NUCLEO
. Secondo il modello dell'atomo comunemente accettato, questo consta di una parte centrale, carica positivamente e con forte massa, intorno a cui si muovono gli elettroni, cariche negative di elettricità, dotate di massa alcune migliaia di volte più piccola della parte centrale, che costituisce appunto il nucleo. Assimilando l'atomo a un minuscolo sistema planetario, il nucleo corrisponderebbe al sole.
Le stesse esperienze che hanno condotto E. Rutherford alla concezione dell'atomo come analogo a un sistema planetario hanno dato anche le prime informazioni sul nucleo. Tali esperienze consistono nel lanciare particelle α, ossia particelle cariche di elettricità positiva e aventi massa eguale a quella dell'atomo d'elio, in altre parole nuclei di elio, provenienti dalla disintegrazione di sostanze radioattive, su una sottile foglia metallica. Alcune particelle vengono deviate fortemente dalla loro traiettoria, e dallo studio sistematico di queste deviazioni Rutherford giunse alla conclusione che esse potevano essere spiegate ammettendo che gli atomi della sostanza bombardata avessero quasi tutta la loro massa concentrata in un volume piccolissimo rispetto alle dimensioni atomiche e che in questo volume si trovasse anche una carica positiva agente con legge coulombiana sulla particella urtante. Tale modello atomico è sostanzialmente diverso da quello statico proposto da J. J. Thomson e che fino al 1913 era accettato da molti fisici. Le deflessioni delle traiettorie delle particelle α osservate da Rutherford e dai suoi scolari, non sono assolutamente giustificabili con l'atomo di Thomson a cui Rutherford stesso sostituì l'atomo planetario oggi universalmente accettato.
Con tali memorabili ricerche veniva iniziata una nuova epoca nella fisica atomica (vedi atomo: Teoria elettrica dell'atomo), e si dava una base alla fisica nucleare che è però ancora ben lungi dall'aver raggiunto un assetto definitivo, e che anzi si trova tuttora in pieno rapidissimo sviluppo.
1. Proprietà esterne globali del nucleo. - Le esperienze di deviazione delle particelle α permettono di misurare la carica elettrica del nucleo. Si trova che la carica Ze, positiva, è un multiplo intero di quella elettronica e, cambiata di segno (4,77 × 10-10 u. e. s.); Z si chiama numero atomico, esso va da 1 per l'idrogeno a 92 per l'uranio. La determinazione approssimativa di Z fatta da Rutherford e scolari per alcune sostanze, col metodo sopra indicato, fu quasi subito confermata da H. G. J. Moseley mediante lo studio degli spettri di raggi X, via del tutto indipendente da quella seguita da Rutherford.
La misura della massa nucleare M riserbava invece una sorpresa: J. J. Thomson e F. W. Aston trovarono infatti che non tutti gli atomi di uno stesso elemento hanno nuclei con la stessa massa, ma che anzi spesso gli atomi di un medesimo elemento hanno una massa diversa pur essendo dotati tutti della stessa carica nucleare. Caratteristica per la specie chimica è la carica nucleare ovvero il numero atomico, da cui dipendono anche la quasi totalità delle proprietà spettroscopiche, magnetiche, ecc. di un atomo. La massa atomica è invece relativamente di secondaria importanza. Elementi con lo stesso numero atomico e quindi con la stessa carica nucleare diconsi isotopi (v. isotopismo). In natura gli isotopi si trovano quasi sempre mescolati in rapporti costanti; così per es. un grammo di cloro, di qualsiasi provenienza, contiene circa gr. o,75 di Cl dal peso atomico 34,98 e circa gr. o,25 di Cl dal peso atomico 36,98.
La ragione per cui i diversi isotopi di un elemento si trovano sempre mescolati nelle stesse proporzioni è che, avendo essi le medesime proprietà chimico-fisiche, no1i possono avvenire, una volta mescolati, reazioni geochimiehe che li separino, per cui ciò che si presenta in natura è sempre il miscuglio in quelle determinate proporzioni in cui si è avuta la miscela all'inizio.
Un risultato importantissimo delle ricerche dell'Aston è stata la scoperta che anche le masse dei nuclei atomici sono, con grande approssimazione, multipli interi di una massa elementare pari alla sedicesima parte della massa dell'atomo di ossigeno o più precisamente della massa media degli atomi di O (unità di massa atomica chimica, in contrapposto a quella fisica che è quella della sedicesima parte dell'atomo del più leggiero degl'isotopi dell'ossigeno). Tale fatto, a causa dell'esistenza degl'isotopi, era sfuggito ai chimici che avevano sempre determinato masse atomiche medie di miscugli d'isotopi. Le masse atomiche vanno da 1,0078 a 238, 18 unità di massa: il primo numero è la massa atornica dell'idrogeno, l'ultimo numero vien raggiunto per l'uranio. In queste masse atomiche il contributo portato dagli elettroni è molto piccolo, dell'ordine di grandezza di alcuni decimillesimi della massa totale dell'atomo, che quindi coincide quasi esattamente con la massa nucleare.
Dalle esperienze del Rutherford sulla deviazione delle particelle α sono derivate anche informazioni sulle dimensioni del nucleo. I raggi nucleari risultano dell'ordine di grandezza di 10-12 cm., intendendosi con ciò che fino a quella distanza dal centro del nucleo vale la legge coulombiana per l'azione elettrostatica, il che implica che tutta la carica nucleare sia contenuta in una sferetta di quel raggio: altrettanto si dica per la massa. Notiamo che le dimensioni atomiche sono dell'ordine di grandezza di 10-8 cm., ossia diecimila volte maggiori di quelle nucleari.
Recentemente delicate indagini spettroscopiche hanno portato ad attribuire ai nuclei anche un momento meccanico intrinseco, ossia qualcosa di simile a una rotazione intorno al loro asse. Anche il momento meccanico intrinseco è pari a un multiplo intero di una quantità fissa
dove h è la costante di Planck pari a 6,5410-27 erg/sec. Tale momento intrinseco totale dei nuclei ha riscontro in un analogo momento intrinseco dell'elettrone di grandezza
Esso è in genere diverso per i diversi isotopi e salvo pochissime eccezioni, gl'isotopi di peso pari sono privi di momento nucleare. Al momento meccanico è connesso un momento magnetico, ossia un nucleo è in definitiva caratterizzato, almeno come proprietà esterna, dalla massa M, dalla carica positiva Ze, dal momento angolare
(I multiplo intero di 1/2), dal momento magnetico. I momenti magnetici nucleari non sono ancora ben conosciuti, comunque certo sono in genere assai piccoli, dell'ordine di grandezza di 1/1000 del momento magnetico elettronico, ossia di circa 10-23 u. e. s.
La fig. 1 rappresenta in a la riga spettrale 4722 Å del bismuto esaminata con mezzi di alto potere risolvente. Essa manifesta una struttura di 6 componenti. La scissione della riga è dovuta al momento magnetico nucleare. Una microfotometria b mostra l'accordo tra il risultato sperimentale e le previsioni teoriche fondate sull'ipotesi del momento magnetico nucleare. In c le ordinate rappresentano le intensità delle singole componenti calcolate teoricamente in base all'ipotesi sopra accennata. I due tratti orizzontali sotto la figura c rappresentano un Ångström (quello superiore) e un numero d'onda (quello inferiore).
I momenti nucleari si manifestano oltre che per effetti spettroscopici (struttura iperfine delle righe spettrali, intensità alternate negli spettri di bande), anche, in qualche caso, con notevoli fenomeni macroscopici. È stato p. es. recentemente dimostrato che il comune idrogeno molecolare è costituito da un miscuglio di orto e para-idrogeno, ossia di molecole in cui i due momenti meccanici nucleari (per il protone essi valgono, come per l'elettrone,
sono orientati parallelamente o antiparallelamente, cioè in versi opposti. È possibile separare l'orto-idrogeno dal para-idrogeno e si trova che essi differiscono, oltre che spettroscopicamente, anche per il calore specifico, per la conduttività termica e per varie altre proprietà macroscopiche. È questo un esempio assai notevole di come le proprietà nucleari possono influenzare le proprietà macroscopiche di una sostanza attraverso legami talora alquanto reconditi.
Recentissimamente è riuscito a O. Stern e collaboratori di mostrare direttamente col metodo della deviazione in un campo magnetico inomogeneo (esperimento di Stern e Gerlach) l'esistenza di un momento magnetico nucleare nell'idrogeno. La grandezza di questo momento magnetico nucleare, per quanto conosciuta con poca precisione, è di circa un millesimo del magnetone di Bohr (v. magnetone).
Un'altra proprietà nucleare d'importanza fondamentale è il tipo di statistica dei nuclei stessi. Si suol dire che un nucleo ha statistica di Fermi se esso obbedisce al principio di Pauli, che vieta che in un sistema possono esistere due particelle nello stesso stato quantico; che ha statistica di Bose-Einstein nel caso contrario.
Tali proprietà statistiche sono tra le più profonde e fondamentali per lo studio dei nuclei; esse sono essenzialmente connesse solo al numero di particelle contenute nel nucleo.
2. Disintegrazioni e modelli nucleari. - Abbiamo finora elencato le principali proprietà esterne del nucleo, ma già il fatto che la carica e la massa nucleari sono multiple intere di quantità fisse, fanno arguire che i nuclei stessi non debbano essere particelle elementari, ma abbiano a loro volta una struttura. Del resto lo studio delle sostanze radioattive ha mostrato fin dal principio del sec. XX che esse si disintegrano, emettendo particelle α e β. Ora le particelle α e β non sono altro che nuclei di elio (Z = 2, M = 4) ed elettroni, rispettivamente. Poiché tali particelle provengono dal nucleo, era naturale ammettere che esse fossero in esso contenute. Si pensava così che un nucleo constasse di un certo numero di elettroni, particelle α ed eventualmente protoni, in modo da costituire in tutto un complesso sistema di massa M e di carica Ze.
Nella maggioranza delle sostanze che si trovano in natura, i nuclei sono stabili, in alcune, e precisamente in quelle radioattive, i nuclei non sono stabili, possono cioè disintegrarsi spontaneamente con l'emissione di una particella α, nel qual caso la massa diminuisce di 4 e il numero atomico di 2, oppure con l'emissione di una particella β nel qual caso la massa rimane praticamente invariata e il numero atomico aumenta di 1. Sono radioattive spontaneamente tutte le sostanze con Z > 83, alcuni isotopi del tallio, piombo, bismuto e inoltre, debolissimamente, il rubidio, il potassio e il samario (v. radioattività).
Oltreché disintegrazioni spontanee sono state osservate anche disintegrazioni artificiali, ossia disintegrazioni di nuclei, ordinariamente stabili, sotto l'azione di un urto. Il Rutherford osservò per primo delle disintegrazioni artificiali nel 1919. Egli usava come particelle urtanti delle particelle α provenienti da sostanze radioattive, dotate di energie dell'ordine di grandezza di alcuni milioni di volt-elettrone.
Lo studio delle disintegrazioni, relativamente lento dal 1919 al 1930, ha preso in seguito un enorme e rapido sviluppo, che seguita ancora oggi. Cercheremo di riassumerne i principali risultati sino al maggio 1934.
I metodi di osservazione usati sono varî e si possono classificare in 3 gruppi: 1. Il metodo delle scintillazioni, usato nei primi tempi e ormai quasi abbandonato; si vale dello spintariscopio. Le particelle urtando contro uno schermo fluorescente producono brevi lampi che vengono contati a occhio. 2. Il metodo della camera di Wilson (v. ionizzazione). Esso è uno dei più diretti. Le disintegrazioni si fanno avvenire in un ambiente sovrasaturo di vapor d'acqua. È allora possibile vedere la scia di ioni formati sia dalla particella urtante sia dai prodotti di disintegrazione lungo il loro percorso. Intorno a questi ioni infatti si condensa della nebbia per cui restano visibili le traiettorie percorse dai varî corpuscoli. Dallo studio delle tracce si è riesciti a risalire alle masse dei prodotti di disintegrazione e si è verificato che p. es. la disintegrazione dell'azoto da parte delle particelle α dà luogo alla cattura della particella α stessa, di guisa che il nucleo di azoto si trasforma in un nucleo di ossigeno mentre viene liberato un protone. La fig. 2 rappresenta una fotografia di una disintegrazione di un nucleo d'azoto eseguita da P. M. S. Blacket. Tra un fascio di particelle α, verso sinistra, si vede una biforcazione, il ramo sottile è dovuto a un protone rapido derivato dalla disintegrazione d'un atomo di azoto, il ramo più grosso è dovuto al nuovo nucleo formato con la cattura della particella α incidente. 3. Metodi elettrici. Gli ioni formati dalle particelle traversando una camera di ionizzazione vengono rivelati con metodi elettrici o direttamente con elettrometri molto sensibili, o dopo averne moltiplicato il numero con opportuni artifici (contatori di Geiger).
I "proiettili" usati nelle disintegrazioni fino a oggi sono: neutroni, (m1); protoni (nuclei di H1); deutoni (nuclei di H2); particelle α (nuclei di He4). Il numero in alto presso il simbolo chimico denota la massa del nucleo di cui si parla. Mentre una volta si adoperavano come proiettili esclusivamente particelle provenienti dalle disintegrazioni spontanee delle sostanze radioattive, oggi si tende sempre più a servirsi di particelle accelerate artificialmente; ciò esige un notevole progresso nella tecnica delle alte tensioni e il problema è state attaccato con varî metodi in molti istituti e sono già stati raggiunti risultati notevolissimi a opera di J. D. Cockcroft e E. T. S. Walton e di altri ricercatori della scuola di Cambridge e in America.
Le disintegrazioni prodotte da neutroni possono avvenire secondo varî schemi. Se ne riportano i principali: il neutrone urtante resta catturato e il nucleo urtato si trasforma in un isotopo radioattivo di elementi ordinari, che successivamente si disintegra emettendo un elettrone: per es: oppure il nucleo urtato emette un protone o una particella α e dà luogo a nuclei radioattivi che si disintegrano successivamente: p. es.:
oppure il nucleo urtato emette un protone o una particella α e dà luogo a nuclei radioattivi che si disintegrano successivamente: p. es.:
In generale il primo processo avviene quasi istantaneamente, mentre la sostanza radioattiva artificialmente prodotta (I128, Mn54, negli esempî) può avere una vita media anche di settimane. Notevole è il caso di U92 che sembra dia luogo a un'intera famiglia radioattiva, probabilmente con alcuni termini con Z > 92.
Con particelle cariche, protoni, deutoni, particelle α si sono finora disintegrati solo nuclei leggieri. Ciò è dovuto al fatto che nuclei di elementi a forte carica nucleare esercitano sulle particelle urtanti una repulsione elettrostatica così violenta da impedire a quella di giungere abbastanza vicina al nucleo. Comunque la probabilità che avvenga un urto del tipo adatto a produrre una disintegrazione è sempre assai piccola. Essa dipende naturalmente, oltre che dalla natura del proiettile e della particella urtata, anche molto dalla velocità della particella urtante.
Per urto di protoni si possono avere varî tipi di reazioni. Tra le meglio studiate è la disintegrazione del litio secondo lo schema
Il rendimento di queste reazioni, ossia il rapporto tra il numero di protoni incidenti e di nuclei disintegrati, cresce rapidamente al crescere dell'energia dei protoni, tuttavia è stato possibile osservare le disintegrazioni prodotte da protoni di soli 13.000 Ve, adoperando fasci molto intensi. I deutoni servono anche molto bene per disintegrare i nuclei, specialmente leggieri. Una delle reazioni più interessanti è la disintegrazione dei deutoni per urto con deutoni secondo le reazioni:
Questa reazione è particolarmente notevole perché dà il modo di produrre intense sorgenti di neutroni con mezzi artificiali. Anche per i deutoni il rendimento delle reazioni cresce rapidamente con l'energia delle particelle.
Le particelle α, nuclei di He4 sono state, come abbiamo detto, i primi proiettili impiegati con successo per esperienze di disintegrazione.
Come esempî di reazioni nucleari dovute all'urto di particelle α, ricorderemo le seguenti:
in cui la cattura della particella α è accompagnata dall'emissione di un neutrone. Notiamo a questo proposito che il neutrone fu scoperto proprio studiando la radiazione emessa dal berillio bombardato con particelle α (v. neutrone). Altre volte si ha l'emissione di un protone e la formazione di un nuovo elemento radioattivo, che successivamente si disintegra emettendo positroni, ossia elettroni carichi positivamente: p. es.:
Il rendimento delle reazioni provocate dall'urto di particelle α in funzione della velocità talvolta non cresce regolarmente al crescere della velocità, ma si hanno velocità privilegiate per cui il rendimento raggiunge un massimo (risonanza); questo fenomeno si mostra particolarmente netto nella disintegrazione dell'alluminio.
È infine da ricordare che anche la radiazione penetrante cosmica può produrre disintegrazioni. Su tali disintegrazioni tuttavia non si hanno dati molto estesi. D. Anderson, P. M. S. Blackett e G. Occhialini hanno fotografato con la camera di Wilson alcuni esempî di queste complicatissime disintegrazioni fra i prodotti delle quali si riscontrano elettroni, positroni ecc. La fig. 3 mostra la disintegrazione prodotta da un raggio cosmico. Il nucleo (probabilmente rame) disintegrato è fuori della figura. Si vedono molte tracce che indicano l'estrema complicazione del processo.
Un campo magnetico, perpendicolare al piano della figura, curva le traiettorie delle particelle, diversamente secondo la loro velocità e il segno della loro carica: le particelle deviate a destra o a sinistra hanno cariche di segno differente.
Ripetiamo che gli schemi di reazioni nucleari che si sono elencati sono solo una parte di quelli osservati. Ci si è limitati a ricordare alcuni degli esempî più interessanti, ma ogni giorno, si può dire, la "chimica nucleare" si arricchisce di nuovi risultati.
Come conclusione generale dello studio sperimentale delle proprietà dei nuclei sembra comunque risultare che questi non hanno un'organizzazione in alcun modo simile a quella degli atomi. Anzi sembra che essi consistano di parti piuttosto indipendenti tra di loro che interagiscono solo a piccolissime distanze. Si ritrova così al centro dell'atomo una specie di materia che ha le stesse proprietà di estensione e impenetrabilità della materia macroscopica. Di una tale materia nucleare sembrano costituiti tanto i nuclei pesanti quanto quelli leggieri e la loro differenza dipende soprattutto dal loro contenuto di diverse quantità di materia nucleare.
3. Teorie del nucleo. - La scoperta del neutrone ha portato una rivoluzione nella concezione del nucleo. Si è già detto che si ammetteva che un nucleo constasse essenzialmente di particelle α, protoni, elettroni, tenuti insieme da forze di natura non del tutto conosciuta, ma il cui effetto complessivo può essere schematizzato da una barriera di potenziale alla superficie del nucleo, una specie di recinto ad alte pareti che trattenesse le particelle. La meccanica quantistica applicata a questo schema dà un risultato notevole e diverso dalla meccanica classica. Secondo quest'ultima, una particella pub scavalcare la barriera di potenziale solo se ha energia sufficiente per farlo ossia superiore all'altezza U0 della barriera stessa, e in tal caso lo fa senz'altro (fig. 4).
Classicamente è quindi inspiegabile con questo semplice modello una vita media finita per le sostanze radioattive. Esse dovrebbero essere o stabili e non disintegrarsi mai ovvero instabili e disintegrarsi immediatamente. G. Gamow e R. W. Gurney e E. U. Condon hanno osservato che le cose vanno altrimenti nella meccanica quantistica in cui una barriera di potenziale ha sempre una probabilità finita di essere superata da una particella di energia qualsiasi. La probabilità dipende essenzialmente dalla energia della particella e dall'altezza e spessore della barriera di potenziale.
Nel caso semplice della fig. 4, dove la freccia indica la traiettoria della particella urtante, la probabilità di scavalcamento è data a meno di fattori costanti da
per ogni urto. Ora la teoria di Gamow spiega qualitativamente varie circostanze delle disintegrazioni α e in particolare la legge di decadimento esponenziale e la legge di Geiger e Nuttall che lega la velocità delle particelle emesse con la vita media della sostanza radioattiva (v. radioattività). Essa rende conto anche del fatto osservato che i protoni penetrano nel nucleo, a parità di energia, più facilmente delle particelle α. Malgrado questi successi della meccanica quantistica nei dominî del nucleo, il modello di nucleo contenente elettroni restava soggetto a gravissime obiezioni, poiché per la meccanica quantistica presenta difficoltà insormontabili ammettere che nel nucleo esistano elettroni liberi: infatti questi, data la loro piccola massa, assumerebbero energie di valore inammissibile. Per ovviare questa ed altre difficoltà, subito dopo la scoperta del neutrone D. Ivanenko e W. Heisenberg emisero l'ipotesi che i nuclei constassero di protoni, particelle α e neutroni, senza elettroni.
Con tale ipotesi la difficoltà suaccennata viene rimossa poichè è possibile costringere particelle in spazî di dimensioni nucleari purchè abbiano masse paragonabili a quella protonica.
Tale nuovo modello di nucleo pur non essendo completo, principalmente perché non dà la spiegazione dell'origine e del comportamento degli elettroni (particelle β) che compaiono nelle disintegrazioni delle sostanze radioattive, ha già ottenuto notevoli conferme. Con tale modello il numero atomico Z è il numero dei protoni contenuto nel nucleo, la massa nucleare M la somma del numero dei neutroni e del numero dei protoni; eventualmente alcune particelle possono essere raggruppate in particelle α che presentano una speciale stabilità. La teoria va ancora più in là, precisando la natura delle forze che tengono insieme la compagine nucleare. Di queste, alcune sono le comuni forze elettrostatiche, altre dovrebbero avere origine dallo scambio della carica tra un protone e un neutrone. Esse non hanno riscontro nella meccanica classica, ma forze analoghe sono conosciute dalla meccanica quantistica che, per loro mezzo, ha potuto spiegare la formazione delle molecole e le forze di valenza.
La teoria di Heisenberg del nucleo è stata perfezionata successivamente da E. Majorana ed essa, oltre che rimuovere la difficoltà degli elettroni nucleari, rende conto della densità circa costante della materia nucleare a cui abbiamo accennato, e del fatto che il rapporto tra il numero di protoni e di neutroni nel nucleo sia una funzione regolare del numero atomico. Quest'ultimo fatto si può riconoscere agevolmente nella fig. 5. In essa ogni nucleo conosciuto è segnato con un circoletto o con una crocetta secondo che è stabile o radioattivo. Le ascisse dànno il numero dei protoni contenuti nel nucleo, le ordinate quello dei neutroni. È notevole come tutti i nuclei conosciuti siano raggruppati intorno a una linea.
La teoria delle particelle pesanti del nucleo è quindi in via di sistemazione, mentre quella delle particelle leggiere, enormemente più difficile perché implica anche un'ulteriore sviluppo della meccanica quantistica relativistica, è stata recentemente affrontata da E. Fermi, il quale, fondandosi su un'ipotesi di W. Pauli, è riuscito a dare una spiegazione dell'emissione β che non era chiarita dalla teoria di Heisenberg. Per potere spiegare l'emissione β senza contraddire ai principî della conservazione dell'energia e dell'impulso, il Pauli e il Fermi hanno ammessa l'esistenza di un nuovo corpuscolo, il neutrino, privo di carica e di massa molto piccola. L'esistenza del neutrino, che non è rivelabile praticamente con i mezzi sperimentali attuali, è tuttora molto ipotetica. Non è da escludersi che esso sia il quanto di qualche campo, così come i fotoni sono i quanti del campo elettromagnetico.
4. Energie di formazione dei nuclei. - Sull'energia di formazione dei nuclei, dal punto di vista sperimentale, si hanno preziose indicazioni attraverso alle misure di precisione delle masse nucleari dovute principalmente ad Aston.
Come è già stato accennato, le masse nucleari sono multipli interi quasi esatti della sedicesima parte della massa dell'O16, tuttavia la massa dei nuclei è in genere inferiore alla somma delle masse dei protoni e neutroni in essi contenuti. Questo cosiddetto "difetto di massa" viene spiegato col noto principio relativistico di equivalenza tra massa e energia. Secondo questo, a ogni energia E corrisponde una massa m e ad ogni massa di quiete m un'energia E, secondo la relazione di A. Einstein
dove c è la velocità della luce.
Se ora alcune particelle formano un nucleo emettendo energia, il nucleo risultante avrà un difetto di massa corrispondente all'energia di formazione. Vicevei. sa il difetto di massa dà senz'altro una misura dell'energia di formazione stessa.
Si è cercato spesso di stabilire il bilancio energetico delle reazioni nucleari, dalla misura delle masse di quiete dei varî nuclei partecipanti alle reazioni e delle energie delle particelle incidenti e dei prodotti di disintegrazione. Non si ha però ancora un insieme di risultati chiari e definitivi in proposito. In generale, difetti di massa corrispondono a energie molto grandi ed è per questo che spesso si pensa alle disintegrazioni nucleari come a fenomeni capaci di mettere in giuoco quantità cessi industriali. Comunque finora non si hanno nemmeno tentativi di utilizzare praticamente fenomeni nucleari.
5. Radiazioni elettromagnetiche dei nuclei. - Dopo avere rapidamente passato in rassegna le proprietà esterne e la costituzione nucleare, si deve accennare a un altro indizio della eomplessa struttura dei nuclei costituito dalle radiazioni elettromagnetiche nucleari, o raggi y. Tali radiazioni hanno lunghezza d'onda variabili da alcune unità X (10-11 cm.) ad alcune centinaia d'unità X e dalla parte delle grandi lunghezze d'onda si raccordano ai raggi X d'origine atomica, ossia originati dagli elettroni esterni al nucleo.
Tali radiazioni elettromagnetiche vengono emesse sia spontaneamente dalle sostanze radioattive, sia sotto azione di un'eccitazione esterna. Tale può essere il bombardamento con particelle α, e, come a complicati processi di disintegrazione accompagnati da emissione di protoni, neutroni e raggi γ.
È anche possibile in qualche caso collegare le frequenze dei raggi γ emessi dai nuclei con livelli energetici delle particelle α nel nucleo stesso, secondo la relazione ε = hv, in cui ε è la differenza d'energia tra due stati quantici della particella α e ν è la frequenza dei raggi γ. I livelli energetici delle particelle α vengono riconosciuti per misura diretta delle velocità d'emissione delle particelle α.
È opportuno anche ricordare che, nel campo elettrico intensissimo che si trova in vicinanza del nucleo, può avvenire il fenomeno della "trasmutazione" dei quanti γ in coppie di elettroni e positroni. Anzi poiché praticamente questo fenomeno avviene solo in campi così intensi quali si trovano nelle immediate prossimità del nucleo, esso può quasi essere considerato come un fenomeno nucleare, pur non implicando la struttura del nucleo (v. positrone).
Con fenomeni nucleari è infine connessa certamente anche la radiazione penetrante benché non siano chiari i rapporti che intercedono tra essa e i nuclei.
Riassumendo, mentre le proprietȧ globali esterne: carica, massa, momento meccanico, ecc., dei nuclei si avviano a essere rapidamente conosciute in ogni particolare, per la struttura interna permangono tuttora alcuni punti fondamentali oscuri benché si registrino, si può dire, ogni giorno notevoli progressi anche in questo campo.
Bibl.: E. Rutherford, J. Chadwick, C. D. Ellis, Radiations from Radioactive substances, Cambridge 1930; Atti della R. Accademia d'Italia (Fondazione Volta. Convegno di fisica nucleare), Roma 1931; H. Kallmann e H. Schüler, Hyperfeinstrukturen und Atomkerne Ergebnisse der exakten Naturwissenschaften, XI, 1932; W. Heisenberg in Zs. f. Phys., 1932-1933; H. Geiger e K. Scheel, Handbuch der Physik, voll. 22-24, Berlino 1933. Articoli di I. Curie, F. Joliot, E. Fermi, ecc., in Nature, Londra 1933-34.
Biologia.
Si dà questo nome in citologia a un corpo di forma generalmente sferica situato nell'interno delle cellule, facilmente riconoscibile al microscopio anche in vivo, per la sua forma e per i suoi caratteri ottici; esso ha una parte essenziale nella riproduzione della cellula e in tutte le sue attività biologiche. L'importanza essenziale del nucleo è dimostrata sia dalla sua costante esistenza, sia dal fatto che la sua distruzione porta in brevissimo tempo alla morte della cellula (v. citologia).