FALIER, Nicolò
Figlio di Leonardo, detto Bellelo, che fece testamento nel 1312, e di una Elena di cui si ignora il casato, appartenne al ramo di S. Apollinare della nota famiglia veneziana.
Le fonti fanno menzione di almeno diciotto Falier attivi a Venezia nel Trecento, che portarono il nome di Nicolò. Così stando le cose, è per noi estremamente difficile distinguere il F. dai numerosi omonimi a lui contemporanei, a meno che il suo nome non sia accompagnato dal patronimico o dall'indicazione della contrada di origine. Di conseguenza non siamo in grado né di stabilire anche solo in via di ipotesi la data della sua nascita, né di ricostruire con sufficiente certezza le vicende della sua vita sino al 1353, anno a cui risale la prima notizia a lui riferibile in modo inequivocabile.Nel 1353 il F. venne inviato come ambasciatore presso la corte angioina di Napoli per appianare contrasti esistenti in materia di commercio e consolidare i vincoli di amicizia che legavano la Serenissima a quei sovrani. Il 23 dicembre di quello stesso anno - se la notizia si riferisce a lui - egli svolse un nuovo incarico diplomatico: siamo infatti informati che, appunto in quella data, un Nicolò Falier fu inviato dal governo veneziano a Padova per cercare di mettere fine alle divergenze fra i Carraresi e gli Scaligeri. Il F. fu in seguito tra i quarantuno elettori del doge Marino Falier, scelto l'11 sett. 1354 mentre si trovava ad Avignone come legato della Repubblica. Durante i sette mesi del governo del nuovo doge il F. ricoprì importanti incarichi pubblici. Subito dopo la sconfitta di Portolongo (4 nov. 1354), quando a Venezia vennero presi provvedimenti di emergenza per fronteggiare la situazione, fu dei quindici nobili autorizzati a partecipare alle sedute del Consiglio dei pregadi, per tutto il mese, e ad esporvi la loro opinione senza però partecipare alle votazioni. Il 13 dicembre dello stesso anno fu uno dei cinque savi nominati per definire una tregua con Genova, tregua che fu sottoscritta l'8 genn. 1355 per la durata di quattro mesi. Avogadore di Comun nell'aprile, quando venne scoperta la congiura di Marino Falier, a motivo della parentela col principale imputato, venne espulso dal collegio che giudicò i responsabili, del quale avrebbe dovuto far parte di diritto. Subito dopo l'esecuzione di Marino Falier, tuttavia, venne chiamato a far parte dei quarantuno che elessero il nuovo doge nella persona di Giovanni Gradenigo (21 apr. 1355). Il 13 maggio quando si stava trattando con Genova la pace, che venne poi sottoscritta il 1° giugno, fu eletto in un collegio di tre savi autorizzati a restare in carica per l'intero mese. Nell'estate dello stesso anno venne di nuovo chiamato a prestare la sua opera come savio, insieme con altri quattro nobili, per decidere in questioni riguardanti la navigazione delle galere armate e commerciali.
Siamo informati - ma per noi è impossibile dire con sicurezza se la notizia si riferisca al F. - che poco dopo un Nicolò Falier fu inviato, insieme con Iacopo (Giacomo) Bragadin, ambasciatore a Perpignano, presso il re Pietro IV d'Aragona: dovevano convincere il sovrano a concludere un nuovo trattato con la Repubblica. La missione ebbe successo. Il trattato fu stipulato e venne sottoscritto il 16 sett. 1355. Nel febbraio dell'anno seguente si trovavano ancora a Perpignano, per definire con il re alcune questioni pendenti; il 3 di quel mese sottoscrissero inoltre una convenzione per cui la Repubblica si impegnava a pagare in Avignone ad emissari del re una forte somma a titolo di saldo per l'alleanza nella guerra contro Genova. Da Perpignano il Bragadin e il F. passarono ad Avignone, dove versarono parte della somma dovuta all'Aragonese, e trattarono anche diverse questioni con la corte papale. Ad Avignone si trovavano ancora nel giugno dello stesso anno.
Il 14 nov. 1356 il F. fu inviato con Giovanni Contarini e Francesco Bembo in ambasceria a Milano presso Bernabò e Galeazzo (II) Visconti con l'obiettivo di giungere ad una conclusione del conflitto armato che contrapponeva allora i signori di Milano alla lega antiviscontea. L'anno seguente, durante la guerra con Luigi di Ungheria, fu eletto nello stesso giorno (9 nov. 1357) a far parte di due Consigli di savi: composto di 5 membri, doveva occuparsi l'uno delle questioni di Istria, Dalmazia e Friuli; formato di tre membri, doveva l'altro provvedere ad accrescere le entrate e contemporaneamente a diminuire le spese della Repubblica.
I cinque savi del primo Consiglio, insieme con i cinque nominati per il Trevigiano, cooperarono poi con l'aggiunta di cinquanta savi che i Pregadi istituirono per otto giorni, l'8 genn. 1358, al fine di definire i termini della pace con il re di Ungheria, pace che venne poi conclusa il 18 febbraio dello stesso anno.
Per tre anni il nome del F. non ricorre più nelle fonti a noi note, sino al 1361, quando egli venne eletto in un Consiglio di dieci savi creato allorché la Repubblica decise di offrire aiuti al papa Innocenzo VI minacciato, in Avignone, dalle bande del capitano di ventura Arnaldo di Cervole, detto l'Arciprete. A portare al pontefice le proposte elaborate dai savi insieme col doge e i consiglieri fu inviato il segretario ducale Rafaino Caresini.
Negli anni che seguono abbiamo notizia di un Nicolò Falier inviato nel 1362 ambasciatore a Verona e Ferrara per rappresentare la Serenissima in occasione delle nozze fra Nicolò (II) d'Este e Verde Della Scala. Sappiamo poi che un Falier, pure di nome Nicolò, fece parte nel 1364 di un Consiglio di cinque savi istituito per esaminare le entrate e le spese della Repubblica. Ma le fonti non ricordano né il patronimico né la contrada di origine di questi personaggi.Nel 1365, dopo la morte del doge Lorenzo Celsi (18 luglio), il F. fece parte del Collegio di quarantuno elettori, che designò come nuovo capo dello Stato Marco Comer (21 0 22 luglio). Qualche tempo più tardi fu inviato come ambasciatore ad Avignone presso Urbano V insieme con Marino Venier e Giovanni Foscari.
Si trattava di svolgere una missione difficile: ottenere dal papa l'autorizzazione a ristabilire i rapporti commerciali tra la Repubblica e l'Egitto interrotti da quando, nell'ottobre del 1365, il re di Cipro Pietro I da Lusignano era sbarcato ad Alessandria. La missione fu coronata da successo e il 23 giugno 1366 il papa autorizzò la ripresa dei traffici con l'Egitto. Questa concessione, a dire il vero, venne ritirata di lì a poco, ma il 28 giugno del 1367 il divieto di commerciare con gli infedeli fu di nuovo revocato.
Il 12 febbr. 1367 il F. fu eletto fra i dodici oratori che con la squadra veneziana, insieme con le galere inviate dalla regina Giovanna di Napoli, da Genova e da Pisa, avrebbero accompagnato da Marsiglia il papa Urbano V che tornava a Roma. Insieme con Leonardo Dandolo, Giovanni Gradenigo e Zaccaria Contarini, il F fu scelto dal Maggior Consiglio per fare parte del gruppo di dignitari che avrebbero viaggiato sulla stessa galera del papa. La flotta partì da Marsiglia il 20 maggio e raggiunse il porto di Corneto (od. Tarquinia) il 4 giugno. Da quella località, la prima compresa nei domini pontifici, le galere veneziane ripresero il mare lo stesso giorno per far rotta verso la patria. Nel 1368 il F. fu inviato in ambasceria a Roma con Francesco Bembo, per discutere con Urbano V i progetti di una crociata. In quella occasione il F. e il suo collega ebbero modo di incontrarsi anche con Pietro I da Lusignano: il 19 maggio ottennero da lui l'autorizzazione a rappresentarlo in trattative con il sultano di Egitto. Dopo la resa di Trieste (28 nov. 1369), che nella prima metà dell'anno precedente si era ribellata chiamando in aiuto i duchi d'Austria, il F. fu inviato nel Friuli insieme con Leonardo Dandolo: doveva prendere contatto con gli emissari dei duchi in vista di un accordo. Questa prima missione, tuttavia, fallì: l'accordo venne concluso soltanto il 20 ottobre dell'anno seguente, con la rinuncia alle pretese su Trieste da parte austriaca in cambio di un tributo.
Il 1° ott. 1370 il F. divenne procuratore di S. Marco de supra. Lo stesso giorno della nomina fu eletto in Maggior Consiglio in una zonta di venti nobili al Consiglio dei pregadi nominata per trattare questioni di Stato. All'inizio del 1372, alla vigilia della guerra contro Francesco il Vecchio da Carrara, fu dei tre delegati a trattare col signore di Padova per cercare di comporre il dissidio tra le due potenze, originato da controversie di confine. Il 2 luglio 1372 il F. fu incluso in una giunta di trenta nobili al Consiglio dei dieci per l'inchiesta sulla trama ordita da Francesco da Carrara per fare assassinare alcuni patrizi veneziani a lui ostili. Nel mese di agosto, scoppiato il conflitto, fu uno dei cinque savi per la Guerra. Le operazioni militari volsero a vantaggio di Venezia, che costrinse il Carrarese ad una dura pace. Tra i firmatari del trattato, che venne sottoscritto il 21 sett. 1373, compare un Nicolò Falier non ulteriormente identificabile.
Nel 1374, anno in cui fece testamento, è ricordato nella carica di procuratore di S. Marco da un documento del 18 settembre, di non molto anteriore alla data della morte. Il F. morì infatti poco più di un mese dopo, il 26 ottobre.
Aveva sposato Beruccia Michiel, da cui aveva avuto cinque figli: Marco, Clara, Ludovico (Alvise), Lenuzza e Leonardo.
Dei numerosi omonimi del F. attivi a Venezia nel Trecento - la famiglia era suddivisa allora in sette rami, che venivano indicati col nome delle sei contrade in cui si trovavano le loro abitazioni (Ss. Apostoli, S. Maurizio, S. Tomà, S. Pantaleone, S. Samuele, S. Apollinare) - si ricordano qui:
Nicolò, figlio di Marco, del ramo di S. Tomà, divenne procuratore di S. Marco il 15 marzo 1319 allorché fu deciso di aggiungere due procuratori ai quattro già esistenti. Fu quindi fra i quarantuno elettori del doge Francesco Dandolo, che subentrò a Giovanni, Soranzo il 4 genn. 1329. Nell'estate dello stesso anno ebbe il comando di una squadra di ventisette galere inviate in Sicilia per scortare le navi mercantili che dovevano rifornire di grano Venezia. Morì il 24 febbr. 1333 e fu sepolto nella chiesa dei Frari. Sposò Foscarina Foscarini da cui ebbe due figli, Moretto e Pietro.
Nicolò, figlio di Pietro, pure del ramo di S. Tomà, ebbe un comando militare di rilievo durante la guerra contro gli Scaligeri, che iniziò nel 1336 e si concluse tre anni più tardi con la vittoria di Venezia e dei suoi alleati. È lui, probabilmente, il Falier che andò in legazione a Firenze il 6 dic. 1338, insieme con altri due nobili, per informare il Comune alleato sull'andamento delle operazioni belliche. Nel 1342, quando scoppiò la ribellione di Candia, fu con Giustiniano Giustinian e Andrea Morosini a capo delle forze che la Repubblica inviò per reprimerla. A Candia morì dopo la fine della rivolta, e lì venne sepolto.
Nicolò, figlio di Belletto, del ramo dei Ss. Apostoli, è da identificare secondo il Cappellari Vivaro con il Falier che divenne procuratore di S. Marco il 21 apr. 1353 e che morì il 26 ottobre dello stesso anno.
Nicolò, figlio di Paolo, del ramo di S. Maurizio, come ricorda un documento del 10 maggio 1338, insieme col padre fu investito di parte di un feudo a Trisigallo nel distretto ferrarese. Fu bailo a Costantinopolì dal 1361 al 1362. Durante il suo governo fu redatto il Capitulare ponderatorum che è un testo di notevole rilevanza per lo studio della Romania veneziana. A Costantinopoli, inoltre, partecipò alla trattativa con Giovanni V Paleologo insieme a Francesco Bembo e Domenico Michiel, che nel 1362 furono espressamente inviati da Venezia per costituire una lega antiturca e per risolvere altre questioni pendenti con l'Impero. Appare quindi come sopracomito di galera alle dipendenze di Domenico Michiel, capitano del Golfo. L'11 sett. 1363 rientrò a Venezia portando la notizia della ribellione dei feudatari di Candia. Fu subito dopo mandato a Candia con i cinque ambasciatori inviati dalla Repubblica per trattare con i ribelli e, in seguito, partecipò alle operazioni militari. Nel marzo del 1364, a motivo di un forte contrasto con Tommaso Barbarigo, sopracomito di galera della squadra di Negroponte, con cui era in missione nell'Egeo, fece cavare gli occhi a lui e ad altri cinque sottoposti. Quando l'episodio si seppe a Venezia, si ordinò al capitano generale di farlo arrestare e tradurre in patria dove sarebbe stato giudicato, ma il Falier riuscì a fuggire a Rodi. L'8 agosto dello stesso anno fu condannato in contumacia al bando perpetuo dai territori della Repubblica e, se fosse stato arrestato, a subire la stessa pena inflitta al Barbarigo seguita dall'amputazione delle mani e dall'impiccagione. Non si hanno altre notizie certe su di lui: secondo il Cappellari Vivaro sarebbe entrato tra i cavalieri di Rodi morendo poco più tardi. Non sappiamo se si fosse sposato. Ebbe una sorellastra, Madaluzza, figlia naturale del padre e da questo ricordata nel testamento del 14 giugno 1356.
Nicolò, figlio di Marco di Pietro, del ramo di S. Tomà, era consigliere dei Dieci nell'aprile 1355, allorché fu scoperta la congiura del doge Marino Falier. A motivo del vincolo di parentela con quest'ultimo venne espulso dal Consiglio, quando si trattò di giudicare il doge. Attestato a Venezia da un documento del dicembre 1356 relativo alla riscossione della somma destinata dal Consiglio dei dieci per la monacazione di Fantina, una nipote dell'ex doge Falier, il 19 luglio 1362 fu privato per due anni "degli offici, consigli e benefici del Comune" per le parole ingiuriose da lui pronunciate contro il doge Lorenzo Celsi. Nel gennaio 1368 fu tra i dodici ambasciatori solenni inviati a Chioggia per scortare in patria il nuovo doge Marco Corner. L'anno seguente venne mandato come provveditore in Romania insieme con Nicolò Vallaresso e Andrea Trevisan: dovevano recarsi a Candia, a Corone, Modone e Negroponte per ascoltarvi tutte le lamentele contro il governo veneziano e riferirne una volta ritornati in patria. In Romania Nicolò ebbe una contesa di natura giurisdizionale con Vettor Pisani, castellano di Corone e Modone, che fu poi risolta a Venezia il 15 apr. 1371. Dopo questo fatto non si hanno più notizie sulla sua vita pubblica e si sa soltanto che fece testamento nel 1382. Si sposò due volte: in prime nozze con Maria Barbo e, dopo la morte di questa, con una Sidiana di cui si ignora il casato.
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