MARTOGLIO, Nino
– Nacque a Belpasso, presso Catania, il 3 dic. 1870 dall’avvocato e giornalista Luigi e dalla maestra elementare Vincenza Zappalà Aradas.
Avviatosi a quattordici anni agli studi nautici e compiute quattro navigazioni (1886-90), conseguì a diciannove anni il brevetto di capitano di lungo corso, ma abbandonò la carriera per entrare nella redazione della Gazzetta di Catania, fondata dal padre, prima di dare vita a un proprio giornale, il settimanale satirico D’Artagnan (il 20 e il 27 apr. 1889 uscirono i soli primi due numeri; pubblicazioni più regolari ripresero dal 3 sett. 1893 e cessarono con l’annata XVI, n. 22 [1° maggio] 1904).
Fin dal titolo il giornale si preannunciò battagliero difensore degli oppressi, in particolare dei poveri della Civita, l’animato quartiere del sottoproletariato catanese. Nel corso degli anni di vita del settimanale si susseguirono un centinaio di querele e una ventina di duelli. Vi furono pubblicati sonetti siciliani sulla «maffia», poi riuniti con il titolo ’O scuru ’o scuru (Catania 1896) e il dramma in otto sonetti ’A tistimunianza (ibid. 1899), entrambi illustrati dal fratello Giovanni. Questi sarebbero confluiti nel volume Centona (ibid. 1899), destinato ad arricchirsi di ulteriori versi in dialetto siciliano – le raccolte Lu fonografu, «sonetti berneschi dialogati», La ’atta e la fimmina, Fimmini beddi, L’omu, Marvi e Marvizzi, il «polimetro satirico bernesco» La triplici allianza, il «bozzetto melodrammatico» Vanni Lupu – nel corso delle tante edizioni che poi videro la luce (ibid. 1907, con prefaz. di L. Capuana; ibid. 1924, con prefaz. di L. Pirandello).
Apprezzato anche come dicitore dei propri versi, il M. partecipò a due grandi convegni di poeti dialettali a Roma (teatro Nazionale, 25 maggio 1901) e a Milano (teatro Filodrammatici, 8 febbr. 1903), mentre la lunga esperienza del D’Artagnan contribuiva a precisare un primo nucleo tematico originale e a formare il tirocinio stilistico del M., orientato verso un linguaggio realistico-popolare sensibile al registro dialogico, banco di prova della successiva attività teatrale.
Nel 1902 il M. venne eletto consigliere comunale nella lista dei partiti popolari; nel 1904 – anche in seguito a dissidi con i socialisti catanesi – si trasferì a Roma e nell’ottobre dell’anno successivo sposò Elvira Schiavazzi, sorella del tenore Pietro. Dalla loro unione nacquero quattro figli: Luigi Marco, Bruno, Licia e Maria.
Intanto, fin dal 1903, era iniziata l’intensa avventura teatrale del M. commediografo, promotore e direttore di compagnie siciliane: una vicenda che, salvo il biennio 1913-14 impegnato nel cinema, lo avrebbe visto protagonista entusiasta e instancabile fin quasi alla morte, svolgendo «funzioni di appassionato e non sempre fortunato grande operatore teatrale, di “inventore” di quel teatro siciliano che si sarebbe imposto per l’originalità e la ricchezza dei suoi apporti alla vita artistica italiana come l’unico teatro di respiro regionale e nazionale» (Resta, p. 21). Guidato da un severo programma d’arte, il M. sollecitò i maggiori scrittori isolani (da G. Verga a Capuana, da F. De Roberto a Pirandello a P.M. Rosso di San Secondo) a creare un originale repertorio siciliano, scoprì autentici talenti attorici (fra loro G. Grasso, A. Musco, Marinella Bragaglia, Mimì Aguglia, T. Marcellini) tentando di coniugare la qualità alta della drammaturgia d’autore con l’arte istintiva e spontanea di interpreti popolari non condizionati da manierismi accademici. Ma, nonostante l’entusiasmo di pubblico e di critica, le compagnie siciliane che formò, amministrò e diresse furono costrette a sciogliersi rapidamente per difficoltà economiche.
Tre furono, tra il 1903 e il 1908, le formazioni create e dirette dal M.: alla prima Compagnia drammatica dialettale siciliana (con Grasso, Musco e la Bragaglia), che debuttò il 16 apr. 1903 al Manzoni di Milano con La zolfara di G. Giusti Sinopoli e si sciolse nell’agosto successivo, fece seguito la seconda (accanto a Grasso e Musco c’era la Aguglia) che debuttò il 2 apr. 1904 al Biondo di Palermo con Malìa di Capuana. La terza compagnia si avvalse di attori nuovi (Marcellini, Carmelina Tria e Margherita Anselmi affiancarono Musco), debuttò allo Storchi di Modena il 30 dic. 1907 con Dal tuo al mio di Verga e si sciolse poco dopo, nel marzo del 1908.
Anche il successivo esperimento tentato dal M. nel 1910, l’istituzione del teatro Minimo a sezioni presso il Metastasio di Roma, vera e propria «iniziativa d’avanguardia» (Zappulla, 1985, p. 10), durò lo spazio di un solo anno. A questa occasione risalgono il debutto teatrale di Pirandello (La morsa e Lumie di Sicilia), nonché la nascita di quella che si sarebbe rivelata una ultradecennale fraterna amicizia tra i due scrittori, testimoniata anche da un interessante carteggio privato.
Pirandello e il M. scrissero a quattro mani ’A vilanza (3 atti in siciliano messi in scena all’Olympia di Palermo il 27 ag. 1917 dalla compagnia Marcellini) e Cappiddazzu paga tuttu (3 atti in siciliano: rappresentazione postuma, Taormina, palazzo del Parlamento, 8 marzo 1958, compagnia del Teatro Mediterraneo diretta da G. Cutrufelli).
Nel biennio 1913-14 il M. si dedicò al cinema, occupando subito un ruolo da protagonista: a differenza della maggior parte degli intellettuali italiani, intuì le potenzialità creative ed economiche della nuova arte e iniziò fin dal 1913 a scrivere per la Cines i soggetti de Il salto del lupo (con A. Novelli ed Enna Saredo) e de Il gomitolo nero (con Leda Gys e Novelli); incerta resta, invece, la paternità del soggetto de Il tesoro di Fonteasciutta riconosciutagli da qualche critico. Per la stessa casa cinematografica il M. curò poi la regia de Il romanzo con Pina Menichelli, A. Mastripietri, C. e Soava Gallone. Ma è all’attività di direttore artistico, di sceneggiatore e di regista presso la Morgana Films di Roma, da lui costituita con R. Danesi (1913-15), che resta legato il suo nome con tre film del 1914: Il capitan Blanco, in collaborazione con Danesi, tratto dal proprio testo teatrale omonimo, interpreti Grasso e Virginia Balistrieri, che furono anche, con Maria Carmi e D. Lombardi, i protagonisti del successivo Sperduti nel buio, dall’omonimo dramma di R. Bracco; e infine Teresa Raquin, dall’omonimo romanzo di É. Zola con Giacinta Pezzana, la Carmi, Lombardi e F. Nicolosi-Puglisi.
Dei tre film, ora smarriti, è sicuramente Sperduti nel buio – alla cui sceneggiatura collaborò lo stesso Bracco – a meritare ancora oggi l’attenzione della critica, soprattutto dopo che U. Barbaro, fin dal 1935, segnalò entusiasticamente l’opera mettendone in evidenza il «rilievo plastico», l’intensità drammatica, la «perfetta coerenza stilistica», la «crudezza luministica», la cura delle riprese paesaggistiche, l’attenzione al realistico dettaglio visivo, l’abilità tecnica del M. – che si era servito anche della dissolvenza e del flash-back – nel rendere dinamico il conflitto fra milieux sociali antitetici presente nel dramma di Bracco, grazie all’uso sapiente del «montaggio di contrasto e di parallelismo» (Barbaro, pp. 145-147 e passim). Del film, la cui unica copia venne trafugata dal Centro sperimentale di cinematografia nel corso di una razzia dell’esercito tedesco nell’autunno del 1943, è rimasta la sola sceneggiatura, in due diverse redazioni: la prima, portata alla luce da Barbina (1987) e la seconda – che presenta «aggiunte di mano di Martoglio e […] un finale differente» – da Sarah Zappulla Muscarà ed E. Zappulla (1995, p. 86), ma entrambe correggono il finale drammatico del lavoro di Bracco a favore di una soluzione che da un lato non modifica significativamente la sostanza iniziale della vicenda e dall’altro sembra nutrirsi della fiducia in una conclusiva giustizia sociale.
Da testi teatrali del M. furono tratti i film San Giovanni decollato (sceneggiatura del M., regia di T. Ruggeri, con Musco e Lea Pasquali, 1917; regia di A. Palermi, con Totò e Titina De Filippo, 1940); L’aria del continente (regia di G. Righelli, con Musco, Rosina Anselmi e Leda Gloria, 1935); Il marchese di Ruvolito (regia di R. Matarazzo, con Eduardo e Peppino De Filippo, la Anselmi e la Gloria, 1939); Troppo tardi t’ho conosciuta!, tratto da Il divo (regia di E. Caracciolo, con A. De Sanctis e Christel Schrool, 1940); Sempre più difficile, tratto da Sua eccellenza di Falcomarzano (regia di R. Angiolillo e P. Ballerini, con N. Bernardi e Germana Paolieri, 1943).
Dopo la morte in guerra di Danesi, il M. tornò al teatro: la sua ultima sfida capocomicale fu la formazione della compagnia del Teatro Mediterraneo con G. Grasso jr., la Balistrieri, S. Lo Turco, anch’essa di breve durata (dal 25 gennaio al 31 luglio 1919), nonostante il tentativo di «nobilitare» il repertorio con le versioni in siciliano de Il ciclope di Euripide (firmata Pirandello) e de Le Siracusane di Teocrito (firmata dal M. che, fra le sue molteplici attività, ebbe all’attivo anche quella di traduttore in siciliano di testi propri, di Verga e di Capuana).
Fra il 1903 e il 1919 l’intenso fervore capocomicale del M. si intersecò con il lavoro drammaturgico in dialetto e in lingua: iniziò con Nica, in 5 atti (subito dopo la prima rappresentazione furono ridotti a 4; Milano, Manzoni, 23 apr. 1903, Compagnia drammatica dialettale siciliana), poi tradotta in altri dialetti; proseguì con I civitoti in pretura, atto unico (Palermo, teatro Bellini, 24 giugno 1903, id.); Sara, atto unico (Messina, arena Peloro, 14 luglio 1903, id.); Il salto del lupo, 3 atti (Genova, politeama Margherita, 20 marzo 1906, compagnia Grasso); ’U paliu, 4 atti (Roma, teatro Nazionale, 21 dic. 1906, id.), versione dialettale de Il palio, 4 atti (Livorno, Politeama Livornese, 4 ott. 1906, compagnia De Sanctis); San Giuvanni decullatu, 3 atti (Piacenza, Politeama, 12 genn. 1908, Compagnia drammatica dialettale siciliana), tradotta poi in dialetto veneziano con il titolo El miracolo (Trieste, Fenice, 19 genn. 1910, compagnia Benini) e in fiorentino con il titolo Il miracolo di san Ranieri (Livorno, Rossini, 13 dic. 1914, compagnia Niccòli); Voculanzìcula, 3 atti (Genova, Verdi, 24 dic. 1909, compagnia Grasso), poi, con il titolo Tuttu munnu è paisi (Milano, Filodrammatici, 22 nov. 1915, compagnia Musco) e tradotta in romanesco con il titolo La canofiena; Capitan Seniu, 2 atti (Venezia, Malibran, 17 dic. 1912, compagnia Marazzi-Diligenti), versione dialettale di Punto a croce e nodo piano, atto unico (Roma, Quattro fontane, 13 apr. 1912, compagnia Quattro fontane); Annata ricca, massaru cuntentu (scritta in lingua come atto unico nel 1914; riv. e ampl. in 2 atti nel 1921, rappresentata postuma: Catania, Accademia A. Musco, 6 genn. 1959, compagnia Ente Teatro Sicilia); L’aria del continente, 3 atti (Milano, Filodrammatici, 27 nov. 1915, compagnia Musco); ’U riffanti, 3 atti (Milano, Olympia, 9 giugno 1916, id.); L’arte di Giufà, 3 atti (Roma, Argentina, 11 nov. 1916, id.); Scuru, 3 atti (Milano, Olympia, 5 febbr. 1917, id.); ’U contra, 3 atti (Roma, Nazionale, 9 genn. 1918, id.); Taddarita, atto unico (Roma, Argentina, 18 febbr. 1919, compagnia del Teatro Mediterraneo); Sua eccellenza, 3 atti (Napoli, Sannazzaro, 10 apr. 1919, id.), versione dialettale di Sua eccellenza di Falcomarzano, 3 atti (Torino, Alfieri, 21 maggio 1918, compagnia Ruggeri); Il marchese di Ruvolito, 3 atti (Roma, Nazionale, 23 dic. 1920, compagnia Musco). Al repertorio in lingua vanno ascritti Turbine, 2 atti (Milano, Manzoni, 19 ott. 1905, compagnia Talli-Gramatica-Calabresi) dal quale nel 1911 il M. ricavò Riutura (atto unico in siciliano); La sua famiglia, 3 atti (Torino, Alfieri, 30 nov. 1907, compagnia Calabresi-Severi); L’ultimo degli Alagona, 3 atti (Milano, Filodrammatici, 9 apr. 1908, compagnia Novelli); Il divo, 3 atti (Roma, Argentina, 3 apr. 1909, Compagnia stabile romana); Salto di barra, atto unico (Firenze, Politeama nazionale, 21 dic. 1909, compagnia Sainati).
Testimone attento di una società emarginata, il M. rispecchiò nel suo teatro l’osservazione della realtà ambientale esprimendone ora i lineamenti passionali e sentimentali, lirici e delicatamente poetici, ora i tratti brillanti e farseschi, caricaturali e satirici con un’inventiva esuberante ed eclettica che all’innata vocazione teatrale affidava l’intreccio dei meccanismi scenici e la tenuta di un tessuto dialogico rivitalizzato dall’originaria energia espressiva del dialetto.
La sua scrittura scenica – guidata da un innegabile gusto istrionesco – è apparsa, alla lettura critica di alcuni (S. D’Amico e M. Praga su tutti) solo una sorta di canovaccio destinato a essere liberamente valorizzato dalle risorse interpretative degli attori da lui scoperti e formati. Ma se spesso gli accadde di farsi trascinare da episodici estri inventivi che indeboliscono l’elaborazione di una struttura drammaturgica coerente, nei casi più felici (San Giuvanni decullatu, L’aria del continente) il M. riuscì ad amalgamare il colorato disegno dei personaggi e delle macchiette con il quadro corale di una società paesana della quale assunse le caratteristiche regionali, il costume e il sapere antico nell’urto con la realtà e il presente, toccando la sostanza viva di originali contrasti drammatici: qualità che legittimano il giudizio di un M. rinnovatore della drammaturgia verista siciliana.
Il M. morì improvvisamente a Catania il 15 sett. 1921.
Opere: Centona. Tutte le poesie siciliane, a cura di S. Zappulla Muscarà, Roma 1996; Teatro dialettale, I-II, Palermo 1913, che raccoglie quattro commedie del M.; Teatro dialettale siciliano, I-VIII, Catania 1918-23, poi in Tutto il teatro, ed. integrale, a cura di S. Zappulla Muscarà, Roma 1996.
Fonti e Bibl.: Pirandello-Martoglio. Carteggio inedito, commento e note di S. Zappulla Muscarà, Milano 1979; G. Armò, N. M., Napoli 1929; R. Paolella, in Filmlexicon degli autori e delle opere, IV, Roma 1961, s.v.; U. Barbaro, Servitù e grandezza del cinema, a cura di L. Quaglietti, Roma 1962, pp. 126-128, 138, 142-150, 180-182, 191; Teatro verista siciliano, a cura di A. Barbina, Bologna 1970, pp. 465-472; S. Correnti, Le opere e i giorni di N. M., in Nuovi Quaderni del Meridione, IX (1971), 34, pp. 131-173; L. Banna Ventorino, Il D’Artagnan di N. M., Catania 1974; C. Bragaglia, La via al realismo del cinema italiano, in A. Canziani - C. Bragaglia, La stagione neorealista, Bologna 1976, pp. 155-159; A. Barbina, La mantellina di Santuzza, Roma 1983, passim; E. Zappulla, N. M. capocomico, Catania 1985; S. Zappulla Muscarà, N. M., Caltanissetta-Roma 1985; Sperduti nel buio (con la sceneggiatura del film di R. Bracco tratto dal romanzo omonimo), a cura di A. Barbina, in Biblioteca di Bianco e nero, I, Torino 1987; V. Martinelli, Il cinema muto italiano 1917, in Bianco e nero, L (1989), 3-4, p. 262; G. Resta, La stagione eroica del teatro siciliano, in Angelo Musco e il teatro del suo tempo, a cura di E. Zappulla, Catania 1991, pp. 11-22; V. Martinelli (con prefaz. e collaborazione di A. Bernardini), Il cinema muto italiano 1914, in Bianco e nero, LIII (1992), 1-2, pp. 90-92; 3-4, pp. 233-238, 252-254; A. Bernardini - V. Martinelli, Il cinema muto italiano 1913, ibid., LIV (1993), 1-2, p. 272; 3-4, pp. 211 s., 220 s., 288-290; R. Chiti - E. Lancia, Diz. del cinema italiano. I film, I (Dal 1930 al 1944), Roma 1993, pp. 34, 198, 295 s., 304, 354 s.; G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, Roma 1993, I (Il cinema muto 1895-1929), pp. 181 s., 189 s.; II (Il cinema del regime 1929-1945), pp. 204 s., 226 s., 261; S. Zappulla Muscarà - E. Zappulla, M. cineasta, Roma 1995.