata lavorazione dell’oro rivela l’ascendente di Gentile da Fabriano, la Madonna col Bambino in trono e una devota, di cui si conservano pochi frammenti nel Museo diocesano della stessa città, e la Circoncisione di Gesù della citata Pinacoteca comunale. Come indica l’iscrizione in calce, la seconda tavola fu commissionata dalla già menzionata Piera Cacciati per la cattedrale di S. Ciriaco, moglie del diplomatico Giovanni Tinto Vicini, con la quale il pittore è documentato nei primi anni Venti (Mazzalupi, 2008, p. 110). Sia tale dipinto sia la Circoncisionemostrano inoltre soluzioni di scorcio più corrette e impegnate. Una Madonna dell’Umiltà di ignota ubicazione (già Roma, collezione Massimo), potrebbe costituire una tra le prove d’esordio di Pietro di Domenico da Montepulciano (Boskovits [1977], 1994, p. 282 n. 39), pure operoso ad Ancona, sotto il forte influsso di Olivuccio.
Il 3 giugno 1439 l’artista dettò le proprie volontà, designando la chiesa di S. Francesco alle Sale di Ancona come luogo della propria sepoltura. Morì in questa città entro i successivi due giorni, lasciando diversi beni alla seconda moglie Giovanna, ma soprattutto all’allievo Giambono di Corrado, nominato erede universale.
Il testamento segnala che se questi fosse morto senza figli, avrebbe beneficiato dell’eredità Matteo di Giovanni da Camerino, segno di contatti non recisi con la città di origine, ove – salvo l’affresco con il Cristo in pietà della Pinacoteca e Museo civici che gli è stato ascritto – non sussistono tracce della sua attività. Pittore estroso, sensibile agli apporti figurativi che da Venezia e dall’Emilia lambivano l’Adriatico, nonché a quelli provenienti dalla cultura dell’Appennino umbro-marchigiano, Olivuccio ha conquistato, anche grazie alle ricerche più recenti, un ruolo protagonistico nelle vicende della pittura tardogotica nelle Marche, sebbene l’eredità del suo magistero artistico, così ricco di invenzioni insolite e di capziose eleganze, sia stata solo parzialmente raccolta dai suoi successori.
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