Oceano e mare
Le acque che ricoprono la Terra
La quasi totalità del Pianeta è ricoperta dalla massa oceanica. Il rapporto dell’uomo con il mare ha il sapore del mito e della storia, ma ha anche il valore della sfida per la conoscenza. Per lunghi secoli l’estensione delle superfici oceaniche e la forma degli abissi marini hanno rappresentato il luogo dell’ignoto. Oggi lo studio dell’idrosfera marina e dei fondali oceanici continua a essere un campo d’indagine di grande importanza. Ingenti risorse minerarie giacciono intatte nelle remote profondità degli abissi, l’azione geodinamica della crosta oceanica deve essere ancora compresa nei suoi dettagli ed è fondamentale chiarire il ruolo degli oceani nei cambiamenti climatici
Oceano e mare: immediatamente vengono in mente viaggi epici, avventurose traversate e sensazionali scoperte di continenti inesplorati, personaggi leggendari altamente simbolici e protagonisti della storia, Ulisse e Cristoforo Colombo. Innumerevoli e fascinose vicende, associate all’ambiente marino perché l’oceano per l’uomo delle origini ha significato l’ignoto. Così superare il confine tra terra e mare ha significato per secoli oltrepassare il limite del mondo conosciuto, un’umana aspirazione che oggi è rappresentata dall’esplorazione dello spazio interplanetario. Il 97% di tutte le acque disponibili sulla Terra appartiene agli oceani e ai mari, con una superficie equivalente al 71% della superficie terrestre. I traffici delle merci, ai quali sin da tempi remoti seguirono le contaminazioni culturali che hanno contribuito agli sviluppi delle arti e dei mestieri nelle varie civiltà, usano ancora in modo sostanziale le vie del mare.
Tuttavia, in prospettiva futura, assume anche più importanza il ruolo dell’oceano in quanto giacimento di risorse. I bisogni alimentari dell’umanità saranno probabilmente sempre più soddisfatti attraverso colture in ambiente marino; ingenti quantità di materie prime minerarie saranno estratte dai fondali oceanici; aumenterà l’energia rinnovabile e pulita prodotta sfruttando i movimenti delle acque marine e delle maree; il fabbisogno di acque potabili sarà soddisfatto in misura crescente con la desalinizzazione. A fronte di queste notevoli implicazioni, si sono consolidate numerose discipline scientifiche che si occupano di specifiche caratteristiche relative agli oceani da diversi punti di vista: fisico, geologico, biologico, chimico. Questi diversi punti di vista sono compresenti nell’oceanografia a cui spetta il compito di ricostruire un quadro unitario delle conoscenze.
Genericamente, quando si fa riferimento al mare non si presta attenzione al fatto che dal punto di vista scientifico, sia geografico sia geologico, oceani e mari sono unità distinte. Più precisamente i mari costituiscono bacini marginali in comunicazione con i relativi oceani. Esistono soltanto tre enormi bacini oceanici, l’Oceano Pacifico, l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano, con estensione rispettivamente di 180, 106 e 85 milioni di km2. Essi hanno profondità media notevole – circa 3.800 m – e ricoprono fondali costituiti essenzialmente da crosta di basalto. I mari hanno invece estensioni molto inferiori, profondità ridotte e sovrastano fondali prevalentemente continentali (crosta terrestre).
Secondo una classificazione geografica, i bacini marini possono appartenere a due categorie: quella dei mari mediterranei – quando sono quasi interamente circondati da terre emerse (un esempio è il nostro Mar Mediterraneo) – e quella dei mari adiacenti, in cui i bacini confinano con aree oceaniche, pur rimanendo relativamente isolati (per esempio, il Mare del Nord).
Nel mare si nuota meglio che nel lago perché l’acqua salata possiede una densità maggiore di quella dolce e ciò favorisce il galleggiamento. L’acqua marina ha una salinità media del 35‰ (cioè in 1 litro di acqua, equivalente circa a 1.000 g, sono disciolti in media 35 g di sali minerali) .
Nella soluzione acquosa i sali sono presenti sotto forma di ioni, cioè di atomi o di raggruppamenti atomici carichi elettricamente, che possono precipitare come solidi se si verificano determinate condizioni. Per esempio, nelle saline da cui si estrae il comune sale da cucina (cloruro di sodio) la precipitazione si ottiene facendo concentrare la soluzione per evaporazione. Le saline sono infatti vasche molto estese e poco profonde collocate in aree a clima caldo (in Italia a Trapani, Margherita di Savoia e Cagliari), nelle quali l’acqua marina evaporando lascia precipitare prima i sali meno solubili (che abbiano comunque una concentrazione sufficiente a raggiungere la condizione di saturazione), e tra gli ultimi il cloruro di sodio. La salinità dei mari e degli oceani cambia con le condizioni locali della temperatura. Nei mari caldi, dove l’acqua superficiale è sottoposta a intenso irraggiamento solare e a forte evaporazione, essa può raggiungere valori molto grandi – superiori al 40‰, come, per esempio, in alcune aree del Mar Rosso, del Golfo Persico e del Mediterraneo Orientale –, mentre nei mari freddi scende a concentrazioni significativamente più basse (soltanto 3,5‰ nel Golfo di Finlandia). Tuttavia la composizione percentuale dei sali rimane costante. Questa importante caratteristica è propria dei costituenti principali ma non vale per i cosiddetti costituenti minori, cioè quelli che sono presenti nelle acque marine con concentrazioni molto basse. Tra questi troviamo quasi tutti gli elementi noti in natura, alcuni con ruolo di particolare rilevanza nei fenomeni biologici di ambiente marino. Il silicio, per esempio, è quasi completamente assente nei livelli marini superficiali perché utilizzato da microscopiche alghe (diatomee) per la costruzione del guscio.
La temperatura delle acque oceaniche e marine di superficie è determinata dal riscaldamento solare e, con variazioni relative sia alle stagioni sia alla latitudine, non subisce le oscillazioni tipiche delle terre emerse. Alle nostre latitudini l’intervallo di variazione inverno-estate della temperatura del mare in superficie è compreso tra 15 e 25 °C. Per questo le zone costiere hanno un clima più mite di quelle lontane dal mare. La temperatura complessiva media di tutta l’acqua degli oceani è di circa 4 °C. Ovviamente le acque più profonde hanno temperature minori di quelle superficiali, ma la diminuzione non avviene in modo graduale. Negli oceani, dalla superficie fino a circa 1504200 m di profondità la temperatura si mantiene pressoché costante a causa dei rimescolamenti provocati dal moto ondoso (prima zona termica). A profondità maggiori, la temperatura diminuisce rapidamente fino a circa 1.00041.200 m nello strato che è chiamato termoclino (seconda zona termica), poi cala più dolcemente e a 4.000 m raggiunge il minimo, risultando di poco superiore allo zero e così si mantiene anche alle profondità abissali (terza zona termica). Questa variazione verticale di temperatura costituisce soltanto un modello generale, in quanto la temperatura delle acque dei fondali può risentire delle particolarità morfologiche dei relativi bacini (nel Mare Mediterraneo, con scarso ricambio e in clima temperato, si aggira intorno ai 13 °C) e inoltre l’intervallo di profondità del termoclino può subire anch’esso variazioni stagionali e in relazione alla latitudine. Il caso limite dei mari polari nella stagione invernale ne fornisce un chiaro esempio: in queste condizioni, la temperatura superficiale può essere addirittura inferiore a quella degli strati sottostanti e il termoclino non si realizza affatto.
Quando si consegna al mare il proverbiale messaggio nella bottiglia si confida nella sua capacità di trasporto. L’esperienza diretta ci informa che l’acqua del mare e degli oceani è mobile, ma le caratteristiche dei movimenti principali cui è soggetta non sono evidenti. Sulla massa liquida agiscono diverse forze che danno origine a tre grandi categorie di fenomeni: onde, maree e correnti. Il moto ondoso è provocato dall’azione del vento che esercita, proporzionalmente alla velocità con cui spira, una pressione sulle acque superficiali che è all’origine della loro oscillazione. Per la gioia dei surfisti, in concomitanza di venti di tempesta l’altezza delle onde può raggiungere e superare i 10 m. Onde di questo tipo si infrangono sulla costa svolgendo un’intensa azione erosiva e provocando ingenti danni alle opere dell’uomo. Il modo in cui si rompe un’onda dipende dalla sua lunghezza. Il parametro della lunghezza, che è circa trenta volte l’altezza dell’onda, determina infatti, insieme alla pendenza del fondale, la distanza dalla riva dalla quale hanno inizio gli spostamenti orizzontali dell’acqua che terminano nel rovesciamento dell’onda. Se avessimo la possibilità di seguire in mare aperto l’andamento di una singola particella d’acqua superficiale sottoposta al moto ondoso, potremmo individuarne, in sezione verticale, il movimento perfettamente circolare, nel senso che la particella d’acqua, alla fine del percorso, ritorna praticamente nella posizione iniziale. Infatti le onde, come in genere anche le maree, non comportano trasporto d’acqua.
Le correnti marine sono grandi spostamenti orizzontali di masse acquee, distinte per temperatura, salinità e talvolta anche colore. Si tratta di flussi immensi, veri e propri fiumi giganteschi con una specifica velocità di scorrimento (di qualche chilometro all’ora e in alcuni casi anche di 10 km/h), che caratterizzano la circolazione dei vari bacini, dai più grandi ai più piccoli. Nella circolazione oceanica, molto schematicamente, correnti superficiali trasferiscono acque calde di superficie dalle zone tropicali verso le regioni più fredde e correnti di profondità trasportano per compensazione acque fredde in direzione dell’Equatore. Le traiettorie delle correnti hanno notevole influenza sul clima: si pensi alla corrente calda del Golfo che rende il clima della Gran Bretagna molto più mite rispetto a quello delle corrispondenti regioni sull’altra sponda dell’Oceano Atlantico.
Esse sono condizionate dalla morfologia dei bacini e da una forza deviante originata dalla rotazione terrestre (forza di Coriolis). Il risultato è costituito da sistemi di correnti di forma circolare. Nei mari, i movimenti delle principali correnti sono prevalentemente originati dalle differenze chimico-fisiche con le acque dei maggiori bacini comunicanti con essi. Così avviene nel Mar Mediterraneo attraverso lo Stretto di Gibilterra: le acque dell’Oceano Atlantico, meno salate e più leggere, penetrano in superficie nel bacino minore mentre quelle con salinità maggiore, provenienti dal Mar Mediterraneo, dopo aver sopportato una più intensa evaporazione si incuneano in profondità verso l’oceano aperto.
Fino alla metà del secolo scorso l’ambiente dei fondali oceanici era ignoto. Oggi, grazie all’evoluzione degli strumenti per le ricerche oceanografiche di superficie (ecoscandagli, sonar) e all’esplorazione diretta resa accessibile da specifici batiscafi, resistenti alle fortissime pressioni delle grandi profondità, e da programmi di perforazione della crosta oceanica, le conoscenze su questi ambienti estremi sono notevolmente aumentate.
Osservando una moderna carta dei fondali oceanici saltano immediatamente agli occhi due grandi tipologie di strutture dal rilevante significato geologico: le dorsali medio-oceaniche, imponenti rilievi di 2.00043.000 m di altezza caratterizzati da vulcanismo persistente che solcano tutti e tre gli oceani per 60.000 km; le fosse oceaniche, depressioni che si spingono oltre i 6.000 m di profondità, fino a raggiungere il massimo assoluto di 11.516 m nella Fossa delle Filippine. Queste depressioni non sono complessivamente molto estese (soltanto l’1% circa della superficie sottomarina) ma significativamente allungate lungo i margini delle placche litosferiche (tettonica). Ben evidenti, tra le altre, anche le piattaforme e le scarpate continentali, strutture di raccordo fra terre emerse, e le piane abissali. Queste ultime coprono una superficie equivalente all’83% delle aree sommerse e si sviluppano a profondità superiori ai 2.000 m.
I fondali oceanici sono ricoperti da notevoli quantità di sedimenti che nel tempo geologico vanno a formare le rocce sedimentarie di origine marina. In prossimità delle terre emerse, nelle aree corrispondenti a piattaforme e scarpate continentali, i sedimenti provengono dall’erosione dei continenti e spesso danno origine ad accumuli noti con il nome di prisma sedimentario. Alle profondità dei fondali oceanici dominano invece fanghi finissimi, arricchiti fino a circa 4.00045.000 m da gusci di organismi microscopici – prima dei 3.000 m prevalentemente calcarei e dopo i 4.000 m esclusivamente silicei – e costituiti oltre questo limite da minerali argillosi (fanghi abissali).
A tali remote profondità, proprio tra i fanghi abissali, si trova una risorsa mineraria recentemente stimata di grande interesse. Si tratta dei noduli polimetallici, ciottoli di qualche centimetro di diametro, ricchi in prevalenza di ferro, manganese ma anche di molti altri metalli pregiati. Altra risorsa mineraria, per meglio dire energetica, celata in notevole quantità nei sedimenti dei fondali marini e oceanici è costituita dai particolari forme di ghiaccio capaci di intrappolare nella loro struttura il metano.
I segreti della crosta oceanica, da sempre preservati dalla spessa coltre delle acque, hanno cominciato a essere svelati dagli anni Sessanta del 20° secolo. In quegli anni fu realizzata infatti una nave oceanografica, la Glomar Challenger, appositamente attrezzata per le perforazioni nei mari profondi. Da allora sono stati eseguiti migliaia di sondaggi, tra i quali
il più profondo ha superato i 2.000 m all’interno della crosta oceanica. Oggi, nell’ambito del progetto IODP (Integrated ocean drilling program «programma integrato di perforazione oceanica») in cui operano nuove navi oceanografiche,
un consorzio internazionale sostiene le enormi spese delle ricerche con l’obiettivo di approfondire le conoscenze sul ruolo della crosta oceanica nella geodinamica.
L’idrosfera marina è parte integrante del complesso equilibrio che determina il clima sulla Terra. Negli ultimi anni, a causa
di preoccupanti cambiamenti climatici, sono aumentati gli studi finalizzati al controllo di quelle caratteristiche dell’ambiente oceanico sensibili a tali cambiamenti. Le grandi circolazioni oceaniche, la temperatura superficiale, il livello topografico medio della superficie del mare sono costantemente sorvegliati, anche con l’ausilio di satelliti artificiali specificamente realizzati e messi in orbita terrestre per il telerilevamento. I dati così ottenuti alimentano modelli di calcolo per computer di grandi capacità, in grado di fornire previsioni di riferimento.