DELLA TOSA, Odaldo
Figlio del cavaliere Carmignano, nacque a Firenze dopo la metà del XIII secolo.
Il D. è stato a volte confuso con un suo parente omonimo, il cavaliere Odaldo di Marsoppino, uomo d'arme di trent'anni più vecchio di lui, che aveva sposato Lucia Bellindori, appartenente ad una famiglia di banchieri, e si era distinto come valoroso combattente per la causa guelfa: nel 1260 era stato a capo dell'esercito fiorentino, insieme ad altri membri illustri della nobiltà cittadina, nella sfortunata spedizione antisenese e antighibellina conclusasi con la sconfitta di Montaperti. Costretto all'esilio in seguito al sopravvento della fazione ghibellina in Firenze, subì danni nella sua casa-torre in città e nella sua villa di Sesto durante gli anni in cui restò al potere la parte a lui avversa (1260-1266) Nel 1282, in seguito allo scoppio dei moti dei Vespri in Sicilia, si recò, con altri cavalieri guelfi fiorentini, nel Regno a dar man forte al re Carlo d'Angiò, partecipando all'assedio di Messina. A Firenze svolse pubbliche attività sia come uomo di legge - è ricordato infatti, nei documenti, come giudice ordinario nel 1277 e come pretore di Molazzano in Mugello nel 1287 - sia come savio, nei Consigli cittadini, soprattutto per questioni attinenti ambascerie o imprese militari. In questa qualità è ricordato fino al 1291. Morì probabilmente nello stesso anno o poco più tardi, quando il giovane D. fece la sua comparsa sulla scena pubblica fiorentina.
Il D. si mise allora in luce non per imprese di pari valore, ma come violento esponente di quella classe magnatizia che all'inizio del 1293 venne esclusa dalle maggiori cariche pubbliche per effetto degli ordinamenti di giustizia, promulgati su ispirazione di Giano Della Bella, influente sostenitore della parte popolare. Nonostante l'entrata in vigore di questi rigorosi provvedimenti, vari membri della famiglia e tra questi il D., non rinunciarono alla pratica della violenza. Nel 1294 infatti il D. fu processato e condannato insieme con i familiari Baldo e Rossellino Della Tosa, e a Rosso Della Tosa, che era stato l'istigatore del misfatto, per aver ferito il cavaliere Gozzo Adimari e suo figlio. Nello stesso anno il D. e Rossellino furono colpiti anche dalle misure adottate dagli energici uomini di governo della parte popolare per porre fine agli abusi inveterati, commessi dall'oligarchia guelfa, nell'amministrazione delle fondazioni religiose. I due Della Tosa furono costretti, infatti, a rinunciare ai sostanziosi fondi dell'ospedale di S. Sebio, di cui si erano impossessati sotto forma di affitto e le cui rendite avrebbero dovuto servire invece alla cura e all'assistenza dei lebbrosi.
Cacciato Giano Della Bella nel 1295, i magnati guelfì non riuscirono però ad abolire gli ordinamenti di giustizia, né a riappropriarsi del potere cittadino ormai saldamente in mano agli esponenti popolari delle arti maggiori. Anche la tregua che portò alla pacificazione di molte nobili famiglie fiorentine, tra cui i Della Tosa e gli Adimari, si rivelò ben presto effimera ed una nuova divisione si venne a creare in seno alla parte guelfa, per ragioni politiche, economiche e sociali. Nell'occasione i Della Tosa, rompendo la tradizionale unità della consorteria, si divisero tra le due nuove fazioni, i bianchi e i neri, che facevano capo, rispettivamente, alle famiglie dei Cerchi e dei Donati. Con i neri di Corso si schierò il più autorevole esponente della famiglia, l'anziano Rosso Della Tosa, insieme col fratello Arrigo, allo stesso D. e a Rossellino. Dopo una iniziale prevalenza della parte bianca, tra il maggio del 1299 e l'ottobre del 1301, l'arrivo in città, il 10 novembre, di Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo IV, inviato Ufficialmente da papa Bonifacio VIII come paciere generale in Toscana, in realtà per riportare al potere Corso Donati e i neri, determinò un capovolgimento della situazione. Favoriti dalla presenza non imparziale del Valois, i neri scatenarono, il 6 novembre, una serie di tumulti contro le famiglie di parte bianca. Alla nuova ondata di disordini prese parte attiva anche il D., insieme a Rossellino, l'altro violento consorte che gli era sempre accanto in azioni di questo genere, come mandante dell'assalto notturno e del saccheggio delle case dei propri vicini, i ghibellini Strinati, tradizionalmente nemici dei Della Tosa. In quest'occasione il D. non esitò a sbeffeggiare le donne della casata, facendo loro credere che i mariti erano rimasti uccisi durante gli scontri della sera precedente.
La definitiva affermazione dei neri nel 1302 e il ruolo sempre più rilevante che l'anziano parente Rosso venne ad assumere all'interno della fazione vincente favorirono la nomina del D. a vicario in Mugello. In tale veste egli si recò, nel febbraio del 1303, a combattere al di là dell'Appennino contro il castello di Ozzoli in Romagna, in un territorio che era diventato punto di raccolta degli sbanditi bianchi e ghibellini di Firenze e base per spedizioni contro le roccheforti mugellane. Anche se per gli anni immediatamente successivi non si hanno notizie precise riguardo alla sua attività pubblica, la fama di combattente e di acceso sostenitore della causa guelfa dei D. si dovette certamente consolidare, poiché nel 1312, nel momento più critico del conflitto apertosi tra l'imperatore Arrigo VII e i Comuni guelfi, aderenti alla Lega tosco-lombarda e capeggiati da Firenze, fu nominato podestà di Parma. La città era sottoposta in quel periodo alla signoria di Giberto da Correggio, passato da poco dalla parte dell'imperatore a quella della Lega guelfa, dietro un compenso di 30.000 lire bolognesi. Al nuovo alleato i Fiorentini inviarono quindi truppe di rinforzo e un podestà politicamente fidato come il D., il quale prese possesso della carica il 2 febbr. 1312 e cominciò subito ad apprestare nuove misure difensive.
Già nel marzo egli pose solennemente la prima o colunina" di una palizzata che nel giro di pochi mesi avrebbe completamente circondato la città. Promosse inoltre l'assedio del castello di Ravarano (Calestano, Parma), in mano ai ribelli sostenitori dell'imperatore e situato sulla strada dei rifornimenti provenienti da Lucca e da Firenze, facendolo riconquistare e sottomettere, l'8 maggio, dai suoi cavalieri. Il 10 giugno, secondo quanto disposto dai Consigli cittadini, bruciò sulla pubblica piazza i vecchi libri degli estimi, essendo entrata in vigore la nuova gabella dei "fuochi" sui nuclei familiari. Dieci giorni dopo assunse anche la carica di capitano del Popolo al posto di Ugolino Leazzari di Bologna, costretto a lasciare l'incarico per una grave malattia. In estate una pesante carestia e una grande mortalità colpirono Parma e la vicina Lombardia e in autunno i seguaci dell'imperatore ripresero le ostilità: nel novembre i Rossi, famiglia di sbanditi parmensi, s'impossessarono, con l'aiuto di Matteo Visconti e di altri ghibellini, del vicino castello di Medesano, fortificandolo e iniziando scorrerie nel territorio. Per questa ragione il D. si preoccupò di rafforzare le difese attorno alla città, rimettendone in piena efficienza i fossati. Al termine del suo incarico comunque, nel febbraio del 1313, non era cessata la situazione di pericolo, poiché i sostenitori dell'imperatore si erano impadroniti di altre fortificazioni quali la torre di Sigibaldo Fieschi sulla strada di Borgo Taro, oltre a Paderno, Torrechiara e Borgo San Donnino.
Il D. fece ritorno a Firenze proprio nel momento in cui Arrigo VII, nello stesso febbraio del 1313, lasciando il proprio accampamento di Poggibonsi, pronunziò la condanna contro 517 Cittadini di Firenze, tra i quali spiccavano i nomi del D. e di Rossellino Della Tosa. Successivamente, e sempre insieme a Rossellino, partecipò ad alcune sfortunate imprese militari contro i nemici di Firenze: il suo nome compare infatti nelle cavallate dell'esercito fiorentino, tra i feditori, sia nella spedizione contro Uguccione Della Faggiuola, signore di Pisa, conclusasi con la sconfitta di Montecatini il 29 ag. 1315, sia in quella contro Castruccio Castracani, signore di Lucca, conclusasi con la sconfitta di Altopascio, il 23 sett. 1325. Morì, con ogni probabilità, non molto tempo dopo e comunque prima della moglie Drea (o Dina), della nobile casata guelfa dei Giandonati, morta nel novembre 1333.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, S. Trinita, 28 maggio 1277; Ibid., Diplomatico, Adespote, 18 marzo 1294; Chronicon Parmense, in Rer. Ital. Script., 2 ed., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. 122-27; Storia della guerra di Semifonte e Cronichetta inedita di Neri degli Strinati, Firenze 1753, p. 116; Il libro di Montaperti, a cura di C. Paoli, Firenze 1889, p. 1; Le Consulte della Repubblica fiorentina, a cura di A. Gherardi, Firenze 1896-98, ad Indicem; Consigli della Repubblica fiorentina, a cura di B. Barbadoro, I, Bologna 1921-1930, pp., 164, 577; Docum. delle relazioni tra Carlo d'Angiò e la Toscana, a cura di S. Terlizzi, Firenze 1950, pp. 469 s., 473; Liber extimationum, a cura di O. Brattö, Göteborg 1956, pp. 79 s., 91, G. Lami, S. Ecclesiae Florentinae monumenta, Florentiae 1758, I, p. 130, II, p. 895; Delizie degli eruditi toscani, IX (1777), pp. 195, 198; XI (1778), pp. 127, 211, XII (1779), p. 266; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, 2, Firenze 1880, pp. 523 s.; M. Mechiorri, Vicende della signoria di Ghiberto da Correggio in Parma, in Arch. stor. per le province parmensi, n. s., VI (1906), p. 178; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II,Firenze 1956, p. 682, III, ibid. 1957, pp. 322, 6741 IV, ibid. 1960, pp. 340, 608 s.