ROSSI (Russo), Nicola Maria
ROSSI (Russo), Nicola Maria. ‒ Nacque a Napoli da Giovan Domenico Rossi, «avvocato napolitano» (A. Roviglione, Aggiunta all’Abcedario..., 1731, p. 464), nel 1690, se si ripone fede nella notizia di Bernardo De Dominici (Vite de’ pittori..., 1742-1745 circa, a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, 2008, p. 1309), secondo cui Nicola Maria, già destinato agli studi di legge e poi indirizzatosi verso la pittura, sarebbe entrato nel 1706, a sedici anni, nella bottega di Francesco Solimena, di cui divenne stretto seguace. Autore prolifico, è citato nella letteratura e nelle carte d’archivio anche con il cognome Russo. Non va confuso con Nicola Russo (o Rossi), scolaro di Luca Giordano e attivo nel secondo Seicento.
La collaborazione di Rossi con Solimena è testimoniata, a titolo d’esempio, dal dipinto per l’altare maggiore della chiesa napoletana di S. Francesco delle Cappuccinelle a Pontecorvo, ora al Museo diocesano di Napoli, raffigurante l’Immacolata Concezione e santi francescani: in una polizza di pagamento del 1718 il quadro si dice fatto da Nicola Maria, «però il tutto disignato e ritoccato» appunto da Solimena (Rizzo, 1999, p. 94). Ma l’aderenza ai modi del caposcuola è confermata, al massimo grado, dalla SS. Trinità in S. Nicola alla Carità a Napoli, giudicata «di tal bellezza [...] che dallo stesso Solimena non può farsi migliore» (B. De Dominici, Vite de’ pittori..., cit., p. 1311).
Gli inizi e la prima maturità di Rossi sono scanditi da una serie di opere per varie chiese di Napoli, non senza interventi pure nell’ornamento d’interni patrizi, lavori in buona parte oggi documentati a partire dal 1717 (Pavone, 1997, pp. 175 s., 483 s.).
In quell’anno il pittore dipinse, in S. Maria della Pazienza Cesarea, una Visitazione e una Presentazione di Gesù al Tempio. Nel 1718 era impegnato nella residenza del principe di Satriano a Chiaia. Nel 1724 si documenta la pala con la Presentazione della Vergine al Tempio (trafugata), già nella chiesa al Tempio della Scorziata. Segue l’Assunzione della Vergine nella volta della cappella dei Ss. Pietro e Paolo in S. Paolo Maggiore. Ricordata dalle fonti come opera giovanile è la volta della galleria del palazzo Caracciolo d’Avellino, mentre nel 1728 furono concluse due stanze nel palazzo Ottaviano.
Quello di Rossi si annovera tra i nomi di punta negli anni del viceregno austriaco (1707-34), tra i periodi di maggior successo internazionale e mitteleuropeo della pittura napoletana, e la sua affermazione coincise con le scelte di alcuni personaggi d’assoluto rango in quella fase storico-culturale. A garantire per lui c’erano il discepolato presso Solimena, l’artista partenopeo più ambìto a Vienna, e i costi e i tempi più accessibili delle sue opere, d’altronde recanti quel medesimo timbro di stile, come doveva essere percepito in patria e fuori.
Rossi, anzi, fu l’unico pittore napoletano d’un certo peso a essersi portato nella capitale asburgica: è infatti nota una polizza del 23 giugno 1723 (procuratore il fratello del pittore, fra Innocenzo Maria Rossi; Rizzo, 1999, p. 106) relativa al «tempo che [Nicola Maria] risiederà nella città di Vienna» al servizio di Girolamo Capece marchese di Rofrano, membro del Consiglio di Spagna e consigliere imperiale di Carlo VI d’Asburgo. L’aristocratico gli ordinò, per la galleria della propria residenza viennese (poi Auersperg), un grande dipinto (oggi non più visibile) con la Virtù eroica coronata dalla Gloria, dalla Fama e da altre virtù. Qui il pittore eseguì pure i ritratti di vari personaggi, ricevendone lodi, «essendo naturalissimi» (B. De Dominici, Vite de’ pittori..., cit., p. 1311).
Ma il maggiore mecenate austriaco di Rossi era di stanza a Napoli e fu, durante il suo mandato di viceré (1728-32), il conte Aloys Thomas Raimund Harrach, appassionato raccoglitore e committente di pittura, il quale incaricò l’artista di impegnativi dipinti destinati al Gartenpalais a Vienna. Rossi realizzò dapprima due grandi tele da soffitto con complesse allegorie celebrative (cm 500×500), oggi nei depositi del Kunsthistorisches Museum, e nelle quali si esaltavano le virtù del principe: in una mediante l’allegoria dell’Animo umano che vince le passioni con lo studio della Filosofia e con l’aiuto della Fortezza e della Prudenza; nell’altra, ricorrendo alla mitologia, tramite il racconto di Pallade che sottrae la Gioventù ai vizi, portandola da Giove. Della prima tela, datata al 1730, è nota anche la «macchia» (Prohaska, 2006-2007, pp. 189 s.).
Dopodiché, nel 1731-32, il pittore si cimentò nell’impresa sua più famosa: tre teleri in cui rappresentare fedelmente – saggi formidabili di una ‘memorialistica’ figurativa – altrettanti eventi pubblici svoltisi a Napoli con il viceré protagonista. Sono i seguenti: l’Uscita dal Palazzo Reale (cm 243×770), in cui le carrozze attraversano il largo antistante; il Pellegrinaggio al santuario della Madonna di Piedigrotta (cm 243×613), con il corteo che sfila sulla riviera di Chiaia, e il golfo di Napoli in lontananza; e la Partecipazione alla festa dei Quattro Altari (cm 243×580), dov’è la benedizione del Santissimo sull’altare effimero allestito «incontro alla Posta», con Castel Nuovo nel fondo, cerimonia cui il pittore stesso, a detta di De Dominici (Vite de’ pittori..., cit., p. 1315), avrebbe avuto l’onore di assistere su invito di Harrach.
Nel contratto del 2 giugno 1731 si specifica che l’artista, per 900 ducati, s’impegnava a eseguire anche altri quadri più piccoli (oggi non noti) con «cose confacenti colli quadri grandi» (Hojer, 2011, p. 183). Pur non del tutto avulsi da certo vedutismo locale, innovato dal contributo allogeno di Gaspar van Wittel, si tratta di dipinti d’eccezione per dimensioni, tema e scopo; un prezioso documento della vita della città e del cerimoniale di corte dell’epoca; corrispettivo per immagini, e minuzioso, delle cronache e delle ‘etichette’ contemporanee, e dove il tono da parata s’incontra con la vivacità popolare. Dagli anni Settanta del Novecento i teleri, pensati per esser disposti a mo’ di fregio, si conservano a Rohrau, presso Vienna (Graf Harrach’sche Familiensammlung, Gemäldegalerie).
Della produzione sacra di Rossi uno degli esiti migliori è il dipinto d’altare, siglato, con S. Michele arcangelo in S. Giuseppe dei Vecchi a Napoli (Saggi di pulitura, 2006), dove il pittore seppe unire sensibilità decorativa e solidità d’accademia.
Firmata e datata 1736 è la Madonna col Bambino e s. Nicola da Tolentino, per S. Agostino a Venafro (Mortari, 1984).
Al 1736-37 risalgono le due ampie tele in origine ai lati dell’altare maggiore della chiesa napoletana della Croce di Lucca, e successivamente trasferite nella badia di Cava dei Tirreni.
Composizioni articolate e ricche di figure, esse rappresentano l’Invenzione della Croce, a opera di s. Elena – mentre il Legno è innalzato da uomini riguardo ai quali De Dominici (Vite de’ pittori..., cit.) nota «l’intelligenza del pittore ne’ muscoli del corpo umano» (p. 1315) –, e l’Adorazione della Croce issata, ai cui piedi s’inginocchia l’imperatore Eraclio. Queste ultime tele vanno considerate, con le precedenti Nozze di Cana nell’Annunziata di Piedimonte Matese, del 1732, le prove maggiori del pittore nelle storie sacre di grande formato, dove il retaggio solimenesco e il paragone, ancorché a un livello inferiore di qualità, con il più giovane collega Francesco De Mura appaiono ancora qualificanti: quasi un contraltare, incline alla tradizione della committenza ecclesiastica, rispetto all’originalità – mondana ed evenemenziale – dei teleri Harrach.
Insieme allo stesso, ormai anziano Solimena, a De Mura e a Domenico Antonio Vaccaro, nel 1737 Rossi – a riprova del prestigio conquistatosi – fu tra gli artisti chiamati al rinnovamento decorativo del Palazzo reale di Napoli per le nozze tra Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia (1738).
Gli furono affidati alcuni ambienti dell’appartamento del re: l’oratorio privato, di cui sono emersi degli angeli reggi-cortina a fresco, e la stanza detta «de’ Gentiluomini», atta alla vestizione del sovrano, e nella cui volta era raffigurata la Battaglia di Gaeta (poi demolita), per studiare la quale il pittore s’era recato sul luogo dello scontro a trarre disegni dal vero (Ascione, 2013); il che conferma la sua cura nella restituzione ambientale e scenica. Qui Rossi attese inoltre alla volta dell’alcova della regina, in cui «rappresentò Minerva, che con varie immagini di sogni presagisce a quella Maestà felicissima prole: vedendosi da lontano sorger l’Aurora, per argomento felice di fausto evento, come lo sono i matutini sogni; [...] con altre bellissime immagini allusive al soggetto» (B. De Dominici, Vite de’ pittori..., cit., p. 1316). Il ciclo murale, a lungo nascosto da ornamenti ottocenteschi, è tornato alla luce di recente (2013-16); tra le parti più integre si segnala, eseguita en grisaille, la figura di Arpocrate, che mostra il tipico signum silentii. È noto l’apprezzo di tutte queste pitture (1739), consistente in 1700 ducati (Catello, 1979).
Dell’attività matura del pittore come decoratore di palazzi nobiliari testimoniano alcuni studi preparatori in vari musei e collezioni private (Spinosa, 1986, 1993, pp. 128 s.).
Nel 1739 Rossi firmò la Madonna del Rosario con la Maddalena e s. Apollonia nella chiesa del Rosario a Ottaviano e una Crocifissione per S. Maria delle Grazie a Caponapoli. Del 1740 è una coppia di tele per S. Lorenzo Maggiore a Napoli. Nel 1744 il pittore affiancò Francesco Rossi nella decorazione dell’antisacrestia della Cappella del Tesoro di S. Gennaro (Catello - Catello, 1977). Nello stesso anno fornì i disegni a Matteo Bottigliero per le sculture dell’altare di S. Eustachio nella cattedrale di Acquaviva delle Fonti (Pasculli Ferrara, 1983). Nel 1745 dipinse l’Annunciazione per la Cappella Caracciolo nel duomo di Napoli, cui seguì la Madonna e i ss. Demetrio e Bonifacio nell’eponima chiesa. Del 1748 è una tela da soffitto per la camera da letto di Francesco Mollo duca di Lusciano (Pavone, 1997, pp. 177, 486). Nel quinto decennio Rossi lavorò pure per S. Maria Maggiore alla Pietrasanta.
Alla fine della carriera il pittore andò incontro al fallimento più cocente, quando vide distrutto il suo affresco con Mosè e il serpente di bronzo (1752) nella volta sull’ingresso della basilica di S. Chiara, non gradito e sostituito da un’opera di Sebastiano Conca (1755; B. Spila, Un monumento..., 1901).
Rossi morì a Napoli il 23 aprile 1758, come certifica la scritta sul retro della tela originaria del bozzetto con il Convito di Baldassarre (Napoli, Museo Duca di Martina; Siracusano, 1980, pp. 48 s., n. 6).
Fonti e Bibl.: A. Roviglione, Aggiunta all’Abcedario d’altri pittori e scultori non descritti dall’autore, in [P.A. Orlandi], L’Abcedario pittorico, Napoli 1731, pp. 464 s.; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, III, 2, Napoli 2008, pp. 1309-1318 (note di D. Campanelli); G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, Napoli 1788-1789, passim; C.T. Dalbono, Storia della pittura in Napoli ed in Sicilia dalla fine del 1600 a noi, Napoli 1859, pp. 44 s.; G.A. Galante, Guida sacra della città di Napoli (1872), a cura di N. Spinosa, Napoli 1985, passim; B. Spila, Un monumento di Sancia in Napoli, Napoli 1901, p. 104 n. 2; G. Ceci, R., N.M., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexicon, XXIX, Leipzig 1935, p. 70; O. Giannone, Giunte sulle vite de’ pittori napoletani, a cura di O. Morisani, Napoli 1941, pp. 96, 194; F. Bologna, Francesco Solimena, Napoli 1958, pp. 150, 170, 188, 192; G. Heinz, Bemerkungen über einige Werke der Italienischen Monumentalmalerei in Wien, in Österreichische Zeitschrift für Kunst und Denkmalpflege, 1972, n. 26, pp. 53-57.
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